Diritti / Inchiesta
“Limbo”, il podcast che racconta il tempo sospeso e i diritti negati di chi si fa migrante
Nelle puntate di Limbo, prodotto da Engim con Altreconomia, l’ascoltatore viene accompagnato in quattro luoghi simbolici della città di Torino dove i diritti dei migranti vengono sistematicamente negati. La Questura, il Cpr, il confine italo-francese e l’accordo tra Politecnico-Frontex: simbolo di una “fortezza” che riguarda, a suo modo, ogni città italiana
“Quando ho lasciato la mia casa in Pakistan pensavo che la mia vita in Italia sarebbe stata migliore. Ho creduto che dopo aver superato le difficoltà incontrate in Grecia e in Bosnia ed Erzegovina sarebbe stato tutto in discesa. Non è stato così. Da mesi dormo per strada”. Le parole di Nur, 25enne originario di una regione del Sud del Pakistan, raccontano una storia fin troppo comune per chi, come lui, si ritrova a scappare da conflitti e povertà. Dopo aver viaggiato per più di due anni e aver rischiato tante volte la vita lungo la cosiddetta rotta balcanica, le vie che “collegano” la Turchia al sogno europeo, ha finalmente raggiunto l’Italia. Ma a fine agosto 2022, due mesi e mezzo dopo il suo arrivo a Torino, non ha ancora registrato la sua richiesta d’asilo e non ha potuto accedere a nessuna forma di accoglienza. È con la sua voce, e con la sua storia, che si apre la prima puntata di “Limbo – Le vite sospese di chi si fa migrante”, il podcast prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia, nell’ambito del progetto Semi, che racconta il tempo sospeso e i diritti negati di chi raggiunge l’Italia per provare così a costruirsi un futuro migliore.
Limbo “porta” chi ascolta in quattro luoghi simbolici di Torino dove quotidianamente si assiste al tempo senza risposte che le persone in transito sono costrette a subire: dall’attesa per attraversare una frontiera, quella italo-francese dell’alta Val Susa, al Centro permanente per il rimpatrio (Cpr) di corso Brunelleschi fino alla Questura di Torino. E proprio qui, di fronte al lungo cancello di corso Verona, inizia l’attesa di Nur e di tanti suoi connazionali. Davanti all’ingresso della Questura si dipana una lunga fila fatta di ore infruttuose e speranze disattese.
È un’attesa destinata a ripetersi per molti giorni, un’attesa che è anche la violazione dei diritti di chi, come Nur dovrebbe poter presentare la richiesta di asilo e invece si ritrova costretto a dormire fuori, al freddo, etichettato come “persona irregolare”. “Corso Verona ci impone di voler conoscere le evidenti violazioni dei diritti o quantomeno le difficoltà -spiega l’avvocato Giovanni Papotti, esperto sui temi dell’immigrazione-. Per me è inaccettabile che nel 2022, in Italia, ci siano ancora dei problemi dovuti alla semplice disorganizzazione. Si dice sempre che la macchina della pubblica amministrazione non funziona. Però se la malattia è cronica vuol dire che c’è una non volontà politica di risolverla”. E tutto questo avviene a poche centinaia di metri da uno dei locali più frequentati dalle migliaia di studenti iscritti al Campus Einaudi.
I diritti calpestati non appartengono a confini remoti tra Grecia e Turchia o alla violenza quotidiana del confine serbo-ungherese ma fanno parte della nostra quotidianità senza che noi ce ne accorgiamo. A Torino, così come in tante altre città italiane. La “frontiera burocratica” e la mancata accoglienza contro cui si scontrano le persone che arrivano nel nostro Paese, spinge tanti di loro a continuare il proprio viaggio. Si arriva così in alta Val Susa verso il confine italo-francese: luoghi incantati per gli sciatori e gli escursionisti che fuggono al trambusto della città per cercare pace. Luoghi di violenza e soprusi per le persone in transito, costrette a tentare l’attraversamento di nascosto per sfuggire ai controlli della polizia di frontiera. È Oulx la tappa obbligata di chi si muove verso la Francia ed è il luogo dell’ultimo baluardo di accoglienza, quello del Rifugio Massi, dove le persone possono riposarsi prima di tentare l’attraversamento: un pasto caldo, una doccia, una visita medica, abiti adeguati al cammino e l’informativa legale. “Inizialmente si è cercato di dare una risposta immediata, con le risorse che c’erano. Poi, ci si è strutturati un po’ meglio -spiega Don Luigi Chiampo, parroco di Bussoleno e da sempre attento alle problematiche della Val Susa-. Quando sono stati trovati i primi ragazzi che erano morti sotto la neve tentando l’attraversamento è stato necessario dare una risposta più strutturata”.
Oulx si trova a meno di venti chilometri dal confine italo-francese. Quando le persone vengono intercettate nel tentativo di attraversare la frontiera, si trasformano da “persone in transito” a “respinti”. La polizia francese riconsegna i “respinti” alle autorità italiane che le riportano al punto di partenza in Italia. Questo stesso “copione” si ripete in diverse zone, a Briançon così come al Frejus, da oltre sette anni. “Nel 2015, la Francia, giustificandosi sulla base di questioni di sicurezza, decide di sospendere questa libertà e di ripristinare i controlli alle frontiere -spiega Martina Cociglio, operatrice legale di Diaconia Valdese-. Questo è permesso dalla convenzione di Schengen: uno Stato può decidere di ripristinare i controlli alle frontiere, ma non è possibile farlo per un tempo così prolungato, come la Francia sta facendo senza interruzione dal 2015. Soprattutto questo non è possibile in virtù di motivazioni che non possono essere continuamente eccezionali e che si fondano su una presunta insicurezza”.
