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Crisi climatica / Reportage

L’ombra della corruzione dietro il gasdotto maltese di Melita

La centrale termoeletrica di Delimara (vicino a Marsaxlokk) attualmente brucia metano, che viene portato a Malta grazie a una nave gasiera © Daniela Sala

La nuova pipeline che parte dalla Sicilia dovrebbe portare sull’isola due miliardi di metri cubi di metano l’anno. Per Matthew Caruana Galizia, figlio della giornalista assassinata nel 2017, è l’architrave del business gasiero maltese

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023

Marsaxlokk è un minuscolo villaggio di pescatori, all’estremità Sud orientale dell’isola di Malta, famoso per un affollato mercatino che si tiene la domenica e per i caratteristici luzzi, le colorate imbarcazioni che spiccano nelle acque cristalline della baia. Poco distante ci sono due antiche fortezze militari ma soprattutto un ingombrante “ospite” comparso nell’area da qualche anno: la centrale di Delimara. Un impianto a ciclo combinato, che può essere alimentato sia a gas sia a olio combustibile, che attualmente brucia metano grazie a una nave gasiera e a un altro piccolo impianto che permette il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso del metano stesso. Ma proprio nei pressi di Delimara dovrebbe anche arrivare direttamente da Gela, in Sicilia, il Melita, un gasdotto che finirebbe la sua corsa di 159 chilometri sull’isola nel cuore del Mediterraneo. In tempi di caccia al gas anche nel nostro Paese, con questa pipeline sarebbe proprio l’Italia a vendere a Malta due miliardi di metri cubi di metano l’anno. 

Per il Melita i lavori non sono ancora iniziati. Dopo la valutazione d’impatto ambientale, in Italia sono state segnalate problematiche relative ai fondali di Gela che sarebbero fortemente inquinati, anche con presenza di materiale radioattivo. Secondo i proponenti, però, la costruzione dovrebbe partire a inizio 2023, per una consegna dell’opera prevista nel 2024. Quando si parla di infrastrutture per il trasporto del gas, non può mancare la Società nazionale metanodotti (Snam), che è infatti coinvolta del progetto. Rispondendo alle domande poste da ReCommon prima dell’assemblea degli azionisti del 2021, la multinazionale italiana ha descritto Melita in questo modo: “Il nostro intervento riguarda la sola costruzione dell’impianto di interconnessione con l’opera promossa dal trasportatore maltese. L’opera, sostenendo il phase out dal carbone dalla generazione elettrica maltese, ha come obiettivo primario la riduzione delle emissioni climalteranti e inquinanti”. 

A Malta però al momento non si brucia carbone. Quel che è certo, invece, è che grossi progetti infrastrutturali come il Melita hanno una vita lunga, come conferma Luciano Mulé Stagno, direttore dell’Institute for sustainable energy group leader presso l’Università di Malta: “Come si può dire che in due-tre decenni si useranno solo le fonti rinnovabili quando di fatto ci si sta legando al gas con un progetto da miliardi di euro destinato a durare anni?”.

Ma sull’isola il business del gas rimane centrale nell’agenda del mondo politico e imprenditoriale, con pesanti ombre che si stagliano da una giornata del 16 ottobre del 2017. Il giorno in cui a Bidnija, un piccolo paese nel Nord dell’isola, venne assassinata la giornalista d’inchiesta Daphne Caruana Galizia. Il suo seguitissimo blog Running commentary denunciava la corruzione dilagante nell’isola. Caruana Galizia, come ci conferma il figlio Matthew, aveva anche scoperto le torbide relazioni tra politici e imprenditori maltesi con l’Azerbaigian, uno dei più importanti Paesi esportatori di gas. “Ero un programmatore, ma ho seguito le sue orme, mi sono dedicato al giornalismo e ho lavorato ai Panama Papers -racconta-. E mentre ero impegnato in quell’indagine insieme a mia madre, ci siamo imbattuti in una fuga di notizie che riguardava il settore dell’energia a Malta, in particolare la privatizzazione della società elettrica maltese. Lei ha intuito fin dall’inizio che nel progetto fosse coinvolta la Socar, l’azienda statale azera del petrolio e del gas, e che alcune persone del partito laburista al governo, sospettate di corruzione, fossero della partita. Insieme ad alcune famiglie di imprenditori di che non avevano alcuna esperienza nel settore dell’energia”. 

