Altre Economie
La sostenibilità è una terra collettiva – Ae 44
Numero 44, novembre 2003Alcuni milioni di ettari di territorio italiano sono in mano alle comunità locali in una sorta di gestione collettiva delle risorse e dell'ambiente. L'esempio delle piste di Cortina e dei boschi di Borgotaro. Un patrimonio millenario che…
Numero 44, novembre 2003
Alcuni milioni di ettari di territorio italiano sono in mano alle comunità locali in una sorta di gestione collettiva delle risorse e dell'ambiente. L'esempio delle piste di Cortina e dei boschi di Borgotaro. Un patrimonio millenario che potrebbe sparire. Per legge
La sostenibilità è roba da Medioevo. O forse ancora più antica. Mai sentito parlare di gestione comunitaria delle terre, tutela ambientale, proprietà collettiva? Se pensate che si tratti di trovate recenti, di idee rivoluzionarie del movimento ambientalista o del “popolo di Porto Alegre”, allora vi sbagliate di grosso. I “demani civici” sono materia da giuristi, esperti di economia agraria e storici, perché affondano le radici in epoca pre-romana.
Ma la proprietà collettiva è diffusa ancora in tutta Italia (soprattutto su Alpi e Appennini ma anche in pianura) ed è un bell'esempio di gestione partecipata dell'economia locale. Nomi diversi e stessa sostanza: terreni gestiti dalla comunità che vi risiede e che ne suddivide i frutti in base alle necessità di ogni famiglia.
Un'esperienza da replicare, anche se non è un'impresa facile. I demani civici, infatti, poggiano su tradizioni millenarie, radicatesi in epoca feudale, quando il signorotto di turno aveva bisogno di sudditi per popolare e coltivare i propri possedimenti.
Oggi si tratta molto spesso di comunità agricole o di consorzi forestali, come le partecipanze e le comunalie emiliane, le regole o le vicinie alpine, oppure le amministrazioni separate dell'Appennino. Anche se non esiste un registro generale dei terreni collettivi -e a volte neppure si sa che alcune località lo siano, come vi raccontiamo a pagina 16- si tratta comunque di un patrimonio importante, stimato tra i 3 e i 5 milioni di ettari, con un'estensione massima, cioè, pari a due Sicilie.
I segreti dei demani collettivi sono l'”indivisibilità” e l'”inalienabilità”. Le terre nascono come patrimonio di tutti e tali devono restare: per questo non è possibile venderle (salvo rari casi) e solo così hanno resistito ai secoli. Vengono gestite da un'assemblea eletta attraverso consultazioni simili a quelle di un consiglio comunale e ad ogni membro della comunità spettano i diritti di “uso civico”: il cosiddetto “legnatico”, cioè la possibilità di raccogliere legna per il riscaldamento o la costruzione della case, il diritto di pascolo, la raccolta dei frutti del sottobosco, la coltivazione dei campi.
Attenzione, però: non si tratta di terreni pubblici, aperti a chiunque. Al contrario, nella maggior parte dei casi sono proprietà private che coincidono con un intero comune o con sue frazioni, comunità chiuse alle quali, a volte, si accede solo per diritto ereditario e sulle cui decisioni nessuno -nemmeno il sindaco, per dire- può intervenire. E se in origine questi diritti erano questione di sopravvivenza, in una società come la nostra possono anche apparire come privilegi ingiusti e senza senso. Per esempio, dei tremila membri della Regola d'Ampezzo, sulle Dolomiti bellunesi, quasi nessuno ormai campa d'allevamento o grazie ai prodotti agricoli. !!pagebreak!!
La parola chiave, oggi, è salvaguardia, del territorio, dell'ambiente, delle tradizioni. Secondo una logica non molto distante da quella applicata dai padri dei regolieri del 2003: utilizzare le risorse in modo responsabile -e nell'interesse di tutti- perché possano goderne anche le generazioni future. L'esatto contrario del modello “sfrutta e fuggi” in cui viviamo, orientato solo al massimo profitto immediato.
Le Regole d'Ampezzo amministrano un territorio di 16 mila ettari, che comprende pascoli, boschi e “improduttivo”, cioè tutto quanto è possibile vedere sopra i tetti di Cortina, monti compresi. Un patrimonio ricco anche dal punto di vista economico, con un bilancio di 3 milioni di euro. Ma soprattutto un territorio da salvare dalle orde di turisti, anche 50 mila ogni giorno, come dire 16 volte il numero dei residenti. Senza Regole, aumenterebbero ancora. Prendete le piste da sci, per capire: la maggior parte sono di proprietà dei regolieri, che le affittano alla società che gestisce la funivia, riuscendo in questo modo a tenere sotto controllo la proliferazione degli impianti di risalita.
