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Finanza / Attualità

Le fake news sul clima dell’uomo di Intesa Sanpaolo in Russia

© Greenpeace

Il 14 dicembre su Il Sole 24 Ore è comparso un editoriale a firma di Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia, con attacchi alle rinnovabili (un “lusso” dei Paesi ricchi) e omissioni sui finanziamenti fossili della banca nell’Artico russo. ReCommon ne ha smontato pezzo per pezzo la retorica

Martedì 14 dicembre è arrivato l’ennesimo tentativo della finanza italiana di eludere le azioni necessarie per contrastare il riscaldamento globale. Un tentativo compiuto in sordina, attraverso le pagine de Il Sole 24 Ore, ma non per questo meno pericoloso. A destare preoccupazione è innanzitutto la tempistica, essendo trascorso appena un mese dalla Conferenza sul clima di Glasgow (Cop26). A ciò si aggiunge il peso dell’autore del commento: Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia e dell’associazione “Conoscere Eurasia”.

L’editoriale di Antonio Fallico pubblicato su Il Sole 24 Ore martedì 14 dicembre 2021

L’incorporazione di UBI ha permesso a Intesa Sanpaolo di divenire, sotto ogni punto di vista, il primo gruppo bancario italiano, nonché di entrare nella “top 30” delle banche mondiali. È quindi innegabile che sia un attore finanziario con cui fare i conti, sia sotto il profilo economico sia sociale. Sul piano italiano questo significa che bisogna prestare molta attenzione alle esternazioni degli esponenti del gruppo, perché sono un buon indicatore delle discussioni in seno a Piazza Affari o per la sua capacità di essere primum movens, cioè spingere in una precisa direzione affinché diventi dominante, sia esso un determinato settore industriale su cui puntare o un pacchetto di politiche da approvare.

Dal 2003 alla guida di Banca Intesa Russia, Fallico può fregiarsi dell’Ordine dell’Amicizia, riconoscimento del suo contributo per il rafforzamento dei rapporti economico-culturali tra Italia e Federazione russa, pervenuto dietro decreto presidenziale russo. Nello stesso anno fu nominato Console Onorario della Federazione russa a Verona e nel 2012 presidente del Consiglio di Sorveglianza del MIR, primo fondo di investimenti italo-russo, fondato da Intesa Sanpaolo e Gazprombank. È così divenuto la figura di raccordo tra gli interessi dell’industria dei combustibili fossili russa e l’Italia, tanto che Novatek -la più grande società privata produttrice di gas in Russia- si è spinta a elogiare pubblicamente Intesa Sanpaolo come perno dei suoi finanziamenti europei. Un flusso di denaro iniziato nel 2016 con il finanziamento di Yamal LNG, megaprogetto di gas naturale liquefatto nell’Artico russo, per un totale di 750 milioni di euro. 

Per queste ragioni, nel commento ospitato da Il Sole 24 Ore è innanzitutto il linguaggio super partes a stupire, quasi come se la crisi climatica in corso non abbia alcune legame con i prestiti, le sottoscrizioni e gli investimenti della finanza nei settori industriali climalteranti, a partire dai combustibili fossili. Nonostante il goffo tentativo di porsi come “parte della soluzione”, è utile ricordare che Intesa Sanpaolo è il gruppo bancario italiano che ha maggiormente foraggiato carbone, petrolio e gas dal 2016 a oggi, motivo per cui le è stato attribuito il titolo di banca nemica del clima “numero uno” in Italia.

Fallico scrive che in Russia “nei discorsi di politica, amministrazione e impresa, la tematica green è diventata oggi imprescindibile. Nel 2020 questa tendenza non era ancora evidente”. Quando il futuro del Pianeta viene derubricato a tendenza –trend, quindi opportunità- che compare da un anno all’altro, non può che sorgere qualche dubbio sulla buona fede. 

È utile ricordare che Fallico è anche presidente dell’associazione Conoscere Eurasia, promotrice del Forum Economico Eurasiatico di Verona. Giunto quest’anno alla quattordicesima edizione, il Forum si pone l’obiettivo di essere un momento di confronto e rafforzamento delle relazioni tra Italia, Unione europea, Federazione russa e Unione economica eurasiatica. Sicuramente nel 2020 la tendenza green in Russia di cui parla Fallico non era così evidente, tanto che Leonid Mikhelson, amministratore delegato di Novatek, in occasione del Forum affermava che “l’ottemperanza all’Accordo di Parigi è un obiettivo piuttosto complicato” e che il gas sarebbe stato in un certo senso decarbonizzato. 

