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Terra e cibo / Attualità

“Lo spreco alimentare in Europa danneggia ambiente e diritti”. Un problema di filiera

Nel 2021 l’Unione europea ha sprecato oltre 150 milioni di tonnellate di cibo, una quantità superiore alle importazioni. Per arginare le perdite è necessario adottare una legislazione ambiziosa che riguardi tutta la filiera, a partire dai campi agricoli e dalla “produzione primaria” intensiva. Il report di Feedback Eu

© Marek Studzinski - Unsplash

Nel 2021 l’Unione europea ha sprecato più cibo di quanto ne abbia importato. Lo scorso anno, infatti, l’Ue ha acquistato quasi 138 milioni di tonnellate di prodotti alimentari per una spesa totale di 150 miliardi di euro. Nello stesso periodo, però, ne sono state sprecate 153,3 milioni di tonnellate, tra cui il 20% della stessa produzione interna europea. Sono i dati messi in fila dal report “No time to waste: why the Eu needs to adopt ambitious legally binding food waste reduction target”, pubblicato nel settembre 2022 da FeedbackEu, organizzazione ambientalista che si batte per rigenerare la natura trasformando il nostro sistema alimentare.

“Lo spreco di cibo è una sfida globale che rappresenta un onere ambientale, sociale ed economico significativo per tutti i Paesi, compresa l’Ue”, spiegano i curatori della ricerca, che ricordano come proprio il “food waste” sia responsabile di una frazione importante delle emissioni climalteranti, dall’8% al 10% della produzione mondale di gas serra e il 6% di quella europea. Le conseguenze non sono solo ambientali ma anche sociali. “L’insicurezza alimentare e il cambiamento climatico hanno un impatto maggiore sulle donne e sulle comunità storicamente emarginate, rendendo lo spreco di cibo una questione di diritti umani e di uguaglianza di genere”, affermano gli autori.

L’Unione europea non sta rispettando i propri impegni in materia di sicurezza alimentare, nonostante la Commissione europea abbia sottoscritto gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goal, Sdgs) che prevedono di dimezzare lo spreco alimentare per il 2030. “La Commissione sta attualmente elaborando proposte di obiettivi vincolanti per gli Stati, e deve deliberare sulla loro portata (con opzioni che vanno dal 20% al 50% entro il 2030) e sul loro campo di applicazione (solo a livello di vendita al dettaglio e di consumo, o in un’ottica From farm to fork, cioè comprensiva dell’intera catena di valore dal produttore al consumatore finale). Ciò rappresenta una notevole opportunità per agire in modo deciso e ambizioso, in particolare in un momento in cui il sistema alimentare globale sta rivelando la sua fragilità”, conclude il rapporto.

La ricerca analizza le perdite del mercato alimentare europeo in base ai settori, divisi in produzione primaria, lavorazione, vendita al dettaglio e all’ingrosso, ristorazione e consumo domestico. Le perdite della produzione primaria “comprendono gli scarti del raccolto (prodotti lasciati sul campo o persi a causa di malattie, lesioni o tecniche di raccolta inadeguate) e post-raccolta (trasporto e trasformazione in azienda, stoccaggio, trasporto)”. La fase di lavorazione invece include tutte le fasi che dalla produzione portano alla vendita o il consumo inclusi il trasporto, lo stoccaggio, la distribuzione e l’imballaggio. I dati mostrano come la produzione primaria sia il settore più carente con 89,9 milioni di tonnellate sprecate ogni anno, in fase di lavorazione vengono scartate 15,4 milioni di tonnellate, mentre lo spreco durante la vendita al dettaglio e all’ingrosso è di 5,3 milioni di tonnellate. Infine il settore domestico, secondo per sprechi, “scarta” ogni anno 32,5 milioni di tonnellate di cibo mentre alla ristorazione sono imputabili 10,5 milioni di tonnellate. Queste stime, ottenute dai dati del Wwf Uk e del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), sono in contrasto con le valutazioni della Commissione europea che, secondo il report, sottostimerebbe l’impatto della lavorazione primaria e dello spreco in generale, limitandolo a 87,6 milioni di tonnellate.

