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Diritti / Inchiesta

L’ombra della tratta di esseri umani sulle donne in viaggio dalla Costa d’Avorio

Eva Blue, Adjamé Market, Abidjan, Costa d'Avorio - Unsplash

Centinaia di donne ivoriane abbandonano rapidamente i centri dopo l’arrivo in Italia muovendo verso la Francia. Un fenomeno che non sembra esser solo auto-organizzazione tra connazionali. Dati inediti confermano l’aumento dei passaggi sul confine italo-francese. E qualche vittima inizia a raccontare la propria storia

È l’inizio di aprile 2022 quando Mariama, 25 anni, originaria della Costa d’Avorio, lascia le coste libiche su una barca diretta in Italia. Arrivata sulle coste siciliane, dopo pochi giorni trascorsi all’interno di un centro di accoglienza straordinaria (Cas) viene contattata da un suo connazionale che vive in Francia. Le promette di aiutarla a ripagare il debito contratto per la fuga dalla Libia. Arrivata a Parigi, dopo essere transitata in pochi giorni dal confine italo-francese di Ventimiglia, la realtà che trova ad aspettarla è diversa però da quella immaginata: prima viene sfruttata come domestica da una donna di origini camerunesi, poi, sempre su “ordine” del connazionale che l’ha portata a Parigi, viene costretta a prostituirsi. Sia in un locale della capitale, sia in strada.

Dopo qualche mese la donna ricontatta per chiedere aiuto l’associazione Penelope di Catania, l’ente antitratta che, nella sua brevissima permanenza in Italia, l’aveva presa in carico quale potenziale vittima di tratta. Tornata in Sicilia, grazie all’aiuto di un’associazione francese, Mariama otterrà il riconoscimento della protezione internazionale in quanto vittima di tratta di esseri umani.

“La storia di Mariama e di diverse altre come lei ci ha interrogato molto a partire dal 2020 in avanti -spiega Giuseppe Bucalo di Penelope-. Sempre più donne originarie della Costa d’Avorio arrivavano nei centri di prima accoglienza e, nel giro di pochissimi giorni, anche se alloggiate in cittadine sperdute della Sicilia, venivano contattate e trasferite in Francia. Ci sembrava difficile che ciò fosse semplicemente frutto di un’auto-organizzazione tra connazionali”.

L’associazione Penelope, notando la velocità nell’abbandono delle strutture, ha cominciato a raccogliere dati registrando dalla metà del 2021 a fine 2022 circa 236 donne che hanno abbandonato le strutture di prima accoglienza di Catania e Messina, di cui 68 minorenni. Con una differenza rispetto a quanto succedeva con il “modello” nigeriano: le persone non restano in Italia ma si muovono verso la Francia. Un elemento che rende più difficile la lettura di questi fenomeni: i movimenti secondari verso il territorio francese, infatti, si giustificano per le persone di origine ivoriana sia per la possibilità di parlare una lingua già conosciuta, sia per un sistema di accoglienza meno congestionato di quello italiano, senza posti e con scarse tutele.

“Come operatori antitratta ci siamo chiesti: è possibile che venga messa in piedi un’organizzazione così capillare e dispendiosa solo per soddisfare il bisogno di una persona? -continua Bucalo-. Abbiamo così cominciato a chiedere anche alle persone di origine ivoriana che già erano in contatto con la nostra realtà scoprendo che la tratta verso l’Europa è un fenomeno reale. Ci sono ‘tante Mariam’ che non raccontano la loro storia”.

Leggere con le lenti giuste i movimenti secondari -liberi o “indotti”- dalle reti criminali come detto è complesso. Ma i dati confermano che a partire dal 2019 in avanti il transito delle donne verso la Francia è aumentato. Non solo delle persone di origine ivoriana ma anche guineana e camerunese.

Secondo i dati forniti ad Altreconomia dalla Direzione centrale per la polizia delle frontiere, in seno al ministero dell’Interno, confrontando il 2019 con il 2022 il numero di donne di origine ivoriane respinte su quel confine dalla polizia francese verso l’Italia è aumentato del 544% (960 in totale l’anno scorso); quelle di origine camerunese di più del 900% e della Guinea dell’885%. Questi dati sono solo indicativi: molte persone possono attraversare il confine riuscendo a sfuggire ai controlli di polizia, altre invece possono essere respinte e “conteggiate” più volte. Aumentano molto anche le minorenni respinte: se fino al 2022 erano in media due o tre all’anno sommando tutte le nazionalità, nel 2023 sono ben 74 (42 ivoriane, 20 del Camerun e 12 della Guinea Bissau). Proprio per osservare quanto succede sul confine italo-francese è nata la rete Beyond Borders, di cui abbiamo scritto su Altreconomia, che ha come obiettivo la messa in contatto tra le organizzazione italiane e quelle francesi.