Nel 2021 le paventate tendenze green della Federazione hanno vacillato ulteriormente con l’approvazione del quadro finanziario a supporto di Arctic LNG-2, progetto gemello di Yamal LNG a guida Novatek-Total, che produrrà 19,8 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all’anno per i prossimi vent’anni. Gas che arriverà principalmente sui mercati asiatici e, in seconda battuta, in Europa, con la conseguenza di un pericoloso effetto lock-in delle economie europee ai combustibili fossili oltre la fatidica data del 2050. Il finanziamento di Arctic LNG-2 è avvenuto pochi giorni dopo la fine della Cop26 di Glasgow, con il supporto dell’agenzia italiana per il credito all’esportazione SACE a garanzia del finanziamento da parte di Intesa Sanpaolo e di Cassa Depositi e Prestiti. Se ciò non bastasse, Novatek ha fatto anche sapere di essersi aggiudicata una licenza di ricerca, esplorazione e produzione per quello che dovrebbe essere il progetto Arctic LNG-1.

Infine, l’estro di Fallico raggiunge il suo apice quando parla delle modalità per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. Introducendo quelle che chiama “strade”, pone in secondo piano la dismissione dei combustibili fossili e si cimenta in quello che, in gergo anglosassone, è definito cherry picking, cioè sceglie la strada che maggiormente risponde agli interessi del gruppo finanziario di cui fa parte e dell’industria fossile russa: quella della compensazione delle emissioni di CO2 attraverso progetti di riforestazione e di conservazione delle foreste, per la loro capacità di assorbimento dell’anidride carbonica.

In tempi recenti l’industria fossile sta già implementando questo approccio attraverso il finanziamento di progetti cosiddetti REDD+, e fa pressione su governi e istituzioni internazionali per far passare l’idea che sia possibile compensare le emissioni prodotte attraverso il loro assorbimento. Inoltre, un approccio di questo tipo si inserisce perfettamente in una logica di mercato, per cui qualsiasi bene può essere oggetto di scambio economico. In questo caso, si tratta del mercato dei crediti di carbonio, secondo cui società e governi possono scambiarsi quote di inquinamento, “compensandosi” vicendevolmente. Nella realtà, ciò significa proseguire con l’esplorazione, produzione e combustione di idrocarburi, con il risultato di aumentare le emissioni complessive. 

Inoltre progetti di riforestazione o di conservazione delle foreste ricadono sempre più su comunità locali di geografie terze rispetto a chi inquina, prevalentemente popoli originari che non vedono così riconosciuto il proprio diritto alla terra e, anzi, sono rappresentati come una minaccia per la biodiversità e per le foreste stesse, a causa delle proprie pratiche culturali o di sussistenza. Oltre al danno la beffa, dal momento che spesso sono invece queste comunità a difendere le foreste dagli attacchi della grande industria fossile e agroalimentare, anche a costo della vita. Motivo per cui, durante la Cop26 di Glasgow, le delegazioni dei popoli originari hanno denunciato i meccanismi di compensazione come “neocoloniali”. Con buona pace di Fallico e della sua retorica, che spaccia questi meccanismi come una soluzione a basso costo per i Paesi più poveri, che non possono avvalersi della tecnologia di quelli più ricchi.

L’industria fossile ringrazia, perché il convitato di pietra, mai nominato del commento comparso su Il Sole 24 Ore è, appunto, il gas fossile, su cui la Federazione russa -e non solo- punta moltissimo nei prossimi anni. 

Fallico conclude affermando che “gli slogan non renderanno l’economia sostenibile”. Su questo è difficile dargli torto. C’è bisogno di azioni concrete, ed è ora che la finanza metta parte gli slogan di greenwashing e faccia seriamente la sua parte, ponendo fine ai finanziamenti per nuovi progetti di esplorazione, produzione, trasporto e consumo di combustibili fossili. Intesa Sanpaolo compresa.

Simone Ogno è campaigner finanza e clima di ReCommon

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