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Diritti / Approfondimento

L’uso dei proiettili di gomma da parte delle polizie per reprimere il dissenso

© Koshu Kunii - Unsplash

Le forze di sicurezza di tutto il mondo fanno abitualmente un uso improprio di proiettili di gomma per annichilire violentemente le proteste pacifiche, denuncia Amnesty International. Che chiede un trattato internazionale per regolamentarne il commercio. In Italia, invece, i sindacati di polizia chiedono di adottarli da quattro anni

I proiettili di gomma, comunemente utilizzati dalle forze dell’ordine per contenere le folle nelle proteste pacifiche, sono un pericolo per i manifestanti e possono provocare anche danni permanenti. È quanto emerge dal report pubblicato a metà marzo di quest’anno da Amnesty International e Omega Research Foundation sui rischi connessi all’utilizzo dei proiettili a impatto cinetico (Kips). I dati e le testimonianze raccolte mostrano che negli ultimi cinque anni 30 Paesi hanno utilizzato queste armi in modo improprio, causando feriti e morti.  

Durante le proteste di Bogotà del 2021 una giovane manifestante, Leidy Cadena Torres, ha perso un occhio a causa di un proiettile di gomma sparato a distanza ravvicinata da un agente di polizia. Episodi di questa gravità sono accaduti negli Stati Uniti, in Spagna, Iraq e Tunisia, sempre ai danni di giovani manifestanti pacifici, e continuano a verificarsi, minando di fatto il diritto di protesta e mettendo in luce la condotta violenta e sproporzionata delle forze di polizia. Stando alla raccolta dei dati della letteratura scientifica fino al 2017, almeno 53 persone sarebbero state uccise da proiettili di questo tipo usati dalle forze di sicurezza e che 300 delle 1.984 persone ferite hanno riportato danni permanenti. 

Il report “My eye exploded” non mette in luce solo la necessità di richiedere agli Stati un accordo convenzionale che regolamenti l’utilizzo di queste armi, ma anche l’urgenza di garantire il diritto di partecipare in sicurezza a proteste pacifiche, senza temere per la propria incolumità. La causa delle violenze, dalle proteste in Sud America alla repressione del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti, è da ricercarsi nell’approccio securitario delle forze dell’ordine e nella militarizzazione dell’ordine pubblico, spesso con il supporto di regimi non democratici ed estremamente violenti nei confronti del dissenso pacifico. 

I proiettili a impatto cinetico, meglio conosciuti come proiettili a impatto, di gomma o di plastica, trasferiscono l’energia cinetica da un’arma verso un bersaglio e vengono sparati da lanciatori o fucili. Sono stati originariamente progettati per disarmare un soggetto senza infliggere eccessivo dolore, quindi senza creare lesioni penetrative. Tuttavia, a causa della forma irregolare e dell’imprevedibilità della traiettoria di lancio, sono troppo spesso imprecisi e possono colpire parti del corpo delicate e danneggiarle, anche in modo permanente. 

Utilizzati per la prima volta durante alcune proteste a Singapore alla fine dell’800, i Kips hanno conosciuto un larghissimo uso in tutto il mondo; già a metà del secolo scorso la comunità internazionale si interrogava sulla sicurezza dei dispositivi e sulla mancanza di ricerche adeguate dei potenziali impatti sulla salute dei proiettili. Più di recente, oltre un centinaio di tipi e progetti diversi di proiettili e lanciatori a impatto cinetico sono stati sviluppati e prodotti in molti Paesi, senza che vi siano standard internazionali che ne regolino il design e le prestazioni.

I Kips sono attualmente in uso a moltissime forze dell’ordine anche a causa di un commercio internazionale in gran parte non regolamentato, che coinvolge una serie di piccole, medie e grandi aziende in tutti i continenti. Secondo il diritto internazionale, i proiettili a impatto cinetico possono essere utilizzati solo come extrema ratio contro soggetti violenti che rappresentano una minaccia grave, e solo quando i mezzi meno aggressivi non sono in grado di raggiungere l’obiettivo. I proiettili, inoltre, non devono mai essere indirizzati alla testa, alla parte superiore del corpo o all’inguine. Secondo le linee guida delle Nazioni Unite, ciò significa che, come per l’uso di armi meno letali, le forze dell’ordine hanno l’obbligo di agire secondo il rispetto del principio di legalità, di scopo legittimo e di proporzionalità.

Le attività di divulgazione e attivismo politico di Amnesty International, unitamente al lavoro di molte organizzazioni internazionali, hanno l’obiettivo di chiedere agli Stati un accordo internazionale per regolare la fabbricazione, il commercio e soprattutto l’utilizzo dei proiettili a impatto cinetico. Si richiede agli Stati di prevedere controlli commerciali rigorosi su queste armi e proibire il loro trasferimento laddove vi sia un rischio chiaro e sostanziale che vengano utilizzate per commettere o facilitare gravi violazioni dei diritti umani, tra cui la tortura o altre forme di maltrattamento. 

Un altro punto fondamentale riguarda il contesto di utilizzo: l’accordo dovrebbe prevedere il divieto di utilizzare armi non idonee per il contenimento della folla e delle manifestazioni e l’obbligo di fornire un rimedio adeguato e tempestivo, nonché un risarcimento economico equo e adeguato per i manifestanti che hanno subito danni permanenti a causa dell’utilizzo illegittimo dei Kips. 

In Italia, attualmente, le forze dell’ordine non dispongono di proiettili a impatto cinetico, tuttavia il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ricorda ad Altreconomia che i sindacati di polizia ne hanno chiesto l’adozione da ormai quattro anni: “Lo hanno fatto con riferimento in particolare alle proteste del movimento No Tav, ma Amnesty International si augura che questa richiesta non abbia seguito”.


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