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L’offensiva israeliana su Rafah e gli effetti devastanti per oltre un milione di persone

Le persone abbandonano una parte della città di Rafah dopo l'ordine di evacuazione emesso dall'esercito israeliano © Abdullah Abu Al-Khair/SIPA / Ipa-Agency.Net / Fotogramma

Con la popolazione quasi quintuplicata, l’assedio e la mancanza di carburante, la situazione igienica nel Sud della Striscia è già drammatica: tonnellate di rifiuti per le strade, scarsissima acqua potabile. Gli sfollati sono costretti a bere da fonti non sicure, spesso contaminate. “Attaccare Rafah è un massacro annunciato”, denuncia Roberto Scaini, medico di Msf

“L’impatto di un’offensiva su Rafah avrà effetti disastrosi per oltre un milione di persone”, denuncia Aurélie Godard, responsabile del team medico di Medici senza frontiere a Gaza, nelle drammatiche ore dell’attacco israeliano nella città del Sud della Striscia. “Le condizioni di vita in tutta Gaza sono già estremamente precarie, e non faranno altro che peggiorare per tutte queste persone che saranno nuovamente sfollate e dovranno vivere in tende di fortuna con un accesso estremamente limitato ai beni di prima necessità, come l’acqua”.

Nella Striscia non si contano più quelle che Msf ha chiamato in un rapporto le “morti silenziose”. Con la scarsità di acqua, cibo, igiene e cure mediche, sempre più palestinesi muoiono infatti non solo sotto gli attacchi israeliani ma anche per condizioni “del tutto prevenibili”. Più di un milione di  persone rischia “livelli catastrofici di insicurezza alimentare”, secondo le stime riportate dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli affari umanitari (Ocha). I palestinesi uccisi sono 35mila, oltre 77mila i feriti.

La metà dei 2,3 milioni di sfollati è proprio nella città di Rafah, al confine meridionale con l’Egitto, che prima del conflitto contava 275mila abitanti. Nonostante fosse stata indicata come “zona sicura”, è nel mirino del governo di Benjamin Netanyahu.

“Questa offensiva aggraverà ulteriormente i danni al sistema sanitario, che funziona a malapena -continua Godard-. Come abbiamo visto al Nord della Striscia, alcuni ospedali non saranno più accessibili e rischiano di essere colpiti o distrutti. I nostri team hanno iniziato a dimettere i pazienti che sono in grado di camminare dall’ospedale da campo indonesiano di Rafah, e ci stiamo preparando anche a una possibile evacuazione”.

Rafah è il nodo: lì si trova la maggioranza delle persone sfollate ed è il passaggio principale per i pochissimi aiuti umanitari in ingresso, ospitando molte delle strutture sanitarie e di supporto rimaste, come spiega ad Altreconomia Roberto Scaini, medico di Msf di ritorno da un mese di servizio a Gaza.

Le persone a Rafah vivono sotto la minaccia di epidemie, fame e traumi psicologici. Secondo i dati di Msf raccolti da novembre a marzo, due soli centri forniscono oltre 5mila visite mediche ogni settimana, il 40% a bambini e neonati. Le malattie più comuni sono diarrea, condizioni respiratorie e della pelle. Negli ultimi mesi si sono verificati anche casi crescenti di epatite A, che si diffonde tramite acqua e cibo contaminati e contatto personale.

Con la popolazione quasi quintuplicata, l’assedio israeliano e la mancanza di carburante, la situazione igienica a Rafah è già drammatica: tonnellate di rifiuti si accumulano per le strade e l’acqua potabile è scarsa. Le persone sono quindi costrette a bere da fonti non sicure, spesso contaminate da acque reflue. Tutto questo aumenta il rischio di disidratazione e malattie trasmissibili. La situazione potrebbe aggravarsi all’alzarsi delle temperature. “Non c’è lo spazio fisico per creare ripari dal caldo”, riprende il dottor Scaini. Potrebbero quindi aumentare i casi di disidratazione e malattie cutanee. Per questo, dice il medico, “attaccare Rafah è un massacro annunciato”. Anche il cibo scarseggia. La direttrice del Programma alimentare mondiale, Cindy McCain, ha dichiarato che “c’è una vera e propria carestia” a Gaza.