Ancora, se i terreni delle Regole fossero in mano al Comune, questo potrebbe anche decidere di venderli, facendo la felicità -e la fortuna- degli speculatori edilizi, in una città dove i prezzi delle case raggiungono cifre da rapina, con una media di 10 mila euro al metro quadrato e massimi di 15 mila. Così, sempre in nome della difesa ambientale, d'estate gli escursionisti vengono “guidati” su percorsi precisi: “I soli che, volutamente, manteniamo accessibili -spiega Stefano Lorenzi, che delle Regole è segretario-. In teoria il turista può andare dove vuole, in pratica il 95% va dove vogliamo noi…”. Per lo stesso motivo dalle strade forestali, utilizzate tra l'altro per raggiungere i rifugi, sono banditi le auto e i fuoristrada dei villeggianti.
Non tutti i demani civici hanno storie così ricche, ma molte amministrazioni separate puntano comunque a valorizzare il proprio patrimonio, ottenendo anche risultati lusinghieri. Come nelle comunalie parmensi a cui, unico caso in Europa, è stato assegnato il marchio di Indicazione geografica protetta (Igp) per i propri funghi. Altre realtà, invece, sono più giovani e hanno ancora storie legate alla sussistenza della popolazione locale: è quello che succede a Zeri, in provincia di Massa Carrara, dove senza i beni di uso civico i piccoli allevatori non avrebbero pascoli a sufficienza per crescere gli agnelli grazie ai quali vivono.
Le proprietà collettive rischiano però di diventare una specie rara e minacciata, una risorsa su cui molti vorrebbero mettere le mani per i propri affari. Lo dimostra il disegno di legge cui accenniamo a pagina 13 (tra i tanti che hanno come oggetto i demani civici) e che in caso di approvazione aprirebbe alla vendita delle terre comuni, permettendo inoltre di sanare i disinvolti abusi edilizi che purtroppo già oggi esistono.
Questa potrebbe allora essere l'occasione buona per unirsi alle comunità locali -molte delle quali già attive tramite una campagna mirata- contro l'ennesimo esempio di politica al servizio di un'economia che premia i soliti furbi.!!pagebreak!!
Ettari solidali: una campagna “anti-rapina”
“No alla rapina delle proprietà collettive!”. Slogan diretto quello della campagna per la salvaguardia dei demani collettivi, organizzata da associazioni e gruppi politici toscani.
Motivo di preoccupazione è un disegno di legge che, insieme con altri proposti da diversi schieramenti, ha come oggetto il riordino dei demani collettivi. Il testo “incriminato”, se fosse approvato, aprirebbe le porte alla vendita delle terre civiche (perché ne affida il censimento ai Comuni, anziché alle comunità che sui quei terreni vantano diritti millenari) e permetterebbe di regolarizzare gli abusi edilizi. In seguito al censimento, infatti, chi occupa le terre collettive senza averne diritto può fare ricorso se, per esempio, il terreno in questione è già edificato (e quindi “non più suscettibile… di destinazioni di interesse collettivo a carattere agro-silvo-pastorale”), o se il “ricorrente” abbia lì un'impresa agraria attiva da almeno dieci anni. Info: associazione “Tra terra e cielo”, tel. 0583-35.61.82, e-mail gabriele.bindi@traterraecielo.it
Campiglio, l'ambiente salvato dalle Regole
“Il senso della proprietà collettiva, oggi, sta nello stretto rapporto con il territorio da salvaguardare”. Giacomo Ceranelli riassume così l'attività delle Regole di Spinale e Manez di cui è presidente. I terreni collettivi si trovano nei comuni di Ragoli, Preore e Montagne, in provincia di Trento. La zona è quella di Madonna di Campiglio, meta sciistica esclusiva, e infatti il 60% delle piste da discesa è proprietà dei 1.500 regolieri. I pascoli vengono utilizzati molto meno di un tempo dagli abitanti del posto e per questo vengono aperti anche ai pastori di altre vallate, mentre si tenta il recupero delle malghe e il restauro di edifici adibiti, oggi, a ristoranti.
Il bosco rende bene: ogni anno vengono venduti 4 mila metri cubi di legname da costruzione, mentre ai regolieri spetta le legna per il riscaldamento, convertibile in gasolio dove venga già fornita dal Comune. Gran parte del territorio delle Regole, a conferma della loro vocazione ambientalista, fa parte del Parco naturale dell'Adamello Brenta. E l'attività di Spinale e Manez è anche importante a livello economico con un bilancio sui 2,5 milioni di euro l'anno. Risorse usate “per il mantenimento e per il miglioramento del patrimonio”.!!pagebreak!!
