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La Striscia di Gaza è ancora una gabbia da cui è difficile uscire ma anche far entrare aiuti
Mentre su Rafah incombe l’ultima offensiva israeliana, l’accesso degli aiuti resta complicatissimo. Manca tutto, dall’acqua all’insulina. E chi può provare a uscire va incontro a vere e proprie estorsioni. “Hanno ucciso la speranza”, dice Andrea De Domenico, capo dell’Ocha nei Territori occupati. La missione della Ong italiana Music for peace e l’appello dei Gaza Sunbirds
A un mese dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in cui gli Stati Uniti per la prima volta non hanno posto il veto ma si sono astenuti, non solo non è scattato il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, né sono stati liberati gli ostaggi israeliani, come richiesto dalla risoluzione, ma anche l’accesso degli aiuti umanitari, tra gli altri aspetti sollecitati, resta a dir poco complicato. Il tutto mentre su Rafah incombe l’ultima offensiva israeliana, data ormai per certa. “Hanno ucciso la speranza”, commenta ad Altreconomia Andrea De Domenico, il capo dell’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari dell’Onu per i Territori palestinesi occupati (Ocha).
De Domenico è appena stato nel Sud della Striscia di Gaza, dove ha visitato Khan Yunis: “Ho trovato la stessa distruzione che ho visto al Nord e a Gaza city -dice-. La gente è veramente senza speranza, non crede più in nessuno. E la mancanza di speranza genera violenza: sono cresciute le violenze di genere e quelle sessuali”.
A pagare sono ancora una volta soprattutto le donne, che insieme ai bambini rappresentano il 70% degli oltre 34mila palestinesi uccisi, ma non solo. “Le donne alla trentaseiesima settimana di gestazione chiedono di poter essere sottoposte a un cesareo, perché c’è ancora un ospedale -continua De Domenico-. Lo European Gaza Hospital è l’ultimo dove si effettuano interventi salvavita e l’offensiva militare contro Rafah, che ormai viene data per certa, rischia di distruggere del tutto quel poco che resta del sistema sanitario”.
La Striscia continua a essere una gabbia da cui è difficile uscire, ma anche far entrare aiuti. “Nelle ultime due settimane, in termini di quantità, gli aiuti pronti per entrare dal valico di Kerem Shalom sono aumentati -conferma De Domenico- ma il problema restano i movimenti interni nella Striscia, così come la questione della sicurezza. L’altro giorno hanno sparato a un nostro mezzo, abbiamo dei camion bloccati a Nord e a Rafah centinaia di persone hanno attaccato i nostri depositi. C’è poi il problema della diversificazione degli aiuti e delle misure molto restrittive: i generatori, che sono indispensabili, sono assolutamente vietati, ne sono entrati solo alcuni molto piccoli. Il carburante è ancora limitato e sempre molto controllato. Entrano farina e cibo in scatola in maniera abbastanza costante, ma la malnutrizione non si risolve con una pita. Mancano l’acqua e i medicinali. Basti dire che manca l’insulina”.
Secondo l’Unrwa, da novembre, sono entrate a Gaza circa 12.340 tonnellate di gas da cucina, cioè una media di 82 tonnellate al giorno: il 68% in meno rispetto alla media giornaliera dei primi nove mesi del 2023. Quattro panifici hanno ripreso le attività nel Nord della Striscia, ma si tratta ancora di una “goccia nel mare”, per il World food program.
Conoscono bene le difficoltà da superare, per far entrare aiuti nella Striscia, le Ong italiane, che da subito si sono mobilitate. Come la genovese Music for peace: la loro missione, con 60 tonnellate di aiuti, è partita in salita e Stefano Rebora, il presidente, è stato addirittura fermato a fine marzo dalla Guardia nazionale egiziana, all’aeroporto de Il Cairo, ed espulso, non potendo seguire così il carico, che per fortuna è riuscito a entrare 19 giorni dopo. “Nonostante avessimo rispettato tutte le regolamentazioni e da mesi lavorassimo in accordo con la nostra ambasciata, il ministero degli Esteri egiziano e la Croce rossa egiziana, abbiamo avuto difficoltà enormi -spiega Rebora- ma alla fine siamo riusciti a consegnare 50 tonnellate di alimenti e 10 tonnellate tra medicinali e beni medicali. Certo, è pochissimo, rispetto alle necessità”.
