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“La soluzione alla crisi nell’Europa dell’Est non può essere militare”
Solo de-escalation, smilitarizzazione e disarmo possono portare ad un futuro di pace, in Ucraina e altrove. Non è nell’élite militarizzata che va cercata la risposta. Intervista a Ray Acheson, attivista e scrittrice che lavora per abolire le strutture violente e costruire pace e giustizia
Ancor di più dopo l’annuncio di Vladimir Putin del 21 febbraio di riconoscere le cosiddette repubbliche separatiste del Donbass (Luhansk e Donetsk), lo spettro della guerra in Ucraina è sempre più vicino. “Ma la guerra non può risolvere questa crisi”, spiega Ray Acheson, attivista e scrittrice, parte della Women’s International League for Peace and Freedom, la più antica organizzazione femminista di pace del mondo. “Un processo di pace incentrato sulle persone, con la partecipazione equa e significativa di tutti i gruppi coinvolti è l’unica strada sensatamente possibile. De-escalation, smilitarizzazione e disarmo sono cruciali per prevenire questa guerra, e la prossima”.
Altreconomia ha chiesto ad Acheson, che guida Reaching Critical Will, il programma sul disarmo presso la Wilpf, e fa parte del gruppo direttivo della International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Premio Nobel per la pace 2017) di chiarire meglio il pensiero sotteso a questa presa di posizione, e le possibili strade da intraprendere.
Acheson quali sono le origini profonde di questa crisi?
RA Dietro la crisi attuale c’è una storia di violenza militarizzata ed economica. La Russia e gli Stati Uniti hanno un approccio imperialista al di fuori dei propri confini interferendo, attraverso azioni militari ed economiche, in Paesi che ritengono essere all’interno delle loro “sfere di influenza”. Entrambi usano il militarismo, l’aggressione e i legami economici forzati per guidare la loro condotta nelle relazioni internazionali, ed entrambi affrontano l’ineguaglianza interna, la povertà e la resistenza attraverso azioni di polizia e punizione. I governi di entrambi i Paesi si criticano a vicenda per lo stesso tipo di comportamento: la Russia critica l’imperialismo statunitense, eppure invade e occupa i suoi vicini, bombarda i civili e si impegna in attacchi informatici contro infrastrutture critiche che danneggiano le persone comuni. Gli Stati Uniti criticano la Russia come un’autocrazia, ma negli ultimi decenni hanno rovesciato governi democraticamente eletti se solo minacciavano gli interessi degli Stati Uniti, costruiscono basi e si impegnano in guerre e operazioni militari in centinaia di Paesi in tutto il mondo, e investono miliardi di dollari in spese militari mentre molti dei cittadini statunitensi vivono senza assistenza sanitaria, alloggi o sicurezza alimentare. Entrambi i Paesi hanno rinforzato eserciti, alleanze militari e arsenali nucleari per sfidare l’altro. L’Ucraina, in questo contesto, è una pedina utilizzata da entrambe le parti.
Quindi il rischio che vede è quello di un confronto diretto tra le due grandi potenze?
RA Questo braccio di ferro corre il serio rischio di portarci alla distruzione di massa. Russia e Stati Uniti possiedono più di 11.850 armi nucleari, gli altri membri della NATO, Francia e Regno Unito ne hanno alcune centinaia ciascuno. Gli Stati Uniti hanno anche circa 100 testate nucleari in Belgio, Germania, Italia, Olanda e Turchia. Non sono residuati di una guerra fredda ormai passata, ma pronte per essere usate. I numeri delle scorte, per quanto allarmanti, non trasmettono il puro orrore che ogni arma racchiude in sé. Ogni singola bomba è progettata per sciogliere la carne, bruciare città, decimare piante e animali, e scatenare un veleno radioattivo che dura per generazioni. Anche l’uso di una sola di queste armi sarebbe disastroso. Uno scambio nucleare sarebbe catastrofico. Russia e gli Stati Uniti, insieme a Francia, Regno Unito e Cina, hanno recentemente concordato che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve mai essere combattuta, facendo eco a una dichiarazione di Michail Gorbačëv e Ronald Reagan nel 1985. Eppure ognuno di questi Paesi ha investito miliardi nella “modernizzazione” e nell’espansione dei propri arsenali nucleari, preparandosi non al disarmo ma all’Armageddon nucleare. Ognuno mantiene dottrine e politiche per l’uso delle armi nucleari: un messaggio incredibilmente pericoloso che va a diretto beneficio del complesso militare-industriale.
Dunque è solo un problema di confronto tra arsenali pieni di armi?
