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Altre Economie / Intervista

La sostenibilità della cosmesi consapevole de “La Saponaria”

Luigi Panaroni e Lucia Genangeli, fondatori de “La Saponaria”. Nel 2020 l’azienda ha registrato un fatturato da 6,3 milioni di euro, in crescita rispetto ai 2,4 del 2017. Oggi dà lavoro a 35 persone © Archivio La Saponaria

Partita con i saponi all’olio extravergine di oliva, oggi realizza dieci linee di prodotti dalla cura del viso fino all’igiene orale. Ha aperto negozi in franchising e ha rafforzato i legami con le filiere agricole da cui acquista le materie prime

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

Nel 2022 “La Saponaria” compie 15 anni. Quando l’hanno fondata, nell’aprile del 2007, Luigi Panaroni (classe 1980) e Lucia Genangeli (classe 1984) avevano cinquant’anni in due. Nel 2010 il primo articolo che Altreconomia dedicò a questa nuova realtà di cosmetica consapevole (esplicitato nel payoff sotto il nome) nata nel Nord delle Marche parlava di un fatturato di circa 60mila euro. Nel 2020 “La Saponaria” ha fatturato 6,3 milioni di euro, in forte crescita rispetto ai 2,4 del 2017, e quello che era un secondo lavoro per Luigi e Lucia si è trasformato in un impiego -a tempo pieno o parziale ma sempre con un contratto a tempo indeterminato o determinato- per 35 persone. Il laboratorio de “La Saponaria” non è più a Fano (PU), sulla costa adriatica, ma a Pesaro: è vicino a casa dove oggi con loro ci sono anche due bambini.

Perché è nata “La Saponaria”? Che cosa portate con voi dell’entusiasmo iniziale?
LP e LG Volevamo fare qualcosa che non esisteva, una nostra piccola rivoluzione. Facevamo parte di un Gruppo d’acquisto solidale, pensavamo che siamo quello che consumiamo e non trovavamo cosmetici naturali ed efficaci. Siamo stati tra i primi ad affrontare questo aspetto: ogni prodotto dev’essere sostenibile per l’ambiente e per la società ma deve poter essere utilizzato dalle famiglie perché il progetto meno impattante è inutile se non entra nel quotidiano. A questi elementi guida, ne abbiamo aggiunto uno che riguarda il lavoro dei e con i nostri collaboratori. Abbiamo offerto loro un ambiente di lavoro sano: ci impegniamo per trasmettere i valori de “La Saponaria” e la nostra vision attraverso percorsi strutturati per spiegare le scelte strategiche aziendali e piccoli accorgimenti. Ci eravamo accorti che serve meno impegno per passare determinati concetti ai clienti che ai dipendenti. Fuori agiscono marketing e comunicazione, e sei abituato a trasmettere i concetti, dentro è meno scontato ma importante. Anche per questo il nuovo laboratorio, ricavato in un ex mobilificio abbandonato da dieci anni, ha pareti trasparenti. Tutti possono vedere quello che fanno negli altri reparti dalla ricerca e sviluppo al commerciale, dal laboratorio al magazzino.

© Archivio Saponaria

All’inizio realizzavate saponi, oggi avete dieci linee di prodotti che vanno dalla cura del viso all’igiene orale con la linea Bio&Smile. Come sviluppate un nuovo prodotto?
LP e LG Fare ricerca significa non accontentarci mai per arrivare a realizzare con ingredienti naturali un prodotto con le caratteristiche classiche di quelli sul mercato. Oggi ci possiamo permettere un vero laboratorio e abbiamo tanti sogni su cui lavoriamo anche per anni prima di “mettere a terra” un progetto o un prodotto. Siamo partiti dal sapone all’olio extravergine d’oliva, tagliato a peso, e restiamo legati al concetto di rifiuti zero. Per Wonder Pop, linea di maschere per il viso, abbiamo definito due caratteristiche: è senz’acqua e usa packaging biodegradabile. Abbiamo fatto centinaia di prove. Un packaging in cartone riciclato comporta un’infinità di problemi ma diamo un messaggio: vogliamo essere uno stimolo al mercato e questo è un segno che ci portiamo dentro dall’inizio. “La Saponaria” ha senso di esistere se riusciamo a innovare. Puntiamo ad arrivare a usare zero plastica vergine e oggi siamo all’82% di materiali con caratteristiche ecologiche come bioplastica da canna da zucchero, plastica post consumo, plastica di mare, vetro, alluminio, carta. I sistemi di produzione hanno sempre esternalità negative: il nostro obiettivo è differenziarci.

