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Economia / Attualità

L’elenco dell’Onu delle aziende che supportano l’occupazione israeliana

© Dan Meyers - Unsplash

Da Airbnb a Booking, da Expedia a TripAdvisor, fino a eDreams. L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha divulgato a fine giugno l’aggiornamento del database delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi, definendo il loro contributo alla violazione del diritto internazionale

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite ha divulgato a fine giugno un aggiornamento del database delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi occupati (Opt), inclusa Gerusalemme Est. L’inchiesta dell’Onu ha l’obiettivo di approfondire le conseguenze sui diritti civili, politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese nei territori illegalmente occupati da Israele da oltre 50 anni, fortemente penalizzati dal rischio di conflitti e violenze e dalla sistematica violazione dei diritti umani. 

L’idea di una lista di imprese presenti nei Territori è nata nel 2016 dall’iniziativa del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, per dare seguito al rapporto del 2013 della Missione di indagine indipendente sulle implicazioni degli insediamenti israeliani. Secondo il diritto internazionale, infatti, tutti gli insediamenti nei Territori sono da considerarsi illegittimi e in aperto contrasto con le norme consuetudinarie e convenzionali; sebbene la creazione e l’espansione degli insediamenti nei territori occupati, nonché il trasferimento di popolazione civile da parte di Israele in questi territori, siano quindi contrari al diritto internazionale, il rapporto non vuole essere un avvertimento di carattere giudiziale o stragiudiziale, né sindacare sulla legalità delle attività di per sé, ma rispondere a un principio di trasparenza e dialogo con gli Stati. 

Il primo database è stato pubblicato nel 2020 e ha identificato 112 aziende coinvolte; a oggi, dopo circa tre anni di indagini, risorse molto limitate e una comunicazione difficoltosa tra l’ufficio dell’Alto commissario e le aziende, appena 15 imprese sono state rimosse dal database. L’inchiesta internazionale ha indagato le struttura delle attività e ha decretato il loro coinvolgimento in base a parametri forniti dal Consiglio per i diritti umani. Sono stati considerati, per esempio, l’utilizzo delle risorse naturali di quei territori per fini commerciali, la fornitura di materiali per l’espansione degli insediamenti, del muro e dei checkpoint e di attrezzature per la distruzione di abitazioni, fattorie e colture, l’inquinamento o lo smaltimento di rifiuti e il controllo dei mercati finanziari ed economici palestinesi, che si traduce in pratiche che svantaggiano le imprese palestinesi, inclusi restrizioni alla libertà di movimento, vincoli amministrativi e legali. Attività che contribuiscono alla violazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e della sua emancipazione. 

Delle entità commerciali identificate nell’ultimo rapporto, 94 hanno sede in Israele e 18 in altri sei Stati; nella lista appaiono, tra le altre, diverse aziende molto conosciute e utilizzate dal mondo occidentale che si occupano di viaggi e turismo, prima fra tutte Airbnb, ma anche Booking, Expedia, TripAdvisor ed eDreams. 

La redazione di un database “basato sui fatti e altamente complesso”, secondo l’ex Commissaria Michelle Bachelet, è una presa di posizione netta da parte della comunità internazionale, che da anni condanna l’occupazione dei territori palestinese e la sistematica negazione dei diritti umani. L’attuale Commissario, Volker Türk, si è detto fiducioso dell’efficacia di questo strumento, con la speranza che possa rafforzare la sensibilità degli Stati e delle aziende rispetto all’occupazione illegittima di questi territori e alla conseguente situazione di conflitto in atto, a causa della quale, secondo Save the children, circa 2,45 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria. Tuttavia, non possono essere solo gli sforzi della comunità internazionale, che come noto quasi mai esercita poteri coercitivi, a risolvere una crisi umanitaria così profonda e senza precedenti. È necessario condannare, anche con strumenti blandi come il database delle Nazioni Unite, aspetti meno conosciuti rispetto all’occupazione militare, proprio come le entità commerciali che hanno evidentemente un interesse affinché l’occupazione prosegua, facendo prevalere i rapporti economici con Israele al rispetto dei diritti umani fondamentali. 

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