I funghi d'oro delle Comunalie parmensi
Sull'Appennino emiliano crescono funghi d'oro: sono quelli delle comunalie parmensi, 32 realtà agricole e forestali riunitesi in consorzio nel 1957. Pascolo e legnatico hanno perso d'importanza nel tempo (anche se è ancora attivo il commercio della legna da ardere) a favore della raccolta dei funghi, organizzata in apposite riserve istituite nel 1963 e oggi principale fonte di denari e lustro. Le comunalie più rinomate per questo aspetto sono quelle di Albareto e di Borgo Val di Taro che hanno ottenuto -caso unico in Europa- l'Indicazione geografica protetta (Igp), con relativo bollino, per il “Fungo di Borgotaro”, che raggruppa diverse varietà, anche se il più ambito e pregiato resta il porcino. Grazie ai permessi di raccolta, che chi è ghiotto di funghi è obbligato a richiedere per poter accedere alle riserve, le sole comunalie di Borgo Val di Taro e Albareto raccolgono oltre 200 mila euro l'anno.
Un'altra attività del Consorzio è la produzione di piante officinali: 13 specie diverse dall'arnica alla camomilla, ma anche lavanda, menta, issopo, salvia e zafferano.
I proventi delle diverse attività, anche qui come in esperienze analoghe, vengono utilizzati per la manutenzione del bosco e della viabilità forestale o degli acquedotti rurali, ma anche per opere di “pubblica utilità”, come la costruzione di edifici scolastici nelle varie frazioni del Consorzio.
Castagne e sanzioni: attenti a dove raccogliete
Se andate per castagne la stagione è quella giusta, però state attenti. Non solo ai ricci, ma anche ai boschi in cui vi infilate. Perché molto spesso si tratta di proprietà private e la raccolta non autorizzata dal proprietario equivale a un'appropriazione indebita, con le conseguenze del caso. Quest'anno poi i coltivatori saranno anche più vigili e arrabbiati dato che, a causa della siccità, la produzione di castagne è calata a 40 mila tonnellate, il 25% in meno rispetto al 2002; un terzo della produzione arriverà nei negozi dalla Campania, seguita da Toscana, Lazio, Calabria e Piemonte.
Nel caso invece di castagneti “pubblici”, di proprietà dello Stato o della Regione, per esempio, il consiglio è comunque quello di informarsi. Per le castagne non è richiesto il pagamento dei permessi particolari come accade per altri prodotti del sottobosco (come i funghi) ma di solito la raccolta è comunque regolata da leggi regionali. In Piemonte, per citare un caso, la raccolta è permessa nei mesi di ottobre e novembre, nel limite di 2 chili a persona. Chi “sbaglia” paga multe salate.!!pagebreak!!
A zeri gli usi civici sono ancora vitali
La scommessa dell'agnello
Cielo infame: piove a secchiate su Zeri, lembo d'Appennino toscano in Lunigiana, provincia di Massa, e Carmencita deve starsene nella stalla con il suo vitellino, lontani dai pascoli. Stessa storia per gli altri “gioielli” di Valentina Merletti, gli agnelli che alleva da quando, tre anni fa, ha rilevato l'attività del nonno. Un sogno d'infanzia, assicura. Il bello è che Valentina di anni ne ha appena 23.
La sua azienda a conduzione familiare (nel tempo libero l'aiuta il marito Stefano) senza il demanio civico non esisterebbe: “Non avrei abbastanza terre per tutti i miei animali”, cioè 80 pecore, più agnelli, sei mucche e qualche cavallo. Nelle sue mani giovani l'attività è cresciuta, “ma è dura -dice- e solo quest'anno l'azienda dovrebbe iniziare a rendere”.
È una scommessa in cui pochi credono, ormai, e una tradizione che a Zeri sta scomparendo. E infatti, nonostante l'agnello zerasco sia una razza pregiata, oggi rischia l'estinzione e nel 2000 Slow Food lo ha inserito tra i suoi “presìdi”. Con Valentina un'altra manciata di persone campa di allevamento, o almeno ci prova: una quarantina di famiglie al massimo su una popolazione di 1.500 anime e un comune polverizzato in quattro vallate e 39 frazioni.
Nel 1992, dopo un'indagine della Regione, quasi duemila ettari sopra gli 800 metri di altitudine sono stati dichiarati -con sentenza del Commissariato agli usi civici- proprietà collettiva e quindi patrimonio di tutti gli abitanti (con i diritti che ne derivano: pascolo, legnatico, raccolta funghi, basta risiedere a Zeri da almeno tre mesi), anche se questi terreni venivano già usati, da sempre, in modo comunitario dalla popolazione.