Prima di morire la giornalista d’inchiesta aveva scoperto la pistola fumante della corruzione. “C’era una società di comodo (la “17 Black”, ndr) che non veniva utilizzata per produrre nulla. Il suo scopo era solo quello di far passare tangenti e nascondere a Dubai denaro poi destinato ai politici maltesi -ricorda il figlio-. La scoperta di questa società, a nostro avviso, ha portato direttamente al suo assassinio nell’ottobre del 2017”. Nel tempo, i documenti a cui faceva riferimento Matthew sono stati resi pubblici ed è così emerso come due figure chiave del governo di Joseph Muscat, l’allora capo dello staff Keith Schembri e il ministro del Turismo, già ministro dell’Energia, Konrad Mizzi, avessero ricevuto, nel 2015, attraverso la società “17 Black”, pagamenti dall’Azerbaigian per un milione e 600mila dollari, triangolati grazie a un intreccio di banche e società offshore tra Malta, le Seychelles, Dubai e Panama. Il dato di fatto è che l’Azerbaigian, Paese da cui arriva in Italia il gas tramite la Trans adriatic pipeline (Tap), aveva interesse a sviluppare un mercato del combustibile fossile anche a Malta. Da quel tragico giorno di ottobre 2017, la famiglia, gli amici e i colleghi di Matthew hanno lavorato instancabilmente insieme a lui per fare luce su quanto accaduto e sulla corruzione che investiva il Paese. 

Attualmente ci sono tre procedimenti penali direttamente collegati all’uccisione di Daphne Caruana Galizia. Riguardano i sicari, le persone che hanno fornito la bomba e chi ha pagato affinché venisse eseguito l’omicidio. Oltre a questo, ci sono stati anche un’inchiesta pubblica e vari altri procedimenti, tra cui un’indagine dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Due degli esecutori materiali sono stati condannati. Sono i fratelli George e Alfred Degiorgio, che dovranno scontare una pena di 40 anni di reclusione. Gli altri processi continuano.

L’inchiesta pubblica ha invece ritenuto “indirettamente responsabile” della morte della giornalista il governo presieduto dal laburista Joseph Muscat, per non aver preso misure sufficienti a garantirne la protezione e per aver alimentato una “cultura dell’impunità” che ha favorito la diffusione della criminalità sull’isola. Le famiglie di imprenditori maltesi a cui fa riferimento Matthew Caruana Galizia sono gli Apap Bologna, i Gasan e i Fenech. Il legame con la morte di Daphne Caruana Galizia sembra essere testimoniato dal procedimento in corso nei confronti di Yorgen Fenech accusato di cospirazione. L’uomo, arrestato nel novembre 2019 mentre cercava di lasciare l’isola sul suo yacht, sarebbe il proprietario dell’ormai famigerata “17 Black”, la società che sarebbe stata usata per veicolare i fondi provenienti dall’Azerbaigian. Il gasdotto di Melita è l’architrave del business gasiero maltese, come ribadisce Matthew Caruana Galizia. “A causa di quel progetto, mia madre mi è stata portata via. Non è stato inventato due anni o sei mesi fa a causa della guerra in Ucraina. Faceva parte del piano fin dall’inizio. Malta non avrebbe mai avuto un progetto di gasdotto se non fossimo passati al gas”. 

Lo spazio “Fossil free” è curato dalla Ong ReCommon recommon.org. Un appuntamento ulteriore per approfondire i temi della mancata transizione ecologica e degli interessi in gioco

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