Diritti / Opinioni
L’appello inascoltato di papa Francesco a rompere la spirale di violenza
Quando papa Francesco ha invitato Kiev a negoziare senza “il timore di alzare bandiera bianca” è stato accusato di complicità con Vladimir Putin. Ma il suo discorso era un invito ad abbandonare lo spirito di morte e a costruire una società in grado di promuovere pace e giustizia riparatrici. Le idee eretiche di Roberto Mancini dal nuovo numero di Altreconomia
Chi difende la vita del mondo? I governi, gli eserciti, le multinazionali, i gruppi speculativi, i monopolisti della Rete, i partiti sovranisti, i movimenti nazionalisti e razzisti, così come i fondamentalisti di ogni specie e i custodi del potere maschile fanno a gara per portare distruzione e disperazione. L’umanità è ostaggio di quelli che comandano, speculano, sfruttano, sparano, bombardano, invadono, deportano, torturano, stuprano, respingono, perseguitano, ingannano. Questi soggetti, benché siano sempre troppi, restano una minoranza che non potrebbe prevalere se non avesse dalla sua l’inerzia degli adattati, di quelli che non si espongono e non osano neppure concepire un’idea dissonante dall’universale dottrina della competizione e della guerra.
Quando papa Francesco ha squarciato questa cappa globale di feroce stupidità invocando il coraggio di alzare bandiera bianca, è stato preso per un complice di Vladimir Putin, incurante della libertà dell’Ucraina. Non ci voleva la laurea per capire che invece il suo è l’invito a spezzare la spirale della violenza, a trattare, a cercare un compromesso, a smettere di uccidere e farsi uccidere. È impossibile, per quanti sono assuefatti allo spirito di morte che aleggia sul mondo, comprendere chi dà voce alla sapienza della vita e del bene comune.
Sarebbe naturale rispondere all’orrore organizzato costruendo comunità sociali eticamente fondate, attivando forze politiche capaci di promuovere un progetto di pace e di giustizia risanatrice, instaurando governi all’altezza del futuro comune. Non c’è e non ci sarà altra soluzione possibile, che aspettiamo? Certo, i tempi non sembrano maturi. Mancano troppi fattori perché questo risveglio si realizzi e sia possibile deporre quanti tengono in ostaggio umanità e natura. Non abbiamo un pensiero nuovo e diffuso, né un progetto corale di società, né guide credibili e tanto meno soggetti politici adeguati alla svolta. Qualsiasi ipotesi di raccogliere le forze culturali, sociali e politiche per l’alternativa, anche solo su scala nazionale, naufraga appena viene formulata. Ognuno rimane chiuso nella sua piccola isola galleggiante nel mondo della sopraffazione.
È una situazione ben nota, ma è un errore intenderla come la prova del fatto che non c’è rimedio a quello che stiamo subendo. Se si interpreta così la paralisi in cui ci troviamo, vengono meno persino il desiderio e la speranza della liberazione. Pure i sentimenti sono stati precarizzati, non hanno più luce e profondità; restano sentimenti a ore, al massimo a giornata, compressi nelle piccole vicende quotidiane e incapaci di vedere la vita universale, che lega l’esistenza di ognuno con quella degli altri. Fino alla metà degli anni Settanta del secolo scorso, ovunque nel mondo, una parte consistente della società sognava una storia nuova, dando l’impulso a molte riforme di profonda trasformazione democratica.
La dignità di tutti noi viventi è indelebile e ospita in sé la sorgente della forza per uscire dalla violenza. Per questo bisogna tenersi pronti e lavorare per costruire uno strumento d’azione politica che sia etica, popolare e progettuale
Ma con il successivo avvento della globalizzazione neoliberista è imploso il desiderio collettivo, le guide di pace e i testimoni sono stati assassinati, il sogno a occhi aperti ha lasciato il posto all’accecamento ideologico di un’epoca che si crede oltre le ideologie. La situazione di sconfitta e di dispersione è reale, ma non dice la verità. La verità, invece, è che la dignità di tutti noi viventi è indelebile e ospita in sé la sorgente della forza per uscire dalla violenza. Bisogna tenersi pronti. Nel lavoro e nel volontariato, nell’azione sociale e politica, nelle esperienze di economia liberata, nella cura delle relazioni tra le persone e con la natura, nel modo di pensare e di parlare, occorre scoprire la sintonia con la vita. E lavorare per costruire uno strumento di azione politica che sia etica, popolare e progettuale, superando le appartenenze attuali, tutte insufficienti e avvilenti. Intanto vale sempre la via gandhiana della non collaborazione, che porta a rifiutare ogni complicità con questo sistema di competizione e di guerra che è la più grande malattia della storia.
Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Oltre la guerra” (Effatà edizioni, 2023) scritto con Brunetto Salvarani
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