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Diritti / Intervista

L’opera di Resqship, la Ong tedesca che soccorre i naufraghi nel Mediterraneo

© Luka Verc - Unsplash

Riccardo Mori, responsabile del personale di bordo della nave umanitaria Nadir, racconta le attività di soccorso di quest’anno. Tra l’esplosione della rotta tunisina e le accuse infondate di aggirare il “decreto Piantedosi” attraverso l’utilizzo di piccole imbarcazioni. “In Italia c’è una percezione molto distorta di quel che accade in mare”

Resqship è un’Organizzazione non governativa tedesca che si occupa di messa in sicurezza e primo soccorso dei naufraghi in difficoltà nel Mediterraneo. Alla fine di luglio il veliero di diciannove metri Nadir con cui l’Ong opera è in viaggio verso Lampedusa con 90 persone a bordo e 15 trainate su un gommone. Di recente Resqship è stata accusata (ad esempio qui) di utilizzare appositamente imbarcazioni di piccole dimensioni per aggirare il cosiddetto “decreto Piantedosi” (decreto legge 1 del 2 gennaio 2023, convertito nella legge 15 del 24 febbraio 2023).

In realtà le modalità operative di Resqship risalgono al 2019, ben prima che entrasse in vigore la nuova legge italiana. Altreconomia ha parlato con Riccardo Mori, responsabile del personale di bordo, che ha spiegato come l’organizzazione opera nel Mediterraneo.

Mori, come si organizza un equipaggio di una nave umanitaria?
RM Resqship è una Ong di piccole dimensioni e le persone che lavorano con noi lo fanno esclusivamente su base volontaria. Nonostante questo le richieste di collaborazione sono numerose e gestirle tutte non è facile. La maggior parte dello staff che reclutiamo viene dalla Germania ma ultimamente anche dall’Italia. Ogni anno, verso gennaio, apriamo le candidature e io mi occupo di coordinare le varie disponibilità. Si tratta di creare una sorta di puzzle in modo tale da coprire le numerose missioni in mare che effettuiamo dalla primavera. Infatti, per lo stress al quale sono sottoposti i membri dell’equipaggio, gli incarichi durano circa venti giorni, non di più. Non è semplice restare tanto tempo al largo e assistere a operazioni di salvataggio spesso traumatiche, per questo il turnover del personale dev’essere elevato. Per ogni missione garantiamo la presenza di figure che abbiano già avuto esperienze di salvataggio diretto, oltre che competenze di navigazione. Tutti i membri, inoltre, devono ricoprire ruoli molto specifici, come skipper, medici, psicologi, tecnici elettromeccanici. In aggiunta conoscere le lingue è indispensabile, per la molteplicità di soggetti con cui dobbiamo relazionarci. Un’ulteriore cosa di cui ci assicuriamo è che tra lo staff di bordo (in totale sette persone) ci siano sempre almeno due donne, per fare in modo che le donne naufraghe soccorse si sentano più tutelate e a loro agio.

In che cosa consistono le attività di Resqship, sia a terra sia in mare?
RM Cerchiamo di fare il più possibile per essere attivi non solo nel Mediterraneo ma anche in Germania, dove le attività di sensibilizzazione rivolte all’opinione pubblica e le raccolte fondi continuano tutto l’anno. Per quanto riguarda la parte in mare, devo dire che l’inizio del 2023 è stato di fuoco. Nadir, il veliero con cui operiamo dal 2021 (prima c’è stata Josefa, dal 2019, ndr), è salpato a inizio primavera e già nel giro di neanche una settimana il suo equipaggio aveva aiutato ben sei barchine in difficoltà. Erano tutti mezzi in arrivo dalla Tunisia. A causa del peggioramento della situazione politica nel Paese e la forte discriminazione razziale nei confronti dei subsahariani e dei non nordafricani, come noto, c’è un incremento esponenziale della frequentazione della rotta tunisina e questo tramite l’uso di imbarcazioni fatiscenti. Nella maggioranza dei casi partono piccoli natanti in ferro, sporgenti dall’acqua una quarantina di centimetri appena e con a bordo dalle trenta alle cinquanta persone. Il rischio naufragio è perciò altissimo. Tali partenze sono talmente improvvisate che i naufraghi sono spesso privi di satellitare, quindi è veramente molto difficile conoscerne la posizione. Generalmente l’ultima cosa che facciamo di fronte a una barca carica di naufraghi è prendere persone a bordo, perché il nostro compito consiste principalmente nella messa in sicurezza attraverso appositi dispositivi galleggianti e la distribuzione di giubbotti di salvataggio. Tutto ciò in attesa che arrivi la guardia costiera, con cui abbiamo un’ottima collaborazione. Seguendo questa procedura, l’anno scorso Nadir ha soccorso circa 2.500 persone. Quest’anno le cose sono più impegnative in termini numerici e le situazioni emergenziali più frequenti, per tale motivo ci capita di effettuare anche recuperi di persone, in stretto coordinamento con la guardia costiera.

Chi sono e come stanno le persone che soccorrete?
RM La maggior parte dei naufraghi che assistiamo proviene dall’Africa occidentale, Senegal e Costa d’Avorio in particolare. I superstiti sono spesso in condizioni difficili, sia per il viaggio in barca sia per quanto vissuto in Tunisia. Molti di loro hanno delle fratture o sono feriti. In questi anni ho parlato con moltissimi profughi, io e gli altri volontari ci interfacciamo di frequente con i loro vissuti personali e ascoltiamo le storie che vivono; questa interazione continua spesso anche sulla terraferma. Ad esempio dove vivo, a Friburgo, ho notato che anche se i rifugiati un po’ alla volta si rifanno una vita, alcuni dei traumi vissuti nel corso del viaggio tendono a tornare in superficie. Qualche anno fa ho conosciuto delle giovani ragazze africane, residenti in Germania ormai da molto tempo, che improvvisamente hanno iniziato ad accusare violenti attacchi di panico; ciò probabilmente è accaduto poiché dopo essersi stabilite e integrate nel tessuto sociale tedesco, hanno iniziato a rielaborare degli shock non ancora dimenticati. O ancora, nel 2021, nel corso di un salvataggio di decine di persone, abbiamo dovuto rianimare una giovane ragazza eritrea; era magrissima e aveva perso i sensi. Ecco, lei si trovava in viaggio dal 2015. Non riesco neanche a immaginare le cose che deve aver visto e subito in tutto quel tempo.

Come si percepisce il fenomeno della migrazione dall’Italia dal vostro punto di vista?
RM
Quando mi capita di tornare in Italia noto spesso una grande distanza delle persone nei confronti di quanto sta accadendo nel Mediterraneo. I mass media fanno sembrare l’arrivo dei migranti-naufraghi un fenomeno dalle dimensioni apocalittiche, ma non è così. Ho l’impressione che in qualche modo sia stato inculcato nella testa delle persone un odio profondo. Non riesco più a seguire i talk show e i programmi televisivi italiani perché non voglio più sentire personaggi istituzionali di rilevanza nazionale dire cose non vere. Da ottobre dell’anno scorso su molti mezzi di comunicazione stanno passando informazioni non corrette riguardanti le operazioni di salvataggio delle Ong. Questo è molto grave perché contribuisce a diffondere una cattiva informazione e ad aumentare il rancore della società.

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