Diritti / Opinioni
L’ultimo naufragio in Grecia e la violenta guerra europea per “impedire gli arrivi”
Il 14 giugno un peschereccio partito da Tobruk, in Libia, si è rovesciato al largo delle coste greche e centinaia di persone sarebbero annegate. Le autorità greche, italiane e maltesi erano state allertate ma hanno negato i soccorsi, denuncia Alarm Phone. “Apriamo gli occhi. È una guerra senza pietà”, osserva Maurizio Pagliassotti
È necessario smettere ora di definire questi esseri umani “migranti”. Non lo sono, almeno per noi europei. Essi sono i nostri nemici: contro cui combattiamo una guerra senza pietà, una guerra che stiamo stravincendo in virtù della superiorità militare che dispieghiamo laddove sono in essere le prime linee nemiche, le frontiere esterne dell’Unione europea. Dove si combatte tutti i giorni e tutte le notti.
I migranti sono un altro elemento della storia dell’umanità, che muove da un luogo per raggiungerne un altro per cercare un nuovo inizio, per lavorare, per costruire una famiglia e anche per rubare.
Gli esseri umani che abbiamo affondato a Cutro, e ora poco distante dalle coste greche è appena avvenuta un’altra “tragedia” le cui dimensioni appaiono apocalittiche, non sono questo dato che sono inchiodati lungo linee invalicabili: poveracci contro cui schieriamo un apparato militare fatto di divise, armi, fortificazioni, pattuglie navali, reti, squadre di volontari, droni, trincee, fototrappole. Lo facciamo con grande orgoglio, ad esempio con le parole della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha definito la Grecia “Il nostro scudo”. È la stessa che poche ore fa si è detta “Molto preoccupata per simili tragedie”.
Lo facciamo in difesa della nostra “etnia” perché non dobbiamo rassegnarci al fatto che il nemico raggiunga il nostro Paese e qui perfino riesca a riprodursi, alterando una purezza che ai più suona quanto meno anti storica.
Il confine tra Bosnia ed Erzegovina e Croazia è un’orgia di violenza, idem quello tra Serbia e Ungheria e in generale tutti i Balcani sono un laboratorio per la repressione dei poveri dove si sperimentano forme di sospensione dello Stato di diritto sempre più smodate, plateali, orgogliose. Ora tocca ai nemici che arrivano da lontano, tra poco questi metodi ben oliati raggiungeranno le nostre vite. Perché questa è una guerra ai poveri, non ai migranti.
Ma è al confine tra Turchia e Grecia che si tocca l’apice della violenza da laboratorio, che travalica ogni limite ed entra dentro il sadismo di Stato: è la pedagogia del terrore. Lungo il fiume Evros, ogni notte, soldati di ogni risma picchiano, derubano, umiliano centinaia di uomini, donne e bambini. I cadaveri, sopratutto nel periodo invernale, giacciono lungo la strada che porta dal confine alla città turca di Edirne.
Ogni notte, nel mar Egeo, barchini carichi di esseri umani vengono raggiunti da imbarcazioni militari da cui scendono uomini e donne vestiti di nero, mefisto calato sugli occhi, privi di stemmi di riconoscimento: avanzano verso la poppa, armi in pugno, e senza dire una parola smontano il motore e lo gettano in mare. Poi tornano nelle loro imbarcazioni, lasciando alla deriva catorci che presto sono preda delle onde. Questa ipocrisia intollerabile, questo osceno battersi il petto, questa ignobile contrizione di fronte ad un strage continua, voluta, cercata, deve finire.
Dobbiamo riconoscere a questi esseri umani la dignità di cosa sono: nemici.
Maurizio Pagliassotti, reporter, ha pubblicato per Einaudi nel 2023 “La guerra invisibile. Un viaggio sul fronte dell’odio contro i migranti”
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