Msf fa notare come solo nei centri sanitari di Al-Shaboura e Al-Mawasi a Rafah nei primi tre mesi del 2024 siano stati registrati 216 casi di malnutrizione acuta nei bambini sotto i cinque anni, e 25 casi tra donne incinte e neomamme. La patologia era assente prima del conflitto. “I bambini malnutriti rischiano di avere problemi nello sviluppo cognitivo e di ammalarsi più facilmente e in maniera più grave -spiega Scaini- è un effetto domino”. Mentre per le donne incinte i rischi sono di aborto e incapacità di allattamento. Questo in un contesto dove il latte in polvere è quasi introvabile, come i pannolini e altri prodotti per neonati.

Sempre più persone nella Striscia soffrono anche di disturbi psicologici come stress, ansia e depressione. Ma con la violenza ancora in corso è difficile prendersene cura. Particolarmente colpiti sono i bambini. Una delle attività che Scaini ha portato avanti e ricorda con emozione sono i gruppi di gioco: “I bambini hanno perso qualsiasi riferimento, hanno bisogno di fare qualcosa di normale”.

Le malattie infettive, la malnutrizione, i problemi connessi alla gravidanza, i disturbi mentali e le malattie croniche come asma, epilessia e tumori, sono difficili da curare con circa due terzi degli ospedali di Gaza distrutti e quelli ancora in piedi sovraffollati di pazienti con ferite di guerra. A peggiorare la situazione sono la carenza di materiale sanitario e l’insicurezza in cui vive il personale medico. Da ottobre scorso ben 491 operatori sanitari sono stati uccisi, secondo dati del ministero della salute di Gaza. Ci sono poi le continue evacuazioni e i bombardamenti, che rendono difficile pianificare gli aiuti.

Scaini lavorava insieme a quattro operatori internazionali e circa cento palestinesi tra Rafah e l’ospedale di al Aqsa, al centro della Striscia. “C’erano bombardamenti tutti i giorni più volte al giorno, ci tremavano i muri e il letto. Nonostante ciò, la cosa più difficile è stata andare via”. Oltre al forte legame con le persone, il medico parla di una strana sensazione ad attraversare un cancello ed essere improvvisamente fuori dal conflitto, mentre per molti non c’era e non c’è via d’uscita.

Una stima della Johns Hopkins University e di un istituto inglese prevede che se la guerra a Gaza continuasse a questi ritmi ci saranno circa 8mila vittime di infezioni e malattie, oltre 26mila per traumi da guerra tra maggio e inizio agosto. Le previsioni scendono a 4.800 e 1.220 in caso di un cessate il fuoco.

Ripristinare i servizi igienici e sanitari dopo il conflitto sarà un mestiere lunghissimo. Anche le mutilazioni psicologiche rimarranno molto a lungo, avverte Scaini. “Le persone hanno perso tutto e il loro futuro è stato ridotto a delle macerie. Per ora però a Gaza si vive giorno per giorno, ma con grande resilienza e solidarietà”, conclude il medico, ricordando i pasti condivisi dopo il digiuno del ramadan, quando il gruppo chirurgico tornava dopo lunghi turni. “Ma c’era comunque la voglia di cucinare insieme”. Parla anche del coraggio dei pazienti che andavano a curare le amputazioni e dei ritmi di lavoro instancabili del personale medico. “Ho sentito un grande senso di dignità tra i palestinesi: è la loro terra, la loro storia”.

I mezzi militari israeliani intanto hanno occupato e chiuso anche il valico di Rafah. La Striscia è chiusa del tutto. “I pochi ospedali da campo o le altre strutture che sono state messe in piedi non saranno in grado di far fronte all’afflusso di feriti, oltre agli altri quotidiani bisogni medici come i parti e le malattie croniche. I bisogni sanitari aumenteranno in modo massiccio, mentre l’accesso all’assistenza sanitaria diminuirà ulteriormente”.

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