Diritti / Intervista
“Così i libici attaccano le ONG”. Il racconto del marinaio di Proactiva
Tentativi di sequestro in acque internazionali e mitragliate in aria. Con la complicità dell’estrema destra. “La guardia costiera libica non esiste, è un gruppo di milizie autonome”. Riccardo Gatti racconta l’ultima estate nel Mediterraneo
“Vogliono buttarci fuori dal Mediterraneo. Pochi mesi fa erano 12 le imbarcazioni delle ONG, ora sono soltanto quattro. Sta succedendo quanto già avvenuto con la Turchia due anni fa: l’Unione europea stringe accordi per impedire le partenze. E quello che succede ‘là’, chissà”.
Riccardo Gatti, marinaio e già capo della missione dell’associazione spagnola di stanza a Barcellona “Proactiva Open Arms”, si è preso una pausa dall’estate al largo e ha deciso di tornare in provincia di Lecco, dov’è nato. I “successi” annunciati in questi giorni dai governi di Francia, Italia, Spagna e Germania per contrastare le migrazioni li ha già misurati sul campo. Cercando di salvare vite umane nonostante le aggressioni delle autorità libiche e i sabotaggi (“ridicoli”) dell’organizzazione di estrema destra “Defend Europe”.
Riccardo, che cosa è successo negli ultimi mesi nel Mediterraneo?
RG Gli attacchi alle Ong non si sono fermati. E il razzismo latente è cresciuto, promosso da chi punta solo alla nostra scomparsa. L’obiettivo è che non arrivino ‘negri’ in Europa. Ed è aumentata la violenza. In questi tre mesi abbiamo registrato maggiore nervosismo da parte delle varie milizie che ci sono in mare.
Intendi la guardia costiera libica?
RG Non esiste la “guardia costiera libica”. Esiste quella di Tripoli, certo, ma ce ne sono diverse, armate. E noi fino a poco tempo fa non avevamo avuto con loro alcun problema. Tant’è che abbiamo avuto più di un contatto. Io stesso, lo scorso ottobre, in qualità di comandante della nave Astral di Proactiva, ho imbarcato con me questi ufficiali per tre volte in un mese soltanto. Si limitavano a mostrare la loro autorità, salendo a bordo con i kalashnikov. Nessun problema, in ogni caso. Gli offrivamo il the, lo rifiutavano. Loro ci offrivano il caffè, lo rifiutavamo. Un saluto e la questione finiva lì.
Qualcosa è cambiato.
RG Negli ultimi tre mesi è cresciuta la competizione tra le milizie che operano nelle acque. E il risultato sono stati gli spari di avvertimento, i tentativi di sequestro che abbiamo subito, l’accrescersi della violenza direttamente in mare a danno dei migranti in viaggio e non più soltanto a terra. E contemporaneamente è diminuito sempre più l’appoggio istituzionale.
Proactiva ha sottoscritto il “codice di condotta” proposto dal ministero dell’Interno italiano.
RG All’inizio il codice di condotta è stato preso con riserva, non l’abbiamo firmato subito per la presenza di alcuni punti ambigui. Il codice, di fatto, prevede di mettere nero su bianco quello che abbiamo fatto fino ad oggi. Ad esempio dichiarare che non faremo mai trasferimenti da una nave a un’altra senza autorizzazione, non fare luci o segnali luminosi verso la costa per evitare ogni comunicazione con i trafficanti e così via. L’operatività, quindi, non veniva intaccata, e poi per noi era fondamentale rimanere in quelle zone. Tra i punti critici c’era quello dei poliziotti a bordo e una sorta di sottomissione alle autorità libiche. Abbiamo dichiarato di voler sottostare solamente al Maritime Rescue Coordination Centre, cioè la Guardia costiera di Roma. Una struttura organizzata con un governo organizzato. Altra cosa è sottostare a una guardia costiera libica che in realtà è una milizia. O un gruppo di milizie.
Il governo italiano ha puntato molto sulla rinascita di un esecutivo in Libia. Che ne pensi?
RG L’informazione che l’Italia e l’Europa vogliono far passare è che ci sia un governo libico in grado di gestire tutte le operazioni di ricerca e salvataggio in mare. E che le Ong non servano più. Non è vero, non esiste. Ed è il motivo per cui continueremo ad operare rispettando soltanto le leggi internazionali in materia di salvataggio in mare. Che prevedono che quando soccorri qualcuno devi portarlo nel porto più vicino e più sicuro. Il porto più vicino è la Tunisia, quello più vicino e più sicuro è l’Italia. Punto.
Dopo la sottoscrizione del codice di condotta avete avuto incontri ravvicinati con i libici.
