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Ambiente / Approfondimento

Le microplastiche negli oceani e gli impatti del settore tessile. Un problema globale

Quasi l’8% delle microplastiche europee rilasciate negli oceani deriva da tessuti sintetici. A livello globale questa cifra è stimata al 16-35%. Tra 200mila e 500mila tonnellate di microplastiche tessili entrano nell’ambiente marino globale ogni anno. La ricerca dell’Agenzia europea per l’ambiente e il “peso” della fast fashion

© VITO

Almeno 14 milioni di tonnellate di microplastiche si sono accumulate sui fondali marini e oceanici e la loro quantità aumenta di anno in anno. La diffusione di questi materiali nell’aria, nelle acque e nel suolo rappresenta una minaccia per l’ambiente, gli ecosistemi e la salute umana. Il settore tessile è uno dei principali responsabili per l’inquinamento da microplastiche, tra le 200mila e le 500mila tonnellate ogni anno, che vengono prodotte durante l’intero ciclo vitale del settore. Secondo la ricerca “Microplastic pollution from textile consumption in Europe” pubblicata il 10 febbraio 2022 dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) il settore tessile produce l’8% delle microplastiche europee e una quantità incerta ma stimata tra il 16% e  il 35% a livello globale. 

La maggior parte di questi rifiuti viene generata durante i primi lavaggi dei tessuti e indumenti in particolare se materiali sintetici, ma anche la produzione, l’utilizzo e lo smaltimento emettono questo genere di rifiuti. Le lavatrici domestiche non possiedono un filtro in grado di raccogliere particelle così piccole che entrano in circolazione nelle acque e, se non sono adeguatamente raccolte dai depuratori, raggiungono i fiumi e quindi gli oceani. Secondo la ricerca la quantità di microfibre emessa dipende da diversi fattori: dal tipo di lavatrice, dall’aggressività dei detersivi e dal loro tipo (i detergenti solidi ne producono di più), dalla temperatura e dalla durata del ciclo di lavaggio e dal carico. Si ritiene che il settore tessile in Europa sia responsabile di 13mila tonnellate di plastica all’anno, 25 grammi a persona, che si deposita negli oceani. Per l’Agenzia è possibile ridurre l’impatto ambientale del settore tramite l’utilizzo di materiali alternativi e sostenibili, una maggiore attenzione ai processi produttivi, l’aumento della durata dei capi, lo sviluppo di un’economia circolare e un corretto smaltimento degli scarti. 

Le microplastiche sono frammenti di dimensione inferiori al millimetro immesse nell’ambiente sia dal settore industriale (microplastiche primarie, dovute a processi industriali) sia dal degrado di rifiuti plastici a causa degli agenti atmosferici (microplastiche secondarie, generate da uno smaltimento scorretto dei rifiuti).

Le fonti delle microplastiche e le vie di rilascio – © Collaborating Centre on Sustainable Consumption and Production (CSCP)

Le primarie si trovano già come frammenti di plastica, ad esempio sono inserite nei cosmetici o nei campi sportivi sintetici oltre ad essere prodotte da perdite nei processi produttivi o dall’usura di materiali, come pneumatici, strade o dal lavaggio di tessuti. Secondo l’Agenzia europea delle sostanze chimiche (Echa) ogni anno in Europa vengono usati prodotti contenenti 145mila tonnellate di microplastiche. Il principale responsabile è la Cina per il 20% del peso, seguono le aree del Nord America (16%), dell’Asia (14%) e dell’Europa occidentale (11%) e centro-orientale (8%). 

La loro diffusione di microplastiche in aria, acqua e suolo ne comporta un accumulo lungo la catena alimentare e l’assunzione tramite il cibo da parte dell’uomo, ma gli effetti a lungo termine sono ancora ignoti. È stato ipotizzato che possano provocare infiammazioni nell’organismo oltre a veicolare sostanze tossiche o agenti patogeni come virus o batteri. Uno studio dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2019 ha analizzato 57 campioni di soft-drink trovando tracce di plastica nell’85%. 

La soluzione al problema richiede un approccio multidisciplinare che includa le tre fasi della filiera: produzione, uso e smaltimento. Si raccomanda, per esempio, l’utilizzo di fibre naturali in alternativa ai materiali sintetici attualmente usati nel 60% dei casi, in quanto i loro prodotti di scarto sarebbero biodegradabili e persisterebbero nell’ambiente per molto meno tempo. Tuttavia è necessario considerare l’impatto ambientale delle fibre naturali, ad esempio il cotone a parità di peso richiede una quantità maggiore di acqua, suolo e risorse rispetto a nylon e poliestere. “La complessità della questione potrebbe suggerire che la riduzione del consumo globale sia la soluzione più efficace per ridurre l’impatto ambientale del tessile”, raccomandano i ricercatori. Ulteriori pratiche consistono in metodi di produzione più sostenibili e nell’effettuare un pre-lavaggio presso la fabbrica dove le acque di scarto sono filtrate con maggiore efficacia ed è possibile intercettare buona parte delle fibre. La parte più importante, però, riguarda l’utilizzo dei prodotti. Nel 2020 il governo francese ha approvato una legge che obbliga tutte le lavatrici a montare un filtro adeguato entro il gennaio del 2025. L’applicazione di questa strategia potrebbe portare alla riduzione dell’80% delle microplastiche immesse nelle acque di scarico. Anche lo sviluppo e l’utilizzo di saponi e detersivi meno aggressivi, specialmente liquidi e in grado di funzionare a basse temperature può aiutare a ridurre il problema. Una parte importante della strategia dell’Agenzia europea consiste nel sensibilizzare la popolazione verso un consumo più consapevole incoraggiandola a estendere la durata dei propri vestiti e a supportare lo sviluppo di un’economia circolare. 

Infine anche la gestione degli scarti ha un ruolo importante nel ridurre la quantità di microplastiche scaricate nell’ambiente attraverso un cattivo smaltimento dei tessuti. Tuttavia, sottolineano gli autori, ridurre il consumo e istaurare un’economia circolare rimangono i migliori metodi per ridurre l’impatto ambientale del settore. “La strategia dell’Ue sui tessili sarà importante per facilitare il passaggio verso una produzione, un utilizzo e una gestione del fine vita più sostenibili tramite un graduale allontanamento dalla fast fashion, dalla breve durata di vita degli indumenti e dalla produzione di rifiuti. Inoltre, il piano d’azione dell’economia circolare dell’Ue prende di mira le microplastiche, sottolineando la necessità di migliorare la nostra conoscenza sull’argomento” conclude la ricerca.

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