Torna nuovamente utile per capire i meccanismi di questo fenomeno la storia di Mariam che proprio da Ventimiglia è passata per andare a Parigi, dove l’aspettava il connazionale. È lui a dirle di raggiungere Napoli dalla Sicilia, dove è accolta nel centro a pochi giorni dallo sbarco, mettendola poi in contatto con un uomo che le fornisce i soldi per acquistare i biglietti del treno direzione Parigi. Arrivata alla frontiera marittima tra Italia e Francia viene fatta scendere, altre donne le dicono che può provare ad attraversare il confine sui sentieri ma lei ha paura per suo figlio. Torna nuovamente in gioco l’uomo che da Parigi le dice di tornare a Milano e di chiamare se avesse avuto problemi: parte alle 22, alle 7 arriva alla Gare de Lyon attraverso la rotta alpina. Nessuno controlla l’autobus nonostante Mariam dica che fosse occupato da molte persone straniere, tra cui altre tre donne. Quel confine e quegli spostamenti sono dinamiche utili per capire il “nuovo” presunto traffico che interessa il territorio europeo.

Altrettanto interessante è approfondire quanto succede prima dell’arrivo in Italia. Al 24 aprile 2023 la prima nazionalità per numero di persone approdate in Italia è proprio la Costa d’Avorio con più di 5.800 persone: incide su questo numero la stretta dell’autocrate Kaïs Saïed che in Tunisia ha ordinato aggressioni razziste e arresti nei confronti delle persone straniere “irregolari”, spingendone moltissime a lasciare il Paese nordafricano per raggiungere l’Europa. Tra cui appunto moltissimi cittadini ivoriani. “Alcuni sono tornati a casa, circa 10mila in due mesi, altri invece sono partiti per l’Europa”, racconta ad Altreconomia Matteo (nome di fantasia), un cooperante italiano attivo ad Abidjan (la città più popolosa e l’ex capitale della Costa d’Avorio) che preferisce mantenere l’anonimato. Partenze che non sono passate inosservate neanche a Roma: lo scorso 22 e 23 marzo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha visitato proprio la capitale Yamoussoukro per un vertice bilaterale con l’omologo Vagondo Diomandè e con l’obiettivo di “rafforzare la collaborazione tra i due Paesi, sul duplice fronte della lotta ai trafficanti di esseri umani e della sicurezza” con il lancio del progetto Civit-Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni) che prevede la creazione di stazioni di polizia sui confini Ovest del Paese.

“Azioni che non risolvono nulla -continua Matteo-. Anzi aumentano l’introito dei trafficanti e poi non è solo legato ai migranti ma anche alle armi, alla droga. Per quanto il fortino possa essere rinforzato rimane poroso perché quello che c’è dietro la porta è sempre più prezioso di quello che ci si lascia dietro. Servono accordi seri, di cooperazione equilibrata che diano slancio e respiro a questi Paesi”.

Matteo lavora a stretto contatto con le autorità ivoriane anche nel contrasto alla tratta di esseri umani sottolinea come sia poco nota una possibile rete criminale in Europa mentre le “mete” per le vittime ivoriane siano altre. “C’è un’impennata delle persone che vengono attirate come collaboratrici domestiche in Marocco, Tunisia e Libano: i trafficanti sfruttano il fatto che il passaporto ivoriano permette di muoversi in questi Paesi senza visto, le persone arrivano e poi si ritrovano in condizioni di sfruttamento. Si parla poco dell’Europa: le migrazioni, e ancor di più la tratta, non sono dei buoni biglietti da visita per un Paese che cresce a doppia velocità rispetto agli altri della regione. Il problema è che la crescita resta nelle grandi aziende, e i giovani, il 70% della popolazione, fuggono per costruirsi un futuro migliore”.

Chi conosce bene queste migrazioni forzate -una piccola parte, solo, di chi invece raggiunge la Tunisia per studiare e lavorare, è Germana Vinciguerra, dottoranda in studi migratori presso l’Università di Granada che ha osservato da vicino, a cavallo tra il 2018 e il 2019, la condizione delle donne di origine ivoriana in Tunisia. Ci sono due principali canali attraverso cui si sviluppa la tratta delle lavoratrici domestiche ivoriane nel Paese: un network internazionale ben strutturato e uno locale, più informale, basato sull’iniziativa di singole persone che reclutano le connazionali per inserirle all’interno del mercato dello sfruttamento facendo da intermediarie con le famiglie tunisine alla ricerca di “domestiche”. L’ambito di sfruttamento più diffuso nel Paese del Nord Africa, infatti, è proprio il settore domestico a prescindere dal “canale” attraverso cui la persona si muove.

