Diritti / Intervista
“Le dannate del mare”, per un altro sguardo sulle migrazioni femminili
La geografa Camille Schmoll si è messa in ascolto di centinaia di donne nelle strutture di accoglienza e detenzione di Italia e Malta. Il suo saggio vuole combattere gli stereotipi di genere su di loro. L’abbiamo intervistata
Guardare alle migrazioni con gli occhi delle “dannate del mare”. L’invito della geografa Camille Schmoll, direttrice alll’École des hautes études en sciences sociales (Ehess) di Parigi, non è un vuoto esercizio di stile. Rimettere al centro il tema di genere significa riscrivere parte di una storia, quella delle migrazioni femminili, relegata a una narrazione spesso piatta che associa la donna alla vittima soggiogata e controllata dall’uomo con cui viaggia.
“Ci sono pochissime figure ‘tipicizzate’ a cui si riconducono i racconti sulle donne in movimento: l’eroina, la vittima, oppure la compagna. Ed è fondamentale complessificare l’approccio”, spiega ad Altreconomia Schmoll, che ha condensato i dieci anni di osservazione sul campo nel libro “Le dannate del mare. Donne e frontiere nel Mediterraneo” (Astarte edizioni, 2023). Un viaggio, quello dell’autrice, nato per studiare come le politiche europee impattano sui segni del passato e sui sogni per il futuro delle donne migranti ma, soprattutto, le “tattiche” che mettono in atto per resistere.
Schmoll sceglie una sola storia, esemplificativa delle centinaia che ha ascoltato, da raccontare integralmente. Quella di Julienne, donna di origini camerunensi “obbligata a lasciare il proprio Paese per sfuggire all’oppressione di genere e alla povertà, attraversa ‘l’inferno libico’ e il Mediterraneo, e conosce infine l’erranza e la delusione del rapporto con un’Europa che non la vuole”. Una storia che aiuta l’autrice a tracciare “l’alternanza tra forma passiva e attiva che riflette la tensione nella quale si trovano le donne alle frontiere, prese negli ingranaggi di sistemi d’attori ben più grandi di loro, intrappolate nell’universo delle reti e delle politiche migratorie e tuttavia sempre attrici in prima persona del proprio destino”.
Un destino costruito, giorno dopo giorno, attraverso strategie di resistenza apparentemente insignificanti. Schmoll le ha osservate nei centri di accoglienza, negli hotspot italiani e maltesi, nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Ponte Galeria a Roma. E poco importa che le ultime visite risalgano al 2018: quei luoghi sono ancora impregnati di quelle vite “in pausa” di cui l’autrice vuole dare conto. Un tempo sospeso in attesa di partire verso l’Europa e poi di un trasferimento da un centro sovraffollato a una comunità, piuttosto che un possibile rimpatrio. Sono quelli che la sociologa definisce “paesaggi morali dell’accoglienza” caratterizzati da “immobilismo, isolamento e cattività”.
In Italia ci sono 2,6 milioni di donne straniere. Il 51% del totale dei residenti di nazionalità estera. Il dato è aggiornato al 2021, l’ultimo disponibile
“Le donne si trovano nell’impossibilità di guarire dalle ferite inflitte lungo il percorso a causa delle misure che le immobilizzano e le privano di capacità d’agire”. Allo stesso modo, incide la difficoltà di ottenere un titolo di soggiorno che dipende dalla propria storia e così mantiene aperta una porta verso il passato, spesso costellato di soprusi. “Una violenza lenta e diluita che viene esercitata su queste donne nel quadro di una frontiera che si dilata e si espande”.
In cui Schmoll vuole però sottolineare l’importanza delle cosiddette “scale dell’autonomia”. La ricerca di uno spazio di intimità -spesso in luoghi sovraffollati e promiscui- in cui trovare rifugio e l’attenzione per il proprio corpo che è “il mezzo attraverso il quale il vissuto sensoriale, affettivo ed emozionale della migrazione si compie”.
“La cura dell’estetica, dal vestirsi al truccarsi così come le attività di preghiera, danza e canto -spiega- sono una dimensione di gioco e superficialità che diventano fondamentali per riprendere il controllo della propria traiettoria migratoria”. Che poi, spesso, vengono raccontate alle comunità di riferimento attraverso i social network. “Da fuori, spesso, si riduce tutto a una ‘messa in scena’ vedendo solamente la distanza tra le condizioni di vita e quello che si trasmette nello spazio digitale. Ma è molto di più. Un modo per riappropriarsi e valorizzare ciò che di bello c’è in questo lungo viaggio”. Con il rischio di cadere nelle mani di reti di sfruttamento. Ne è consapevole l’autrice, che però sottolinea la “violenza” di limitare l’accesso a internet o al telefono in diversi luoghi da lei visitati con un “controllo sulle attività digitali che ha effetti deprimenti sulla vita sociale”.
Nel mercato del lavoro italiano le donne straniere, con una paga mediana lorda di 10,34 euro sono il gruppo più penalizzato. Guadagnano infatti meno degli uomini di cittadinanza estera (10,77) ma anche delle donne italiane (11,45)
Corpo, spazio domestico e digitale diventano così centrali nell’analisi dell’autrice che sposa quella visione della geografia politica che non si concentra sulle “macro-scale” per capire le questioni geopolitiche ma sulle azioni che attori “modesti” mettono in atto per resistere. Degli atti di ribellione che fotografano come la vulnerabilità e le spinte verso l’autonomia convivono nelle “dannate del mare”. “Quella dell’autonomia è un’esperienza instabile, riflessiva, sempre parziale e soggetta a contraddizioni, più che una soglia da varcare è un supporto e un orizzonte per il progetto migratorio”, si legge nel libro.
E allora, la fuga dai centri di accoglienza, il rientro oltre l’orario consentito e l’infrangere le regole sull’uso del telefono sono pietre nell’ingranaggio di una macchina amministrativa che soffoca. “Non ci sono solo le ‘donne-eroine’, che sposano il modello liberista e per cui la migrazione è un’impresa personale, o le ‘vittime’. Spesso chi si mette in viaggio si trova nel mezzo. E migrando diventa un’altra persona: non ci sono trasformazioni radicali e univoche ma lente e sfaccettate”. Una complessità che è anche un invito a “femminilizzare lo sguardo sulle migrazioni” ponendo l’accento su effetti pochi studiati.
“L’esperienza delle donne permette di gettare anche una luce nuova sulle esperienze maschili -sottolinea Schmoll- pensiamo alla difficoltà degli uomini di raccontare il proprio corpo, la sfera familiare e quella più intima. O ancora la dimensione riproduttiva”. Sempre più ostacoli caratterizzano il cammino delle donne “minacciate in primo luogo non dagli uomini delle loro comunità ma da politiche che contribuiscono a inferiorizzarle”. Che si scontrano, però, con la loro volontà di autonomia e con la resistenza dei loro sogni.
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