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L’occupazione femminile è, spesso, questione di “conciliazione”

Per fermare la caduta dei tassi di natalità servono politiche attive nei confronti delle madri che lavorano. L’analisi dell’Osservatorio sulla coesione sociale

Tratto da Altreconomia 186 — Ottobre 2016
Una donna incinta al lavoro: in Italia, i tassi di attività femminili sono lontani dalle medie europee

Una sfida complessa per la società italiana è quella di promuovere l’occupazione femminile. Siamo attanagliati in una duplice morsa fatta di bassa natalità e non sufficiente partecipazione femminile al mercato del lavoro: per la prima volta in 90 anni, nel 2015 l’Italia ha fatto registrare un calo della popolazione; allo stesso tempo, i tassi di attività femminili continuano ad essere troppo lontani dai livelli europei. I danni sociali ed economici nel medio e lungo periodo sono chiaramente immaginabili: minore crescita economica e maggiore esposizione a rischi di povertà.

Uno delle principali modalità per cercare di rompere questa doppia morsa è sostenere la conciliazione fra tempi di vita e lavoro. Per fare ciò occorre l’impegno di un insieme ampio di soggetti. In questa ottica diventa importante osservare che cosa stia facendo la cooperazione italiana in tema di conciliazione.

La cooperazione in Italia gioca un ruolo importante rispetto all’occupazione femminile: una occupata su dieci nel settore privato lavora in una cooperativa; molte coop sono impegnate in settori tipicamente caratterizzati da una marcata presenza femminile. Inoltre, per varie ragioni, il mondo della cooperazione ha dedicato spesso particolare attenzione alla conciliazione: una presenza femminile abbastanza consolidata nel governo delle cooperative; i valori alla base dell’esperienza cooperativa, in cui si cerca di coniugare l’attenzione alla produzione di beni e servizi con quella al benessere di soci e dipendenti.

82%, 49%: in Italia l’82% delle donne laureate è attiva sul mercato del lavoro mentre lo è solo il 49% fra quelle con licenza di scuola media. La prima percentuale è più in linea con quella europea, la seconda molto lontana

Infine, sviluppare welfare aziendale per conto di altre imprese rappresenta un’occasione di crescita per le cooperative sociali, potendo queste ultime fare leva sulle esperienze accumulate nel tempo. In un recente studio promosso dalla Commissione pari opportunità di Legacoop, che ha coinvolto un gruppo di imprese appartenenti a tale centrale cooperativa, emergono i tratti di questo impegno, con lo sviluppo di un insieme articolato di supporti alla conciliazione. Da vari tipi di sostegno al reddito dei lavoratori (integrazioni all’assegno di maternità, micro-credito), a servizi per la prima infanzia o la non autosufficienza, fino a interventi per rendere più flessibili e “amichevoli” gli orari e i tempi di lavoro (part-time reversibili, turni agevolati, “smart working”). Molte imprese cooperative hanno, inoltre, dedicato un’attenzione particolare agli aspetti organizzativi, istituendo figure ed organi aziendali ad hoc per la conciliazione. Molte cooperative sociali hanno sviluppato interventi di welfare per conto di altre imprese, offrendo non solo servizi ma anche consulenze su come realizzare piani di welfare.

Accanto a molti segnali positivi, vi sono tuttavia criticità che limitano l’azione delle cooperative nel campo della conciliazione. Quasi un decennio di crisi economica ha reso più difficile fare impresa anche per le cooperative. Molte imprese private, soprattutto quelle piccole e medie, sono spesso in difficoltà e non sempre scelgono interventi di welfare di qualità offerti da cooperative, puntando su servizi a costo più basso. In conclusione, la promozione della conciliazione da parte delle cooperative si presenta come una sfida importante e non semplice. Tuttavia, le esperienze maturate da molte cooperative permettono di guardare a questa sfida con un certo ottimismo.

Emmanuele Pavolini è professore di Sociologia economica all’Università di Macerata. Fa parte dell’Osservatorio sulla coesione sociale, socialcohesiondays.com

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