“Puntiamo ad arrivare a usare zero plastica vergine e oggi siamo all’82% di materiali con caratteristiche ecologiche tra cui c’è anche la plastica di mare”

Che cos’è la plastica di mare?
LP e LG In collaborazione con un’associazione abbiamo raccolto in mare, selezionato, pulito e trattato la plastica poi utilizzata per produrre flaconi. C’è bisogno di grandi numeri (almeno 50mila pezzi) e un tempo non sarebbe stato sostenibile. Nel nostro settore gli aspetti ecologici sono una moda: è importante spingere sempre oltre la connotazione di sostenibile perché la certificazione biologica può essere un concetto vuoto di significato.

Secondo Cosmetica Italia il valore di mercato dei cosmetici a connotazione naturale o biologica è 778 milioni di euro su un totale complessivo del settore di 11,7 miliardi nel 2021. Com’è cambiato il settore in 15 anni?
LP e LG I nuovi lanci sono tutti “naturali”, anche se a oggi in Italia non c’è una normativa che definisce che cos’è un cosmetico biologico. Ci sono tanti enti privati di certificazione che hanno regolamenti diversi tra loro, anche su ingredienti ammessi e non ammessi, e crediamo che per il consumatore sia molto difficile orientarsi sullo scaffale. È un grosso nodo che non tutela chi lavora seriamente. Noi siamo certificati da CCCB di cui riconosciamo la grande serietà nelle ispezioni riguardo alla tracciabilità delle materie prime e alle analisi sui prodotti. Facciamo parte del gruppo giovani imprenditori di Cosmetica Italia. Vediamo realtà interessanti anche tra i figli dei grandi imprenditori del settore e tra le startup.

Il laboratorio de “La Saponaria” ricavato da un ex mobilificio abbandonato da dieci anni alla periferia di Pesaro. Ha le pareti trasparenti e tutti possono osservare quanto accade nei singoli reparti © Archivio Saponaria

All’inizio i vostri clienti erano i Gas, oggi avete aperto anche negozi in franchising. Com’è distribuito il fatturato?
LP e LG Il grosso del lavoro si concentra sui rivenditori, negozi specializzati nel biologico, bio-profumerie, chi vende prodotti naturali, erboristerie, in piccola parte farmacie. Valgono il 65% del mercato. Gas e clienti finali, dato che comprende anche l’e-commerce, vale il 17%. Quanto ai negozi monomarca, è ancora un segmento piccolo (6%): nel settembre del 2018 ha aperto il primo punto vendita pilota a Bologna, mentre gli altri sette negozi “Biostorie” sono recenti. Crediamo che possano rappresentare uno spazio efficace di comunicazione dove spiegare perché scegliamo la calendula di Parma piuttosto che quella albanese. Non possiamo pensare di formare i commessi di ogni erboristeria. Nei negozi Biostorie si tengono laboratori e corsi per usare gli oli essenziali o farsi i cosmetici a casa: diventano spazi per fare cultura. L’ultimo 13% del fatturato è legato alle private label, allo sviluppo di cosmetici per tanti clienti che producono materie prime in proprio. È un elemento interessante perché nascono collaborazioni, come quella con un’azienda agricola fiorentina che produce radice di iris. Prima era conferitore per un marchio della cosmesi bio, oggi ha deciso di produrre cosmetici a marchio e dopo un paio d’anni abbiamo usato le loro materie prime nei prodotti de “La Saponaria”.

L’attenzione alle filiere agricole è nel vostro Dna, come mostra anche la “filiera etica” disponibile sul vostro sito.
LP e LG I progetti da raccontare sarebbero molti di più perché non riusciamo ad aggiornare quella mappa da tre anni. Avere raggiunto certe dimensioni ci permette di realizzare progetti importanti, come importare gli oli essenziali da una filiera equosolidale con Altraqualità. Sono costosi ma quando ci presentano un ingrediente ci parlano delle attività con le comunità locali in India; per noi questo spiega perché serve pagare di più. Quando gli ingredienti arrivano da lontano, anche se certificati, ci potrebbero essere conseguenze negative sull’ambiente e sulle persone. Vale lo stesso per i progetti locali. Oggi riusciamo a sostenere insieme ai nostri partner i costi fissi molto alti di determinate analisi o certificazioni. Scegliere filiere agricole locali ha effetti positivi in termini ambientali: l’olio di lino biologico più presente sul mercato ha provenienza romena ma lo acquistiamo a Urbino risparmiando un viaggio di 1.500 chilometri alla merce e 0,3 chilogrammi di CO2 equivalente per ogni litro di olio impiegato. I volumi di prodotto incidono sul prezzo equo che arriva alle persone: abbiamo realizzato processi di ottimizzazione nella gestione che ci hanno permesso di mantenere gli stessi prezzi da 10 anni.

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