Finanza / Approfondimento
Le maggiori banche al mondo continuano a finanziare le industrie fossili
Dal 2016 al 2021 le 60 maggiori banche al mondo hanno investito 4,6mila miliardi di dollari nei combustibili fossili di cui 742 miliardi solo lo scorso anno. Smentite ancora una volta le promesse di allinearsi agli Accordi di Parigi sul clima. Il nuovo report “Banking on climate chaos”
Dal 2016 al 2021 le 60 maggiori banche al mondo hanno investito 4,6mila miliardi di dollari nei combustibili fossili di cui 742 miliardi solo lo scorso anno. Smentite le promesse di allinearsi agli Accordi di Parigi sul clima, i quali prevedono di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 1,5 °C medi. La situazione delle banche italiane non è differente: in particolare Intesa Sanpaolo ha raddoppiato durante l’ultimo anno il suo investimento annuale nell’espansione degli idrocarburi passando dai 635 milioni di dollari del 2020 a 1,24 miliardi nel 2021 per un totale di 5,47 miliardi investiti negli ultimi sei anni. Lo riporta l’edizione 2022 del report “Banking on climate chaos” pubblicato il 30 marzo 2022 da una coalizione di organizzazioni internazionali impegnate nella difesa del clima (Rainforest action network, Banktrack, Indigenous environmental network, Oil change international, Reclaim finance, Sierra Club, e Urgewald) che analizza il coinvolgimento delle principali 60 banche al mondo nel campo dei combustibili fossili. “La scienza del clima ha affermato chiaramente che non ci può essere alcuna espansione dei combustibili fossili se vogliamo limitare il riscaldamento globale a 1,5˚ C. Ma le banche hanno continuato a finanziare aziende che progettano di aprire nuove frontiere all’estrazione di idrocarburi. Qualsiasi serio impegno sul raggiungimento della neutralità climatica deve anche significare l’esclusione dai finanziamenti di tutti i progetti e le aziende che operano nel settore fossile”, spiega a proposito Maaike Beenes responsabile della campagna banche e clima di Banktrack iniziativa internazionale attiva nella lotta alla finanza fossile.
Sono le banche statunitensi, in particolare Jp Morgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America, a guidare la corsa al fossile, avendo sostenuto infatti un quarto dei finanziamenti che il settore ha ricevuto negli ultimi sei anni. Nel corso del 2021, ad esempio, Jp Morgan ha supportato l’azienda russa Gazprom per un totale di 1,1 miliardi di dollari. La banca statunitense è il primo sostenitore del fossile avendo investito oltre 382 miliardi di dollari negli ultimi sei anni.
Anche le banche che hanno pubblicamente assicurato di volersi allineare agli Accordi di Parigi hanno sostenuto in realtà società che contribuiscono pesantemente all’emissione di gas climalteranti. Nel mese di aprile 2021 è stata lanciata la “Net-zero banking alliance”, coalizione di istituti finanziari con lo scopo dichiarato di raggiungere la neutralità climatica del proprio portafoglio entro il 2050. Tuttavia i membri dell’accordo hanno continuato a investire nell’espansione dei combustibili fossili. Ad esempio nel maggio 2021 Citi e Jp Morgan Chase hanno finanziato l’azienda petrolifera Saudi Aramco per un totale di 10 miliardi di dollari. In generale dei 44 membri dell’alleanza ben 27 non hanno ancora adottato delle misure per assicurarsi che i propri investimenti non danneggino il clima.
Anche Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno aderito alla “Net-zero banking alliance” ma il loro comportamento non ha mostrato miglioramenti significativi. Secondo il report le due banche sono tra i principali finanziatori delle fonti fossili avendo contribuito alla loro espansione con rispettivamente 7,95 e 5,47 miliardi di dollari. Intesa ha sostenuto nel 2021 investimenti per 1,24 miliardi, molto vicini ai valori del 2016. Unicredit invece, nonostante abbia ridotto i suoi fondi fossili dai 1,53 miliardi nel 2016 ai 970 milioni del 2021, ha tenuto un andamento estremamente irregolare; infatti, nel 2020 sono stati investiti più di tre miliardi di dollari in aziende che hanno allargato la propria produzione di combustibili fossili. I fondi più consistenti delle due banche italiane hanno riguardato i giacimenti offshore; Intesa Sanpaolo ha investito un totale di 2,26 miliardi di dollari di cui 804 milioni nel 2021 un incremento di 228 milioni rispetto al 2016. Il coinvolgimento di Unicredit invece riguarda 3,89 miliardi di dollari negli ultimi sei anni, 1,24 miliardi nel 2021 con un aumento di 666 milioni. Un altro dei settori fossili dove le banche italiane sono state più attive è lo sviluppo del Gas naturale liquefatto (Gnl). “Nonostante il Gnl sia stato spesso presentato da governi, banche e industrie come un ‘combustibile ponte’ necessario per la transizione ecologica, l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) ha affermato come non ci sia spazio per nuovi progetti di estrazione o trasporto di gas fossile in uno scenario Net-zero”, si legge nel report. Intesa Sanpaolo ha “scommesso” 1,75 miliardi di cui 186 milioni nel 2021, riducendoli di 236 milioni rispetto all’anno 2016. Unicredit, invece, ha investito di 521 milioni negli ultimi sei anni ma ha praticamente azzerato i propri investimenti nel settore nel corso del 2021. I principali finanziatori del Gnl sono ancora una volta gli istituti statunitensi come Morgan Stanley, Citi e Jp Morgan Chase. I due istituti italiani rimangono ancora impegnati inoltre nel campo dei combustibili fossili non convenzionali come le sabbie bituminose. Nel settore, che ha visto una crescita dei fondi del 51% dal 2020 al 2021 principalmente per mano di banche statunitensi o canadesi, Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno impegnato un totale di 22 milioni complessivi negli ultimi sei anni. Delle 60 banche esaminate 21 hanno adottato criteri che escludono il fracking dai loro finanziamenti. Le maggiori banche statunitensi (come Jp Morgan Chase, Bank of America e Citi) si sono ben guardate dal farlo.
Il campo in cui gli istituiti italiani sono maggiormente esposti sono infine i giacimenti di gas e petrolio artici. Unicredit, infatti, è la terza banca per fondi concessi, dopo Bnp Paribas e Jp Morgan Chase, avendo fornito un totale di 2,87 miliardi di dollari in sei anni e aumentando di 289 milioni i propri fondi rispetto al 2016. Se invece Intesa Sanpaolo ha finanziato le estrazioni nell’Artico con “solo” la metà degli investimenti di Unicredit, nel corso degli ultimi sei anni ha incrementato i propri fondi di ben 662 milioni di dollari raggiungendo i 711 milioni annuali. “Nonostante 39 su 60 delle banche analizzate abbiano sviluppato una qualche forma di policy sul gas e il petrolio artici, molte di queste utilizzano una definizione di ‘Artico’ ristretta limitandone così l’efficacia -si legge nel report-. Un’indagine di Reclaim Finance ha mostrato come, ad esempio, le misure adottate da Bank of America, Unicredit e Mizuho si applichino solo al Circolo polare artico il che esclude 168 progetti di estrazione di gas e petrolio situati in prossimità della regione”.
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