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Altre Economie

Lo spazio è di chi lo fa

Compie un anno l’associazione “Lo Fai”, che a Piacenza gestisce un bar vegano e un negozio di autoproduzione, dando visibilità ai piccoli artigiani —

Tratto da Altreconomia 159 — Aprile 2014

Nicola siede a tavola, di fronte a un “burrito” con ripieno di verdure miste e formaggio di riso. Sono quasi le tre del pomeriggio, e dopo aver servito una cinquantina di persone anche lui si concede un piatto. Che è vegano, come tutti quelli elencati sulla lavagna alle nostre spalle. Siamo da “Lo Fai”, vegan bar & handmade shop aperto dal 20 aprile 2013 in una stradina del centro storico di Piacenza, via del Cavalletto: “Abbiamo iniziato con i ‘pranzi’ a luglio, e oggi mi accorgo che la cucina è diventata fondamentale per garantire la sostenibilità del progetto” spiega Nicola. Per farmi capire qual è il progetto di cui parla, mi invita a salire al secondo piano, per fare un giro nel negozio dell’autoproduzione: “Questa è una vetrina a disposizione di artigiani di tutta Italia, che possono esporre le proprie creazioni, e anche capire se hanno mercato” racconta Nicola.

Una delle “anime dell’associazione Lo Fai -come le definisce Nicola-, è rappresentata dal gruppo di lavoro che organizza la manifestazione A/mano”, un mercatino delle autoproduzioni che esiste da 4 anni ed è arrivato a richiamare fino a 60 designer da tutta Italia: “Molti artigiani, specie i più giovani, ci segnalavano l’esigenza di uno spazio dove potersi ‘testare’ e vendere senza dover sostenere investimenti eccessivi -racconta Nicola-. Molti non hanno nemmeno la Partita Iva”.
Il contributo richiesto per uno spazio a Lo Fai va dai 30 ai 70 euro al mese, a seconda della taglia dello spazio occupato -small, medium, large- e “per un massimo di cinque mesi -spiega Nicola-: per noi, infatti, è importante garantire una rotazione”. In media, ogni mese ci sono 20 diversi brand, artigiani dell’handmade cui Lo Fai riconosce tutto il ricavato del venduto, senza applicare alcun ricarico sui prezzi al dettaglio: “È stata una scelta, che vuole garantire l’accessibilità ai prodotti esposti. Il nostro obiettivo è attirare il numero maggiore possibile di persone”. E i numeri sembrano dar ragione: il volume complessivo dei beni acquistati in questi primi undici mesi è di circa 50mila euro, e l’apertura del negozio -tutti i giorni della settimana tranne la domenica, il venerdì e il sabato fino all’una del mattino- è garantita a rotazione da cinque artigiani piacentini.
Tra gli scaffali, a metà marzo, ci sono -tra gli altri- i vestiti di Nivule (www.nivule.it), gli accessori di Pesci rossi, i gioielli e gli accessori di Papiki (papiki.blogspot.it), spille e papillon de La bottega delle fandonie.
Uno scaffale ospita anche lampade ed altri oggetti -come un originale “anello da lettura”- realizzati da lamp’n lab utilizzando una stampante 3D: “Filippo, che è un ingegnere, è anche uno dei sette che fanno parte del direttivo di ‘Lo Fai’. È lui che ha autoprodotto le lampade e i punti luce del locale” racconta Nicola, che  dell’associazione è il coordinatore.
“L’Horteria” (www.facebook.com/Horteria), invece, è il marchio con cui Clarissa -che è la responsabile della cucina- distribuisce t-shirt autoprodotte che promuovono la cultura vegan e informazioni sulla salvaguardia degli animali.
 
Spiega Nicola: “Tutto ciò che avviene di sopra, è possibile grazie al reddito del piano terra, che ci permette di pagare l’affitto. Abbiamo un contratto di 4 anni, con un canone che passerà dai 14mila euro ai 18mila -aggiunge-: quando siamo entrati, infatti, abbiamo sostenuto spese di ristrutturazione del locale”.

Gli arredi, invece, sono autocostruiti. E così anche il palco, che ospita -nei fine settimana- concerti dal vivo (ma rigorosamente acustici, per non disturbare il quartiere): “Tre persone si occupano della direzione artistica. Rappresentano l’altra ‘anima’ dell’associazione Lo Fai, che viene dall’esperienza di 29cento factory (www.29100.it), un’associazione culturale nata nel 2004 che si occupa di organizzare concerti ed eventi”.
Lo Fai è associata all’Arci, ma il bar non è un circolo: “Siamo un ibrido tra entità commerciale e sociale. Ma abbiamo scelto di iscriverci alla Camera di Commercio, e per la gestione del bar abbiamo chiesto una licenza commerciale, come ristoratori. Paghiamo le tasse” spiega Nicola.

E -da un anno- anche cinque stipendi, “a giovani con un’età media sotto i 30”.
Le tre cuoche sono vegane: “La scelta di servire esclusivamente piatti vegan ci è sembrata in linea con l’esigenza di mangiare in modo sostenibile. Cereali, farine e spezie sono biologiche, le verdure che utilizziamo in cucina rigorosamente locali e di stagione” racconta Nicola. Anche la carta dei vini guarda al territorio, con Ortrugo (bianco), Gutturnio e Malvasia (rossi). Ci sono -tra gli altri- i vini naturali dell’azienda agricola “La Stoppa” (lastoppa.it) di Elena Pantaleoni.
La birra artigianale è quella della Buttiga (www.facebook.com/labuttiga), con un toro come simbolo. È la “Birra di Piacenza” (com’è scritto nell’etichetta), e si chiama Sophia, Sogno, Borgata e Polka (in bottiglia e alla spina).

Nicola misura l’etica nella scelta delle materie prime, che è intorno al 70 per cento: “Non abbiamo ancora trovato una valida alternativa alla Coca-Cola per preparare il Cuba libre -spiega-. In questo primo anno il nostro obiettivo è quello di ‘far entrare’ gente, che dopo aver bevuto un cocktail possa salire al piano di sopra per conoscere il lavoro degli artigiani. Non ce la siamo sentita di prendere scelte troppo radicali”. Se “Lo Fai” esiste, è per dare un servizio a quelli che fanno. Autoproduttori ai quali questo spazio -a dispetto del nome, che gioca con l’inglese low-fi(delity), che significa bassa fedeltà- vuole garantire fiducia in se stessi (e nelle proprie possibilità). —

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