Music for peace opera a Gaza dal 2009 ed è famosa per distribuire i pacchi (ora 2.500), porta a porta, direttamente alle famiglie. “La difficoltà naturalmente questa volta -continua Rebora- è stata la distribuzione. Ma grazie al nostro storico referente locale e documentando, quando possibile, tutto attraverso dei video, in particolare dentro gli ospedali, siamo riusciti a monitorare le consegne. La garanzia sul corretto utilizzo del materiale c’è, anche se senza la presenza di internazionali naturalmente diventa tutto più difficoltoso”. Per la Ong questo è stato una specie di test, il “vero” convoglio partirà tra giugno e luglio, con 250 tonnellate di materiali. “Confidiamo che la gente -conclude Rebora- continui ad aiutarci”.
Ma le difficoltà non sono solo in entrata, anche uscire da Gaza è sempre più complicato e costoso. Ed è qui che la grande “lotteria umana” in cui si è trasformata la Striscia, mostra il suo lato peggiore. “Uno dei problemi fondamentali -riprende De Domenico- è far uscire i malati da Gaza. Il meccanismo è talmente restrittivo (possono uscire solo uomini con meno di 18 anni e bambini accompagnati solo da donne con più di 55 anni, ndr) che pochissimi riescono a ottenere il permesso e molti, come i malati di cancro, muoiono senza cure. Per i civili, invece, è ormai noto che si debba passare da un’agenzia egiziana che richiede dai cinque ai diecimila dollari a persona. Un’estorsione sulla pelle dei disperati”.
Anche i malati o i feriti, in alcuni casi, sono stati costretti a pagare e spesso nelle raccolte fondi online lanciate dai palestinesi per uscire, dietro la voce “coordinamento al confine”, si cela quella che in realtà è una vera e propria tangente.
Tra chi è riuscito a passare il valico di Rafah, nei giorni scorsi, c’erano anche tre paraciclisti palestinesi che “potrebbero essere i primi nella loro disciplina a rappresentare la Palestina alle prossime Paralimpiadi -spiega Meri Calvelli, rappresentante Paese dell’Associazione di cooperazione e solidarietà Acs, che li ha sostenuti fin dall’inizio-. Manca solo l’ultimo tassello: il visto italiano, per partecipare alle gare di qualificazione”.
Alaa Al Dali e Mohammed Asfour sono rispettivamente il capitano e un membro dei Gaza Sunbirds e sono usciti insieme all’atleta indipendente, Waheed Rabah. I Gaza Sunbirds sono paraciclisti -che hanno perso le gambe durante la cosiddetta Marcia del Ritorno del 2018-2019 o in altri attacchi israeliani- che due anni fa hanno fondato una squadra con l’obiettivo di competere alle Olimpiadi di Parigi. Dal 7 ottobre, hanno interrotto gli allenamenti per via della guerra, ma si sono messi a disposizione della popolazione di Gaza, distribuendo aiuti per un valore di oltre 110 mila dollari.
Uscire non è stata una decisione facile per loro, visto che hanno dovuto lasciare nella Striscia le famiglie. Ma per gli atleti si tratta di qualcosa che va oltre il sogno sportivo: sperano di far parte della squadra nazionale di Palestina, interamente sponsorizzata dai Gaza Sunbirds, e di partecipare alle gare di qualificazione che iniziano il 2 maggio.
“Lo sport è estremamente importante per noi -dice Karim Ali, cofondatore e coordinatore internazionale dei Gaza Sunbirds- è davvero l’unico modo che abbiamo per portare la nostra bandiera a livello internazionale. Certo, abbiamo ambasciatori all’Onu, ma lì non siamo considerati uno Stato (gli Usa hanno appena posto il veto contro la proposta di rendere la Palestina membro permanente e non solo osservatore, ndr)”.
“Il team ha appena ottenuto i visti per il Belgio, ma resta in attesa dei visti italiani -continua Calvelli- perché anche da noi si terranno le gare per le qualificazioni. È davvero la loro ultima chance per registrarsi e concorrere”. Per questo i Gaza Sunbirds hanno lanciato un appello (e una raccolta fondi) alla comunità internazionale: chiedono il riconoscimento della discriminazione subita, in ragione della loro provenienza geografica e si appellano allo spirito delle Paralimpiadi, il cui obiettivo è promuovere l’inclusione e la riabilitazione, in particolare per gli atleti provenienti dalle zone di guerra o che convivono con disabilità inflittagli da situazioni di conflitto.
E per sostenere anche economicamente i Gaza Sunbirds, il 25 aprile da Milano è partita la Ride 4 Sunbirds, una ciclostaffetta, che facendo tappa in diverse città, arriverà a Roma il 30 aprile.
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