“Solitamente le vittime di tratta sono costrette a ripagare il debito contratto per il disbrigo di una serie di pratiche burocratiche, come la richiesta del visto (in realtà non necessarie) e l’acquisto del biglietto aereo svolgendo gratuitamente il loro lavoro per circa cinque mesi. Spese che a loro volta le famiglie tunisine anticipano ai trafficanti a garanzia dell’assunzione della ragazza. Quello che accade alla scadenza dei 5 mesi, è che la lavoratrice -cui viene sequestrato il passaporto- è costretta a continuare a prestare servizio per la medesima famiglia in condizioni lavorative spesso degradanti e disumanizzanti. Lo sfruttamento, può durare anche anni. A ogni modo, quando queste donne riescono a fuggire dalla tratta, il periodo di permanenza regolare nel paese, che è di 90 giorni, è ormai finito determinando una condizione di grave vulnerabilità”. Infatti secondo la legge tunisina che regola le condizioni di ingresso e permanenza sul territorio nazionale, è prevista una penale di 20 dinari per ogni settimana di permanenza irregolare nel Paese. “Di conseguenza, le vittime di tratta oltre ad essere vulnerabili per la loro condizione di irregolarità, non riescono a pagare le spese per rientrare nel loro Paese, restando di fatto incastrate in Tunisia ed esposte a forme di re-trafficking o di gravi forme di sfruttamento lavorativo”. Per Vinciguerra il fenomeno della tratta di donne provenienti dalla Costa d’avorio è emblematico del fatto che “contrariamente a quanto viene spesso affermato, la Tunisia è un Paese di destinazione”. “La scelta di proseguire il viaggio eventualmente in Europa è piuttosto la conseguenza delle restrizioni sulla mobilità imposte sia dal governo tunisino che dalle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere”, conclude la dottoranda.

Nel 2018 i principali luoghi di destinazione delle 277 donne identificate dal ministero tunisino come vittime di tratta erano per il 70% originarie della Costa d’Avorio e destinate allo sfruttamento nella capitale Tunisi (31%), poco più a Nord Ariana (34%) e poi Sfax (24%), uno dei principali punti di partenza delle persone per la traversata del Mediterraneo verso l’Italia. “Credo sia importante sottolineare che la maggior parte delle persone di origine ivoriana decide di spostarsi perché è ‘irregolare’: nel progetto migratorio iniziale non c’è la volontà di lasciare la Tunisia”.

E gli arrivi in Italia, di conseguenza, aumentano. Sia dalla Tunisia sia dalla Libia, dove gli abusi di cui sono vittime soprattutto le donne sono noti da tempo. Sempre grazie ai dati forniti ad Altreconomia dal ministero dell’Interno è possibile ricostruire che nel 2018, in relazione agli sbarchi “totali” di persone ivoriane in Italia, le donne rappresentavano il 26% (275), nel 2019 diventano il 43% (439) e nel 2022 il 37% (2.209). Una tendenza che cresce, e preoccupa anche gli addetti ai lavori. Non è chiaro se lo sfruttamento in Tunisia o in Libia sia poi collegato a quanto succede in Europa.

“La destinazione finale dello sfruttamento sembra essere la Francia ma questo non ci dispensa dall’intervenire in Italia incontrandole in prossimità dagli sbarchi, nei primi giorni di permanenza nei Cas per un’adeguata informativa sui loro diritti”, sottolinea Bucalo. Il sistema antitratta italiano vede crescere anche le cosiddette “valutazioni”, utili per capire se la persona è vittima di tratta, delle persone provenienti dalla Costa d’Avorio. Negli ultimi mesi si registrano anche alcune presenze sulle strade italiane: se a ottobre 2022 le unità di contatto degli enti antitratta non avevano incontrato nessuna donna di origine ivoriane durante le loro uscite, a novembre e dicembre sono state rispettivamente 62 e 53 quelle presenti in strada. Numeri molto “bassi” rispetto ad altre nazionalità: a dicembre, a titolo di esempio, troviamo la Romania con 415 persone, la Nigeria con 267 e l’Albania con 239; ma dai dati sembra emergere un aumento delle presenze. “Serve tenere gli occhi aperti, fornire servizi adeguati: non solo per chi arriva dalla Costa d’Avorio. Ci preoccupano anche i numeri delle donne camerunesi e guineane. Chiediamo maggior attenzione su questo aspetto al Dipartimento per le pari opportunità e a tutti coloro che si occupano di prima accoglienza”.

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