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Che cosa deve fare l’Italia per decarbonizzare l’intero sistema elettrico entro il 2035

© Fré Sonneveld, unsplash

Uno studio commissionato a ECCO da Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf indica quali sono gli interventi necessari per raggiungere l’obiettivo: un incremento di oltre 90 GW di rinnovabili rispetto alla capacità installata del 2021, stop ai sussidi al comparto fossile e maggiori interventi per garantire la flessibilità della rete

Rispettare gli impegni assunti dal Governo Draghi in occasione del G7 del maggio 2022 e costruire un sistema elettrico “in larga parte decarbonizzato” al 2035 è possibile. Le tecnologie per realizzarlo ci sono già ma è necessario un significativo cambio di rotta nell’installazione di impianti fotovoltaici ed eolici oltre che nella flessibilità del sistema elettrico. È quanto emerge dallo studio commissionato da Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia a da ECCO, il think tank indipendente su energia e clima, e alla società Artelys.

“Qui non è in gioco solo la capacità di produrre energia elettrica senza emettere CO2 ma la capacità di far compiere all’intera economia un passo importante verso la decarbonizzazione -ha spiegato Michele Governatori, analista di ECCO, durante presentazione del rapporto che si è svolta il 12 giugno a Roma-. Pensiamo ai settori che transitano all’elettrico: il riscaldamento delle case attraverso il ricorso crescente alle pompe di calore al posto delle caldaie a gas o l’auto elettrica. Questo farà aumentare in maniera significativa la domanda di energia e farà da traino alla decarbonizzzazione di questi comparti”.

Ma quali caratteristiche dovrà avere nel 2035 un sistema elettrico a bassissime emissioni di carbonio nel 2035? Lo studio curato da ECCO e Artelys valuta il percorso più economico per garantire sia l’obiettivo di ridurre drasticamente le emissioni climalteranti, sia la sicurezza energetica. La prima evidenza è la necessità di un incremento di oltre 90 GW di rinnovabili rispetto alla capacità installata del 2021, una quantità di poco superiore rispetto agli 85 GW già prefigurati da Elettricità futura, la principale associazione delle imprese del settore. L’obiettivo è arrivare al 2030 a circa 160 GW di capacità rinnovabile installata e a circa 250 GW nel 2035 per una capacità di produzione di quasi 450 TWh.

Ma aumentare le superfici di pannelli fotovoltaici o il numero di pale eoliche installate non è sufficiente: “La flessibilità avrà un ruolo decisivo su diverse scale temporali (giornaliera, settimanale, stagionale) e richiederà un mix di tecnologie che include flessibilità della domanda (demand response), accumuli ed elettrolizzatori oltre che import”, si legge nel rapporto. In particolare, ECCO ha inserito tra le scelte tecnologiche e di investimento il raggiungimento di un livello minimo di investimento in sistemi di accumulo, comprese le batterie.

Il modello elaborato inoltre considera una sufficiente produzione di idrogeno verde per la produzione industriale e non prevede alcun ricorso ai sistemi di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica (carbon capture and storage), tecnologia giudicata eccessivamente onerosa e dipendente da sinergie con la filiera del petrolio e del gas e pone un tetto alla capacità di generazione di energia da biomasse: “Sebbene si tratti di una fonte di energia rinnovabile, sappiamo che queste incidono sulla qualità dell’aria”, sottolinea Governatori.

Affinché il sistema elettrico decarbonizzato al 2035 sia fattibile al costo più basso possibile sono inoltre necessarie alcune politiche abilitanti, a partire dalla coerenza del Piano nazionale integrato energia e clima (che il governo deve aggiornare entro fine giugno) con gli obiettivi di decarbonizzazione e incremento delle rinnovabili, oltre al monitoraggio. Occorre poi eliminare gli investimenti incoerenti con la decarbonizzazione. “Il sistema tariffario non deve remare in direzione contraria: se continuo a incentivare l’acquisto di caldaie a gas non sto indirizzando i consumatori nella giusta direzione -segnala Governatori-. Le risorse non sono illimitate e avendo davanti a noi pochi anni per realizzare questa transizione è necessario interrompere gli investimenti in asset gas, incluso l’ambito del capacity market che remunera la capacità di produzione elettrica delle centrali a gas”.

Un nodo particolarmente critico, infine, è quello che riguarda le procedure di autorizzazioni. Un tema che è stato ricordato con forza da Stefano Ciafani, presidente di Legambiente: “Lo studio come le fonti pulite sono la strada giusta da percorrere ma il nostro Paese deve accelerare il passo, velocizzando gli iter autorizzativi, a partire dai nuovi progetti di fotovoltaico ed eolico, accelerando la realizzazione dei grandi impianti, lo sviluppo di reti e accumuli, la diffusione delle comunità energetiche replicando le esperienze virtuose e aprendo tanti cantieri che vanno nella giusta direzione della transizione ecologica -ha commentato Ciafani-. L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un hub strategico delle rinnovabili, e non del gas come invece vuole il Governo Meloni, ma per farlo deve trovare il coraggio di archiviare gli ingenti sussidi alle fonti fossili e deve essere capace di autorizzare in pochi mesi i nuovi impianti a fonti pulite”.

“L’analisi che presentiamo dimostra come, anche in Italia, la transizione energetica verso una base completamente rinnovabile del sistema elettrico sia ampiamente possibile e con tecnologie già disponibili -ha chiarito Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia-. Se il nostro Paese vuole compiere una svolta e non vuole de-industrializzarsi non deve rallentare il proprio percorso verso la transizione energetica. Rallentare sarebbe un suicidio, anche per il nostro comparto industriale”.

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