Per far fronte al problema, dice FeedbackEu, è necessario che la strategia della Commissione europea sia ambiziosa, cioè punti almeno a una riduzione del 50% degli sprechi, e comprenda tutta la catena produttiva (con un approccio appunto From farm to fork). La Commissione si trova davanti a tre opzioni: un’iniziativa “base” che prevede la riduzione dal 15% al 25% (entro il 2030), un vincolo “intermedio” dal 25% al 35% e uno “avanzato” dal 40% al 50%. Secondo FeedbackEu solo l’iniziativa “avanzata” permetterebbe di raggiungere gli obiettivi dell’agenda di sviluppo sostenibile ma anche di contribuire in modo sostanziale alla riduzione di emissioni climalteranti. A iniziare dalla sicurezza alimentare sia in Europa sia al di fuori.

Secondo la ricerca “The effects of reducing food losses and food waste on global food insecurity, natural resources, and greenhouse gas emissions”, pubblicata ormai nel 2015 sulla rivista Environmental Economics and Policy Studies, ridurre del 50% lo spreco di cibo post-raccolta nei Paesi ad alto reddito potrebbe abbassare il numero di soggetti denutriti nelle nazioni a basso reddito di circa 63 milioni di persone. Inoltre la riduzione del cibo scartato a livello agricolo potrebbe portare grandi vantaggi a numerosi agricoltori aumentando la quantità di cibo che possono mangiare o vendere. E porterebbe a un risparmio per i cittadini europei che si stima spendano ogni anno 89 miliardi di euro a causa della perdita di generi alimentari.

Oltre a fissare l’obiettivo percentuale della riduzione degli sprechi la Commissione europea dovrebbe anche specificare il campo di applicazione, se a tutta la filiera produttiva oppure se relativo a solo alcuni dei settori. Secondo la ricerca è fondamentale che la riduzione degli sprechi avvenga lungo tutta la filiera produttiva e non solamente in specifici settori. Una regolamentazione che tagliasse fuori la produzione primaria, la lavorazione e la ristorazione escluderebbe dal 33% al 48% dello spreco alimentare in Europa, concentrando i propri sforzi “solo” sul consumatore finale. Ma secondo le stime delle istituzioni europee la produzione primaria sarebbe responsabile solo del 12% contro il 58% dei risultati di FeedbackEu. “L’esclusione della produzione primaria, della trasformazione e del settore della ristorazione creerebbe incentivi per gli Stati membri e le aziende a ridurre i rifiuti alimentari, facendo ricadere i rischi e i costi su agricoltori e produttori- afferma FeedbackEu-. Gli alti livelli di perdita di cibo che si verificano prima della vendita sono in gran parte un sintomo di relazioni di potere ineguali tra i fornitori e i loro acquirenti. La concentrazione del settore della vendita al dettaglio consente a grandi aziende di esercitare il loro potere sugli attori a monte della catena di approvvigionamento e di agire pensando solo ai propri profitti. Queste dinamiche determinano la creazione di rifiuti alimentari e, se l’obiettivo di riduzione si ferma al livello della vendita al dettaglio, il problema può solo peggiorare: i rivenditori avranno ulteriori incentivi a far ricadere i rifiuti sui produttori e sugli agricoltori”. Come noto, infatti, frutta e verdura vengono spesso buttate in quanto non rispettano presunti canoni estetici, anche se perfettamente commestibili. Secondo un sondaggio ripreso da Feedback Eu, due terzi degli agricoltori fiamminghi avrebbe registrato perdite di cibo proprio per motivi estetici mentre un quinto ha sostenuto di aver scartato più del 40% della produzione.

“Il motivo per cui la riduzione dei rifiuti alimentari non è ancora avvenuta alla giusta velocità nella maggior parte dei Paesi dell’Ue è che essi si sono affidati ad accordi volontari: anche se hanno registrato alcuni successi presentano gravi limiti quando vengono applicati su scala nazionale”. Le iniziative volontarie spesso non ottengono una sufficiente partecipazione da parte delle aziende e non hanno meccanismi per sanzionare chi non riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. Un obbligo legale, invece, spingerebbe gli Stati europei a sviluppare nuovi strumenti e regolamentazione come obblighi di trasparenza e di riduzione per le imprese alimentari al di sopra di una certa grandezza.

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