Chi viene respinto al confine entra in un tempo sospeso denso di attese e, spesso, violenze. Lo stesso che vive chi è trattenuto in un Centro permanente per il rimpatrio. Il Cpr di Torino, in corso Brunelleschi, è il vero buco nero che risucchia la dignità delle persone. È lì che vengono rinchiusi gli “irregolari” -tutti quelli che non sono riusciti a ottenere un regolare documento di soggiorno, o l’hanno perso- in attesa di essere rimpatriati. Poco importa, all’amministrazione, che le persone effettivamente rimpatriate siano poco più del 50%. Per la maggioranza la permanenza nel Cpr è solo una dolorosa parentesi di tempo vuoto: nessuna attività, scarse possibilità di parlare con il mondo al di fuori delle recinzioni. “Vivono in moduli abitativi molto piccoli, molto stretti con alte grate che li circondano: sembra l’architettura di uno zoo -spiega Carolina Di Luciano, dell’Ufficio del Garante per le persone private della libertà personale-. Quello che colpisce è il cemento: perché è tutto completamente di cemento. Le finestre sono schermate e non è possibile vedere chiaramente l’esterno da dentro perché sono fatte di un materiale infrangibile e non è possibile aprirle autonomamente”.
La decisione sull’ingresso nel Cpr è nelle mani di un giudice di pace, un “giudice minore”, che nei casi ordinari non potrebbe applicare sanzioni penali. È l’ennesima ingiustizia di un sistema che applica due pesi e due misure, che decide sulla libertà delle persone in cinque minuti -questa la durata media delle udienze di convalida- in cui la persona, con i suoi diritti e le sue necessità, diventa invisibile. È il caso di Moussa Balde, 23enne, originario della Guinea, che il 23 maggio 2021 si è suicidato all’interno del Cpr di Torino, appena una settimana dopo aver subito un pestaggio brutale a Ventimiglia. “Si banalizza dicendo che lì dentro finiscono tutte persone che provengono dal carcere. Non è assolutamente vero: la morte di Moussa Balde è tra gli eventi più eclatanti e assurdi degli ultimi anni -dichiara ancora l’avvocato Papotti-. L’epilogo della sua storia fa riflettere proprio sulla mancanza di volontà di capire le storie degli altri. Forse sarebbe bastato un minimo approfondimento, in quel caso da parte del giudice o da parte del personale di polizia coinvolto, per capire qual era il disagio di quella persona e per evitare una fine che è stata tragica per tutta la città”.
A meno di dieci minuti in bicicletta dal Cpr di Corso Brunelleschi, si trova la sede del Politecnico di Torino. Ed è in queste aule che, nel luglio 2021, la “strategia europea” che nega protezione a migliaia di persone che fuggono da povertà e guerre si è avvicinata sensibilmente alla città di Torino. Il Politecnico di Torino ha siglato un accordo da quattro milioni di euro con Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che sorveglia le frontiere esterne dell’Unione europea. Secondo l’accordo, il Politecnico di Torino, insieme al Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del territorio (Dist), e Ithaca Srl, dovrebbe fornire la produzione di cartografia aggiornata per Frontex. Come raccontato nel libro Respinti, edito da Altreconomia, l’Agenzia è il simbolo di una strategia che vuole tenere lontani dai confini europei migranti e richiedenti asilo. E proprio per questo motivo alcuni professori, tra cui Michele Lancione e Francesca Governa, si sono opposti a questo accordo denunciando come l’attività di Frontex sia coinvolta nella negazione dei diritti di chi cerca protezione in Europa. “Io penso che da un lato ci sia chi è perfettamente consapevole che le mappe non sono neutre, non sono oggettive, non sono indiscutibili -spiega Governa-. Però c’è anche una bella fetta che crede davvero all’oggettività del dato, all’oggettività della mappa. Siamo in una stagione in cui anche un campo che appartiene alle scienze sociali come il mio, cioè la geografia urbana, la geografia economica, la geografia politica, patisce una fortissima irruenza di una tendenza neo-positivista spaventosa, che rivendica l’oggettività del dato, e stigmatizza come chiacchiera qualsiasi cosa che non sia misurabile. Non c’è niente di oggettivo, tanto più una cartografia, che è proprio una costruzione per i geografi”.
Il confine italo-francese tra le montagne della Val Susa, le gabbie pollaio del Cpr di corso Brunelleschi, le code davanti alla Questura, l’accordo tra il Politecnico e Frontex, sono tutti “tasselli” di questa strategia. Sono luoghi fatti di attese, di contraddizioni, di scontro. Sono i luoghi che fanno di Torino una fortezza da cui il diverso resta fuori. E le storie raccontate in Limbo ricordano che è un privilegio essere chiamati in causa “solo” dal limbo vissuto dagli altri. Ma il limbo degli altri ci riguarda da vicino.
“Limbo – Le vite sospese di chi si fa migrante” è un podcast scritto da Luca Rondi e Silvia Baldetti. È prodotto da Engim Internazionale in collaborazione con Altreconomia, nell’ambito di “SEMI – Storie, Educazione, Migrazioni e Impegno”, finanziato dall’Unione Europea, attraverso la regione Piemonte nel contesto del progetto “Mindchangers – Regions and Youth for Planet and People”. Potete ascoltarlo gratuitamente su Spotify, Apple Podcast e su tutte le altre piattaforme d’ascolto.
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