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Ambiente / Approfondimento

L’energia cooperativa illumina le case di 1,25 milioni di europei

A dieci anni dalla sua fondazione REScop è arrivata a riunire 1.900 cooperative energetiche rinnovabili che hanno sede in 28 Paesi europei © EWS Schönau

Da dieci anni la federazione REScoop lavora per diffondere e far crescere le comunità energetiche. Un modello che, anche per effetto dell’aumento dei prezzi dell’energia, coinvolge un numero sempre maggiore di persone

Tratto da Altreconomia 264 — Novembre 2023

Durante l’impennata dei prezzi dell’energia del 2022, migliaia di persone in Belgio hanno avuto la possibilità di pagare bollette con tariffe scontate della metà rispetto a quelle offerte dagli operatori commerciali. Tutte fanno parte della cooperativa energetica Ecopower, la più grande realtà di questo genere del Paese che fornisce elettricità a più di 50mila case. Fondata nel 1991, produce oggi energia da fonte solare, eolica e idroelettrica per 90 gigawattora (GWh) all’anno. È parte di una realtà internazionale che riunisce 1.900 cooperative energetiche in tutta Europa e più di 1,25 milioni di cittadini. Si tratta di REScoop, la Federazione europea delle cooperative energetiche, nata nel 2013 con l’obiettivo di dare voce alle iniziative dal basso e diffondere in tutta Europa le pratiche collettive di produzione di energia da fonti rinnovabili.

A dieci anni dalla sua fondazione, la federazione ha ottenuto importanti risultati perché questo modello si sta sviluppando sempre più. “Durante la crisi è emerso chiaramente che quando una comunità energetica ha anche i propri siti di produzione, può vendere l’elettricità in base ai costi di generazione, invece che a quelli di mercato. In questo modo è possibile offrire ai soci un prezzo stabile, che può essere anche la metà di quello di mercato nei momenti di crisi”, spiega ad Altreconomia Sara Tachelet, responsabile progetti e comunicazione di REScoop. Secondo la federazione, proprio la crisi del gas fossile causata dall’invasione russa dell’Ucraina ha accresciuto la necessità di accelerare la diffusione di questo modello in tutta Europa. Un modello in grado di dare una risposta alla crisi del cambiamento climatico, alla dipendenza geopolitica dalle fonti fossili, alla fluttuazione dei prezzi e alla povertà energetica.

Oggi, nei Paesi dell’Unione europea, si stimano 9.846 iniziative di questo tipo che coinvolgono quasi due milioni di persone. Il primo tentativo di fotografare questo fenomeno si deve al lavoro di alcuni ricercatori dell’Università di Scienze applicate della Norvegia occidentale che hanno creato un inventario delle iniziative energetiche collettive raccogliendo dati in trenta Paesi dal 2000 al 2021. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Scientific Report, del gruppo Nature, a marzo 2023.

Per realizzare il censimento, i ricercatori hanno fatto riferimento a una definizione molto ampia, che comprende ogni iniziativa guidata dai cittadini che si impegnano per ottenere benefici sociali o ambientali in attività legate alla transizione energetica. Possono essere quindi persone che fanno investimenti collettivi in pannelli solari o altre rinnovabili, oppure che possiedono una società di fornitura di energia o una rete di distribuzione. Alcuni gruppi lavorano insieme in modo informale, mentre altri creano entità legali come cooperative, partenariati, società di interesse comunitario, fondazioni, organizzazioni senza scopo di lucro, trust e associazioni.

Il 75% dei cittadini italiani che aderirebbe a una cooperativa energetica se ve ne fosse una nella sua zona. Il sondaggio è stato realizzato nel 2021 dalla Fondazione europea per il clima

Dai dati raccolti emerge il primato della Germania con più di cinquemila comunità, pari a più della metà del totale nell’Unione europea. Subito dopo ci sono Paesi Bassi (999), Danimarca (665) e Irlanda (565). L’Italia è al decimo posto, con 207 iniziative censite. Per molti Stati invece è difficile raccogliere le informazioni, per questo gli autori specificano che l’inventario non è del tutto esaustivo e i numeri potrebbero essere anche maggiori.

