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L’Italia ha il tasso di occupazione femminile più basso in Ue

© Christina - Unsplash

A fine 2023 il Servizio studi della Camera ha scattato una fotografia aggiornata circa le disparità di genere sul lavoro in Italia. Il 55% delle donne nella fascia 20-64 anni ha un’occupazione contro il 69,3% della media europea, mentre la differenza nella retribuzione annua media rispetto agli uomini è di 7.922 euro

Il tasso di occupazione femminile in Italia è il più basso tra gli Stati dell’Unione europea, attestandosi 14 punti sotto la media: come rivela il dossier pubblicato dal Servizio studi della Camera dei deputati lo scorso 13 dicembre. I dati, relativi al quarto trimestre del 2022, mostrano come il divario tra popolazione maschile e femminile permane ampio sia dal punto di vista occupazionale -sono 9,5 milioni le donne occupate mentre gli uomini sono 13 milioni- sia retributivo, mentre solo il 16,6% delle donne ha conseguito una laurea nelle discipline Stem (science, technology, engineering and mathematics) facendo emergere anche qui un’ampia forbice rispetto alla percentuale maschile che incide anche sui tassi di occupazione. All’interno del dossier vengono inoltre riportate le varie iniziative e progetti per ridurre questa distanza di genere a livello nazionale e sovranazionale, con un utilizzo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Nel contesto europeo il tasso di occupazione femminile medio è del 69,3%, mentre in Italia il 55% delle donne tra i 20 e i 64 anni ha un impiego. Questa limitata partecipazione nel mercato del lavoro mette in luce una serie di criticità. Il dossier sottolinea le difficoltà che specialmente le donne riscontrano nel conciliare lavoro e vita privata tant’è che per il 52% la decisone di lasciare l’occupazione è causata da “esigenze di conciliazione”. Questo concorre a determinare un divario lavorativo tra i sessi del 17,5% che sale in presenza di figli al 34%. Infatti “una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità” visto che la cura dei familiari, la prole ma anche gli anziani e i soggetti fragili, rimane principalmente un compito femminile, come conferma il “Rapporto Istat Sdgs 2023” che viene citato dai curatori del dossier. Lo stesso rapporto individua il conseguimento di un livello di istruzione elevato come un elemento che permette alle donne, almeno in parte, di contrastare la tendenza a dover rinunciare al proprio lavoro per farsi carico dell’attività casalinga della “cura”. Ne consegue una differenza occupazionale decisamente minore tra le donne con figli rispetto a coloro che non ne hanno.

Per favorire un accesso crescente delle donne al mondo del lavoro è fondamentale fornire l’assistenza all’infanzia e quella domiciliare per i soggetti fragili o anziani. “Anche se grazie al calo delle nascite la distanza tra bambini e posti disponibili negli asili nido si sta riducendo, siamo ancora lontani dall’obiettivo europeo fissato per il 2030 (45%). Il problema -riporta il dossier- persiste soprattutto al Sud e rimangono penalizzate le famiglie più povere, sia per le rette sia per la carenza di strutture in diverse aree del Paese”. Risultano in aumento coloro che hanno fatto ricorso all’Assistenza domiciliare integrata (Adi): il 3,2% degli over 65 ne ha usufruito, come anche gli anziani che nel 2022 sono stati accolti in una Rsa, che corrispondono al 2,6%.

In merito al gender gap l’Inps, attraverso la raccolta di dati da parte dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, ha evidenziato che “nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro” come riportato nel dossier, affiancando anche dati dell’Eurostat. L’Ufficio statistico dell’Ue ha rilevato una differenza del salario annuo medio del 43%, ben sopra la media europea che corrisponde al 36,2%. Diversi sono i fattori che concorrono alla bassa partecipazione delle donne al mercato del lavoro, tra cui l’occupazione ridotta, spesso precaria e part-time (sfiora il 49% il numero di donne con impiego a tempo parziale, contro il 26,2% degli uomini) e una bassa remuneratività dei settori in cui vengono impiegate. L’Italia è al 79esimo posto nella graduatoria dei 146 Paesi valutati nel “Global gender gap report 2023” del World economic forum, arretrando di 16 posizioni rispetto all’anno precedente. A ciò si aggiunge un altro risultato poco confortante in merito all’Indicatore sull’uguaglianza di genere dell’European institute for gender equality (Eige) che vede l’Italia al 14esimo posto sui 27 Paesi membri dell’Ue.

Oltre ai fattori già elencati viene citata anche una “bassa strategicità dei settori di impiego” attribuita anche al limitato numero di donne laureate in discipline Stem. Secondo l’Istat solo una laureata su sei ha conseguito il titolo in materie dell’area scientifico-tecnologica, corrispondenti al 16,6%. Ciò si ripercuote anche sui tassi di occupazione, visto che nel 2022 per i laureati in discipline Stem era all’86%. Purtroppo però la disparità di genere emerge anche qui: “il tasso di occupazione femminile sia nell’area ‘scienze e matematica’ sia per l’area ‘informatica, ingegneria e architettura’ è inferiore a quello maschile di 10 punti” evidenzia l’Istat.

Fonte: “L’occupazione
femminile”, Servizio studi Camera dei deputati, dicembre 2023

Infine il dossier riporta una serie di strategie nazionali e sovranazionali che promuovono direttamente e indirettamente la parità di genere nell’ambito lavorativo. Tra queste troviamo anche il Pnrr che configura la parità di genere come sua priorità trasversale: fondi sono stati stanziati a sostegno dell’occupazione e dell’imprenditorialità femminile, ne è un esempio il Fondo impresa femminile con contributi a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero agevolato. In aggiunta il Piano prevede anche interventi per potenziare quei servizi che permettono alle donne di avvicinarsi al mercato del lavoro meno ostacolate, come 2.720 miliardi per l’assistenza domiciliare per alleggerire il compito della cura e 1,1 miliardi per promuovere percorsi di studio nelle discipline Stem. L’Italia, ispirandosi alla Strategia per la parità di genere dell’Ue 2020-2025, ne ha proposto una nazionale per il periodo 2021-2026 con l’obiettivo di ridurre il divario di retribuzione dal 17% al 10%, incrementare le imprese femminili dell’8% e ridurre la distanza tra i tassi di occupazione di 24 punti percentuali.

A livello sovranazionale il dossier cita la Direttiva Ue 2023/970 per la parità retributiva del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce obblighi di trasparenza in materia di retribuzione per tutti i datori di lavoro, sia del pubblico sia del privato, e i lavoratori, anche candidati. La direttiva fissa delle prescrizioni minime per un incremento dell’applicazione del salario equo, oltre al divieto di discriminazione con un obbligo per i Paesi dell’Ue di incorporarle nella legislazione nazionale entro i primi di giugno del 2026.

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