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Cultura e scienza / Opinioni

Lo sguardo folle di chi non si adatta

Mario Draghi alla riunione della Cabina di regia del governo sul Pnrr a Palazzo Chigi nel dicembre 2021 © Governo.it

Lo scrittore George Orwell invitava a conservare la visione del mondo dei bambini. È l’esercizio per praticare alternative possibili al presente. La rubrica di Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 245 — Febbraio 2022

“Disadattato agg. e s. m. (f. -a) [part. pass. di disadattare]. In psicologia sociale e in pedagogia, di persona che non ha avuto la capacità o la possibilità di compiere il normale processo di adattamento all’ambiente socioculturale che la circonda, con il quale viene quindi a trovarsi in conflitto talora violento, condizione che può condurre a fratture della personalità, a turbamenti emotivi, e spesso a scarso rendimento nelle attività intellettuali”.

Leggo questa voce del dizionario Treccani e -se intendiamo “violento” solo sul piano dialettico- beh, devo confessare che mi ci riconosco. E tanto per non riuscire ad adattarmi del tutto neanche a questa definizione. L’unica eccezione è (forse) sullo scarso rendimento intellettuale, il che però mi ha portato a trovarmi in una posizione in cui la situazione salta ancor più agli occhi: “Ma quel disadattato può fare il professore, addirittura il rettore? Pensi che ambiente che può venir fuori, contessa”.

Eppure più studiavo, più leggevo, più conoscevo il mondo e meno voglia avevo di adattarmi a trovarlo normale, giusto o anche solo accettabile. Ed è ancora così. Non riesco ad adattarmi all’idea che una Repubblica fondata sul lavoro veda aumentare solo il lavoro precario, senza dignità e senza sicurezza. Non riesco ad adattarmi a un Paese governato solo da maschi anziani, garanti di un’oligarchia incapace, ricca e corrotta. A una democrazia che paga i torturatori di una sua ex colonia perché fermino le persone migranti che avrebbero il diritto di cercare da noi una vita nuova. A una riforma fiscale che dà i soldi ai pochi che già li hanno e non ai tantissimi che non li hanno: alla faccia della progressività. A un banchiere al governo. A un ministro della Transizione ecologica che predica il nucleare e lo sfruttamento intensivo dei giacimenti di gas. Alla chiusura di archivi, biblioteche e musei per mancanza di personale, mentre i giovani laureati consegnano le pizze quasi gratis.

Lo so, sono proprio un disadattato. E pensate che non riesco ad adattarmi neppure a presidenti della Repubblica che sistematicamente tradiscono lo spirito della Costituzione che dovrebbero difendere. Non mi adatto a un Paese in cui non si può criticare la retorica rivoltante di un’autocelebrazione presidenziale, ma si può dire tranquillamente che gli insegnanti sarebbero “innamorati dei loro stipendi”. Non mi rassegno a un’Italia che getta alle ortiche l’antifascismo e non ferma i nuovi fascisti che marciano di nuovo su Roma, a braccio teso.

C’è qualcosa di infantile in questo rifiuto di adattarsi? Sì che c’è. È lo sguardo del bambino che dice che il re è nudo. George Orwell affermava la necessità di “non abbandonare completamente la visione del mondo acquisita nell’infanzia”,  cioè “la capacità di desiderare follemente cose che da grandi non si sognano più”. Cose come la giustizia o l’eguaglianza. La possibilità di dire la verità, in tempo opportuno e non opportuno. Del resto “se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo, 18, 3).

Ma chi si è adattato -talvolta con incosciente facilità, altre volte con fatica e dolore- non ama i disadattati. Anche perché gli ricordano qualcosa di amato e perduto. E dimostrano che non era necessario perderlo. Che c’era un’alternativa. D’altra parte essere un disadattato non è certo un titolo di merito: ci si trova a esserlo come si è biondi o alti. E se ne paga un prezzo, lungo tutta la vita.

Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra

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