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L’illusione della meritocrazia crea sofferenza

Una manifestazione contro la "scuola del merito" organizzata dalla Rete degli Studenti Medi © Rete degli Studenti Medi

La misurazione dei meriti -secondo i canoni della società dominante- è divenuta l’asse portante della coesione sociale. Gli esiti sono problematici. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 269 — Aprile 2024

Il compianto filosofo Mark Fisher (1968-2017), uno dei critici più acuti della società presente, in “Realismo capitalista” (libro del 2009 pubblicato in Italia da Nero editions nel 2018) scrive: “Quello di cui abbiamo bisogno ora è una politicizzazione di disordini assai più comuni: anzi, è proprio il fatto che questi disordini siano diventati comuni che vale da solo la nostra attenzione […]. La piaga della malattia mentale che affligge le società capitaliste lascia intendere che, anziché essere l’unico sistema che funziona, il capitalismo sia innatamente disfunzionale”.

Questo è ancora vero: il disagio psicologico, in varie forme e a diversi livelli di profondità, è oggi tanto diffuso, anche nelle fasce giovanili, quanto poco considerato nel discorso pubblico. Come se si trattasse di mere questioni personali. Si fatica, cioè, a riconoscere il peso dell’organizzazione sociale e dei suoi valori (o disvalori) di riferimento nel determinare la sofferenza mentale. La quale, oltretutto, è spesso rimossa e poco nominata, oppure (all’opposto) accettata e subita come un’inevitabile zavorra di vita. In alcuni casi persino “esibita”, o almeno menzionata nelle proprie cerchie di amici, familiari e conoscenti, specialmente fra i più giovani.

La sofferenza psicologica va invece collocata nel suo contesto storico e politico, come teorizzava Fisher e come fa Francesco Codello nel saggio “L’illusione meritocratica” (elèuthera, 2024) che mette a fuoco l’inopinato successo della meritocrazia. Una nozione sviluppata dal sociologo inglese Michael Young come distopia, cioè come orizzonte spaventevole che già si profilava nella società capitalista del suo tempo (“L’avvento della meritocrazia” è un libro del 1958 pubblicato in Italia nel 1962 da Edizioni di comunità).

Con il tempo la meritocrazia ha preso il sopravvento e oggi la misurazione dei meriti -secondo i canoni e i sistemi di valutazione della società dominante- è divenuta l’asse portante della coesione sociale, con esiti molteplici: il rafforzamento del principio gerarchico, la “naturalizzazione” delle disuguaglianze, la pervasività del modello competitivo.

Sono 300mila gli studenti delle scuole medie superiori italiane (il 10,8% del totale) che hanno assunto psicofarmaci senza prescrizione medica (fonte: Espad Italia, Cnr-Ifc, 2022)

Codello fa notare che la meritocrazia finisce per far credere alle élite di essersi guadagnate davvero tutto ciò su cui riescono a mettere le mani e ai “perdenti” (la netta maggioranza delle persone) che la loro subordinazione è giusta e immodificabile, in una sorta di auto-convincimento della propria inferiorità.

Così, sul piano collettivo scompaiono sia la dimensione del potere, sia l’idea che le disuguaglianze siano legate al contesto, alla storia, ai rapporti di forza e quindi modificabili. In aggiunta -ecco il punto di contatto tra il discorso di Fisher e l’analisi di Codello- si manifestano forti effetti psichici: “Non solo nell’alimentare il super ego dei vincenti -scrive il pedagogista italiano- ma anche (anzi soprattutto, direi) nel demoralizzare i perdenti”.

Una via d’uscita, sociale ma anche psicologica, dall’apparente vicolo cieco della meritocrazia va ricercata, direbbe forse Fisher, in una riformulazione dei desideri, fagocitati dall’idea che il capitalismo non abbia alternative, e dal recupero, come sostiene Codello, della dimensione condivisa, aperta, spontanea, quindi non competitiva dei meriti (di tutti i meriti, non solo quelli quantificabili), in una logica di solidarietà, cooperazione, mutualismo, perfino spiritualità. Ma intanto occorre politicizzare il disagio psicologico e decostruire, mattone dopo mattone, l’ideologia della competizione.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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