Diritti / Opinioni
Lettera di uno studente inascoltato
La pandemia non ha spinto a cambiare la scuola ma ha peggiorato le sue storiche criticità. Le disuguaglianze sono ancora presenti. La rubrica di Tomaso Montanari
Volevo cambiarlo questo schifo di liceo. Gliel’avevo detto ai miei che il classico non lo volevo fare. Ma ora non si può cambiare, tutto bloccato dalla pandemia: anche questo non si può fare. Ma tanto non mi bocciano: almeno credo, anche se questo Draghi ha detto che forse sì. Ha detto che dobbiamo stare a scuola anche d’estate perché abbiamo perso troppa scuola. E perché bisogna curare il “capitale umano”, ha detto. Anche quelli come me sono un capitale? Non lo so, forse parlava solo di quelli bravi.
Io, comunque, questa cosa che abbiamo perso troppa scuola, non la capisco. Mai troppa da perdere, ovvio: ma non è questo. È che secondo me non è mica cambiata tanto la scuola, col Covid-19. Non ci hanno pensato nemmeno, a cambiarla.
Il loro problema -dei prof, intendo- è sempre lo stesso: che non copiamo, che non ci portiamo gli appunti nascosti e questa roba qua. Io li capisco anche: ma mi sono chiesto una cosa. Visto che il Covid-19 ha buttato all’aria tutto, non si poteva provare a fare tutto diverso?
Cioè, io lo so che sapere le cose è importante, ma ho pensato una cosa. Se i prof registrano le loro lezioni in Dad, le potrebbero mandare sempre uguali tutti gli anni: tutti gli anni fino a che dura il Covid-19. Ma poi anche dopo: perché rompersi a cambiarle? Loro ti hanno detto tutto quello che dovevano dirti.
Poi ci riempiono di compiti a casa. Ormai facciamo solo quello: tanto non si esce. Io li copio, raga: che vi devo dire? Non ho manco tutti i vocabolari, a casa: quello di latino, per dire, non l’ho mai preso. Costava un botto, e tanto c’è online sul telefono. Da chi li copio? Da quelli bravi, quelli che a casa hanno i genitori che li aiutano. Glieli fanno. A casa mia non c’è mai nessuno: se prendevo un cane facevo meglio.
Secondo gli ultimi dati Istat, nel 2020 sono stati 543mila i giovani che hanno abbandonato la scuola (il 13,5% del totale)
Poi ci sono le interrogazioni, le verifiche, i voti. Quando stiamo a casa ascoltiamo e basta (è peggio del rosario che sente la nonna in chiesa, al paese), quando siamo a scuola ci fanno un mazzo così perché devono metterci per forza i voti per la pagella. Se le lezioni le mandassero registrate sempre uguali, ci sarebbe bisogno di metà professori che mancano sempre (quanti ne ho cambiati in due anni? Solo a inglese quattro). Ci sarebbe bisogno solo di quelli vivi che interrogano. Ma forse prima o poi inventano anche un sistema di interrogazioni fatte dal computer, così se copiamo ci sgamano subito.
Comunque io coi professori non ce l’ho. Cioè con quelli stronzi sì, ma sono pochi. Gli altri sembrano persi come noi: con la linea che non funziona, la voce che rimbomba, il computer che non parte. Mi fanno pure un po’ pena.
Ci hanno chiesto se vogliamo andare dallo sportello dello psicologo della scuola. E da come ce l’han detto, ho capito che ci andrebbero volentieri pure loro, poveracci. A me pare un po’ da sfigati, andarci. Ma gli chiederei una cosa. Che è quella di prima: ma perché se cambia tutto, se il mondo crolla, se non si vive più, se qua rischiano di morire tutti i vecchi, solo la scuola non deve cambiare?
Io non lo so come, ma questa cosa che noi potremmo essere vivi, e sempre diversi, e le lezioni registrate di professori sempre uguali (magari morti, a un certo punto), mi fa impressione. Perché io, che sono vivo, devo imparare da una cosa morta? E poi, se le mettono online e uno se le sente quando vuole, allora anche basta con la scuola: ognuno fa da casa sua. Sai che bello, se la casa è come la mia. Uno come me -con la mia famiglia, coi miei soldi, con la mia casa- era fuori anche prima. Ma ora siamo fuori tutti. Io non lo so, raga, come se ne esce. Voi?
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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