RG Abbiamo subito diversi attacchi dalla guardia costiera libica. Non sempre e non solo da quella di Tripoli. Uno, ad esempio, è arrivato dalla milizia di Zuara, una delle forze che è diventata più nervosa. Eppure abbiamo sempre lavorato tranquillamente con loro. Per “lavorato” intendo che loro passavano, osservavano, ci salutavano. Una volta, invece, a luglio, ci stavamo avvicinando a un’imbarcazione di migranti. Al nostro arrivo hanno esploso in aria una raffica di mitra, pensando fossimo di un’altra milizia. Si sono avvicinati e si sono scusati. Poi hanno preso a bordo i migranti, che quella volta erano 26, li hanno picchiati, gli hanno portato via i soldi e i telefoni, e solo dopo ci hanno chiesto di prenderli a bordo. La Guardia costiera italiana era contraria. Ne abbiamo potuti prendere a bordo soltanto 11 per motivi medici. Degli altri non conosciamo il destino.
C’è stato un altro attacco, a metà agosto.
RG Sì, a 27 miglia dalla costa, in acque internazionali. Siamo stati raggiunti dai libici che ci hanno chiesto se avessimo l’autorizzazione da parte del governo di Tripoli. “L’autorità siamo noi e adesso ci seguite”, ci è stato detto. Allora abbiamo iniziato a chiamare chi ci coordina da sempre, ovvero la Guardia costiera di Roma. Inizialmente ci ha detto di poter al massimo contattare il nostro Stato di bandiera: Panama. Allora abbiamo chiamato la EUNAVFOR Med, la Forza navale mediterranea dell’Unione europea messa in campo dall’Operazione Sophia per la lotta al traffico di persone. La stessa forza militare incaricata di allenare quella guardia costiera di Tripoli che ci stava minacciando. Di fronte a quello che era un atto di pirateria o di sequestro abbiamo chiesto assistenza e protezione. “Adesso vediamo…”, ci hanno risposto. A quel punto i libici hanno iniziato a scortarci verso la Libia, tutti i loro messaggi si concludevano con “seguiteci altrimenti vi spariamo”. Ci chiamavano ogni trenta secondi. Abbiamo iniziato a prendere tempo. Il nostro obiettivo era di non sconfinare entro le 24 miglia dalla costa, dove quelle “autorità” avrebbero potuto rivendicare più ragioni e noi incontrato più difficoltà a difenderci pubblicamente. È stato un lungo tira e molla: puntavamo a Sud, poi giravamo un po’ a Nord. Ci restavano un paio d’ore prima di sconfinare. I libici ci hanno chiesto di mettere la scaletta per imbarcare, ci siamo rifiutati. Alla fine ci hanno detto “Girate verso Nord o vi spariamo. Non tornate mai più, altrimenti vi ammazziamo”.
L’organizzazione di destra “Defend Europe” e la loro imbarcazione C-Star ha dichiarato guerra all’operato delle Ong. Avete avuto incontri anche con loro?
RG Sì. All’inizio quelli di Defend Europe hanno iniziato ad avvicinarsi e inviarci messaggi via radio, accusandoci di essere un fattore di spinta per le partenze e che loro erano lì a controllare che non violassimo delle norme e via così. Lo stesso giorno del sequestro che raccontavo prima, a metà agosto, da parte dei libici, quelli di Defend Europe si erano avvicinati a noi, facendo un paio di manovre discutibili. Poi hanno fatto una cosa strana. Si sono avvicinati con la loro barchetta e hanno cercato di sabotare le nostre imbarcazioni rapide che portiamo sempre a rimorchio. Pensavamo volessero bucarci il gommone o buttarci dentro qualcosa per bruciarlo. Nel frattempo li chiamavamo via radio al Canale 16, dove non potevano non rispondere. Cosa facevano? Non rispondevano, ovviamente. Quando ci siamo allontanati abbiamo verificato le condizioni delle imbarcazioni. Abbiamo trovato un adesivo appiccicato e basta.
Il video del “sabotaggio” di Defend Europe ai danni delle due imbarcazioni veloci di Proactiva Open Arms – agosto 2017
Come valuti queste azioni?
RG Quelli di Defend Europe sono abbastanza patetici per come stanno in mare. Ma non è patetico il fatto che ci sia una nave che si prenda l’autorità che nessuno le ha conferito per andare a far rispettare norme che nessuno ha scritto. Il grosso problema è che prima che arrivassero i libici a tentare di sequestrarci, noi li abbiamo visti vicini a Defend Europe, per cinque o sei minuti. Stavamo facendo delle esercitazioni. Quando ho chiesto ai ragazzi di risalire per ripartire, proprio allora sono arrivati i libici. E quando alla fine siamo riusciti a puntare verso Nord, le milizie ci hanno seguito per venti minuti. Quando se ne sono andate, dietro di loro c’erano quelli di Defend Europe.
Il governo italiano festeggia il crollo degli arrivi in agosto. Che cosa sta succedendo sulle coste della Libia?
RG Nel mese di luglio ci sono stati più arrivi dell’anno scorso. Ad agosto pochissimi. Sulle navi abbiamo raccolto le testimonianze e i racconti di violenze e scontri a fuoco avvenuti tra Sabrata ed ez Zauia, classiche zone di partenza. Tutti quelli che abbiamo preso a bordo erano decisamente più provati del solito. E nonostante il mare calmo, le barche non arrivano più. Ma la soluzione non sono accordi contro i diritti umani. Bisogna aprire subito corridoi umanitari.
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