Per una decina d'anni la gestione è rimasta nelle mani di un Consorzio forestale che ha fatto poco o nulla, poi nel 2002 è stata eletta l'”Amministrazione separata beni di uso civico” (Asbuc) che dovrà gestire il territorio collettivo per cinque anni, quando si andrà a nuove elezioni.
Ma scordatevi le ricche -e redditizie- esperienze alpine. Qui la musica, almeno per ora, è diversa. I cinque consiglieri eletti nell'Asbuc hanno ricevuto dal Comune una stanzetta da utilizzare come sede e stop. “Per far partire l'attività abbiamo dovuto aprire un fido in banca a nostro nome -spiega la presidente Rossana Tognarelli-. 10 mila euro con cui abbiamo pagato i manifesti per pubblicizzare l'iniziativa e riorganizzare le riserve di funghi”. Proprio questa potrebbe essere una delle risorse principali per il demanio civico di Zeri, basta pensare a Borgo Val di Taro, a neanche 50 chilometri da qui, dove i funghi sono una miniera d'oro per gli abitanti del posto. Tra gli altri progetti dell'Asbuc c'è la raccolta della legna nei boschi di castagni, cerri e faggi che ricoprono i pendii, da cedere poi a un terzo del prezzo di mercato agli abitanti, permettendo loro di ridurre le spese per il riscaldamento (la legna è utilizzata molto durante i lunghi e freddi inverni). Il territorio è anche ricco di pietre e massi, che si possono vendere alle ditte specializzate in sistemazioni idrauliche forestali.
E poi c'è l'eolico: i monti di Zeri sono ottimi per l'installazione di aerogeneratori. “Se andassero in porto i contatti avviati con un paio di aziende del settore -dice Rossana Tognarelli- già l'anno prossimo potrebbero entrarne in funzione 15”, che porterebbero nelle casse dell'Asbuc anche 100 mila euro l'anno. “Da usare -precisa- per la conservazione del territorio”.
Per il momento è tutto sulla carta e il progetto più concreto legato al demanio collettivo resta l'agnello zerasco. Tanto che un gruppo di allevatori nel 2001 ha fondato un consorzio per valorizzare e promuovere questa risorsa. Ora sono in 15 ma a fine anno diventeranno 20. Gli usi civici, per loro, sono come l'aria per respirare: “Senza -conferma Cinzia Angiolini, 33 anni, presidente del consorzio e vicesindaco di Zeri- io stessa dovrei vendere almeno metà delle mie bestie”. Cinzia, un passato da pittrice e restauratrice, con la sorella e il compagno gestisce 150 capi, ed è una delle realtà più grandi del territorio.
Il consorzio ritira gli agnelli da portare al macello, rivende la carne a ristoranti e alberghi selezionati e aiuta gli allevatori a gestire contabilità e fatturazione. “Ma stiamo anche catalogando varietà di frutta e legumi tipici di Zeri -dice Cinzia- e recuperiamo canti e costumi tradizionali della nostra gente”. Forse è questa l'unica strada per salvare dall'estinzione l'agnello zerasco e, con lui, gli allevatori giovani e di belle speranze come Valentina.
Il “Consorzio per la valorizzazione e la tutela della pecora e dell'agnello di razza zerasca” ha sede presso il Comune di Zeri, tel. 0187-44.71.27 oppure 339-63.97.599 (Cinzia Angiolini). Anche per contattare l'Asbuc bisogna telefonare in Comune.!!pagebreak!!
Villaggi abusivi, anzi no
Il demanio civico, spesso, c'è ma non si vede. O meglio, non esistono documenti che lo certifichino, situazione diffusa che può creare problemi. Proprio come per le due “riserve” turistiche di Zeri -il Villaggio Aracci (nella foto qui sopra) e il Villaggio Passo Rastrello- costruiti nei primi anni '70 con tutti i crismi e le autorizzazioni regionali, perché all'epoca questi erano a tutti gli effetti terreni del Comune, che vennero affittati per 100 anni ai proprietari delle case.
La zona era perfetta per attirare villeggianti: case immerse nei boschi, laghetti artificiali, neve abbondante durante l'inverno. E allora via, negli anni vennero costruiti anche un impianto di risalita, un bar-rifugio, un negozio di articoli sportivi, una scuola di sci e un albergo. Tutto sulle terre collettive.
Vent'anni dopo, chi aveva acquistato le case ha scoperto che quei terreni spettavano, di diritto, ad altri. La Regione Toscana per metterci una pezza ha deciso di venderli ai proprietari delle abitazioni. “Del resto cosa bisognava fare? -si chiede Rossana Tognarelli dell'Asbuc-. Demolire tutto?”.