Un sondaggio di YouGov commissionato nel 2021 dalla Fondazione europea per il clima ha rivelato un grande interesse per queste realtà. In tutta Europa, il 61% degli intervistati ha dichiarato che sarebbe disposto ad aderire a una cooperativa energetica se ne venisse creata una nella propria zona. Il sostegno è stato massimo in Romania (85%), Italia (75%), Bulgaria (75%), Polonia (74%), Grecia (71%) e Spagna (69%).

Le ragioni che possono spingere le persone a intraprendere progetti energetici cooperativi sono diverse. Il primo è sicuramente la garanzia di avere accesso a un’energia pulita e locale, non dipendente dalle compagnie del settore. Questo perché i soci non sono clienti ma co-investitori, proprietari e beneficiari dei progetti e dei servizi ideati e realizzati dalla loro comunità. “Ma i benefici sono molteplici e possono variare in base al contesto locale. Regioni diverse affrontano sfide e opportunità uniche”, aggiunge Tachelet.

Le comunità possono distribuire ai soci i profitti ricavati dalla vendita del surplus di energia prodotta, oppure accumulare capitale da reinvestire in nuovi progetti locali in grado di creare ricchezza sul territorio o sostenere il volontariato. In Inghilterra il gruppo di cooperative Brixton solar ha deciso di assistere i soci che si trovano in condizioni di povertà energetica destinando il 20% dei profitti a un programma specifico. Attraverso i fondi si finanziano lavori di ristrutturazione delle case per migliorare isolamento, interventi di efficienza energetica e corsi di formazione per ridurre il consumo energetico. Per REScoop le comunità energetiche possono anche “svolgere un ruolo cruciale nel promuovere e aumentare l’accettazione dei progetti di energia rinnovabile e ottenere il sostegno locale”.

Nei prossimi anni è prevista una crescita di queste realtà in tutto il continente europeo. “Nei Paesi in cui il concetto è relativamente nuovo, come l’Europa centrale e orientale, l’adozione delle comunità energetiche sta rapidamente accelerando -chiarisce Sara Tachelet-. Mentre in quelli che hanno già una tradizione consolidata, queste iniziative si stanno espandendo in nuovi campi”. I settori emergenti includono lo stoccaggio di energia, la mobilità elettrica, l’utilizzo di sistemi di gestione che impiegano strumenti di intelligenza artificiale e software liberi.

Il Pacchetto energia pulita adottato dall’Unione europea ha riconosciuto i cittadini come attori importanti nel mercato dell’energia e con due Direttive ha definito le comunità energetiche di cittadini e quelle rinnovabili. I Paesi dell’Unione europea, quindi, devono sostenerne attivamente la creazione, rimuovere ogni potenziale barriera e incoraggiare le comunità energetiche a creare e far crescere le loro attività attraverso quadri normativi nazionali.

Ma alcuni Stati sono ancora molto indietro con il recepimento delle Direttive o hanno carenze sostanziali nelle normative nazionali. La Germania, ad esempio, sta ancora lavorando alla piena attuazione della Direttiva sulle energie rinnovabili (la cosiddetta Red II). “L’Irlanda, invece, può essere considerata un buon esempio. Il governo si è adoperato per replicare il ‘cares scheme’ scozzese, che funge da sportello unico per aiutare le comunità energetiche rinnovabili a sviluppare progetti. Facilita la fornitura di consulenza e supporto alle comunità, sia attraverso l’accesso a esperti sia a figure di tutoraggio. I Paesi Bassi sono un altro Stato guida, con una ricca storia di cooperative energetiche. Hanno un fondo che può fornire sovvenzioni e prestiti a progetti comunitari potenziali”, conclude Sara Tachelet.

L’implementazione delle Direttive europee, l’urgenza di garantire sicurezza e efficienza energetica, potrebbero stimolare lo sviluppo di nuove comunità rinnovabili e dare loro un ruolo sempre più importante nel percorso di transizione ecologica europea. E l’Italia si trova oggi in una posizione di stallo. La Direttiva Red II è stata recepita solo parzialmente con il decreto Mille Proroghe del 2020 che ha permesso di testare le potenzialità e le criticità delle comunità energetiche nei territori. Anche se il decreto 199 del 2021 l’ha applicata integralmente, ma a oggi mancano ancora i decreti attuativi che permetterebbero di sbloccare cinque miliardi di investimenti. A questo ostacolo si aggiunge la necessità di semplificare le procedure autorizzative dei nuovi impianti, ma anche quella di adeguare reti vetuste, sovraccariche e inadeguate ad accogliere nuova energia rinnovabile.

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