RA No, ci sono altri interessi corporativi dietro questo conflitto incancrenito: oltre alla produzione e vendita di armi ci sono oleodotti e strategie di “sicurezza energetica”, con accesso alle “risorse naturali” e profitti da realizzare a spese delle vite umane e della protezione del Pianeta. Nel mezzo di un’emergenza climatica, in cui l’estrazione e lo sfruttamento capitalista hanno decimato la biodiversità, gli ecosistemi, la terra, l’acqua e l’aria, i governi dei membri della NATO e la Russia continuano a usare combustibili fossili e rifiutano di abbracciare un’economia di decrescita che ridurrebbe l’uso di energia, specialmente nel Nord globale, e darebbe priorità alla creazione di sistemi di cura e uguaglianza per le persone e il pianeta. Tutte le parti coinvolte hanno contribuito attivamente a questa situazione: sostenere che una parte o l’altra sia stata “provocata” serve solo a nascondere la realtà che ognuno dei Paesi coinvolti ha costruito insieme, deliberatamente, un ordine mondiale militarizzato e capitalista che serve esclusivamente gli interessi dei profittatori di guerra e delle élite politiche ed economiche. Quello che sta succedendo in questo momento in Ucraina è più grande dell’Ucraina.
Tutto questo può essere un sintomo che la struttura delle relazioni internazionali sta cambiando?
RA Certo. Il confronto tra gli Stati Uniti e la Cina è in aumento: guerre per procura, occupazioni e aggressioni e pressioni militari ed economiche si stanno verificando in tutto il mondo. Affrontare la situazione in Ucraina senza riconoscere questo contesto più ampio è come applicare un cerotto a un’emorragia globale. È un pezzo di un puzzle molto più grande, di un ordine mondiale dettato e dominato dall’élite militarizzata che vede la guerra come un mezzo legittimo per il proprio fine. Celebra le mascolinità militarizzate, potenziando la cultura del militarismo e della violenza come attività coraggiose e nobili mentre rende invisibili i danni di genere e razziali del militarismo stesso. Viene usato un linguaggio “tecnico e neutro” per sanificare l’immagine della guerra.
Think tank e politici, media e analisti che giocano alla guerra agiscono come se i Paesi fossero pezzi degli scacchi e le persone fossero numeri su una pagina. I funzionari governativi statunitensi, per esempio, hanno stimato che una guerra in Ucraina potrebbe uccidere da 25.000 a 50.000 civili, da 5.000 a 25.000 militari ucraini e da 3.000 a 10.000 soldati russi. Ricordiamo che nell’Ucraina orientale i combattimenti in corso dal 2014 hanno già ucciso più di 14.000 persone e sfollato milioni di persone. Invece di vedere queste persone come individui, le cui vite hanno un valore e un significato, che fanno parte di famiglie e comunità, gli esperti le calcolano solo come “perdite accettabili” e rischi di “danni collaterali”, e guardano dall’altra parte mentre i corpi si accumulano.
Questi numeri non tengono conto del terrore psicologico di vivere nel conflitto, di sentire le bombe sganciate o i droni che si librano sopra la testa, di avere paura di lasciare la propria casa, di vedere morire i propri cari. Queste cifre non tengono conto anche degli impatti ambientali della guerra, i resti tossici o esplosivi delle armi, i danni alla terra, all’acqua e agli animali. Noi pensiamo che questi impatti umanitari e ambientali dovrebbero essere in primo piano in tutte le decisioni politiche.
Quali possono essere strade concrete per partire dagli impatti umanitari e dalla vita delle persone per prendere decisioni politiche?
RA C’è un’urgenza di demilitarizzazione e disarmo. Invece di incoraggiare l’invio di più armi e soldati in questa situazione, invece di giustificare il militarismo di una parte a causa dell’altra, dobbiamo invece sforzarci di portare in de-escalation questa crisi attraverso il disarmo, la smilitarizzazione e la diplomazia.
C’è bisogno che alcuni passaggi vengano implementati subito: la NATO non dovrebbe cercare un’ulteriore espansione o impegnarsi in aggressioni e la Russia dovrebbe cessare l’interferenza e l’aggressione contro i Paesi che ritiene essere all’interno della sua “sfera di influenza”. Tutte le truppe devono essere ritirate e le forniture di armi, equipaggiamento militare e addestramento devono cessare. Il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare deve essere garantito, con accordi fra tutte le parti per porre fine alle esercitazioni militari ed evitare incontri militari ravvicinati tra le forze russe e della NATO.
Tutte le parti coinvolte dovrebbero impegnarsi a negoziare un nuovo trattato sulle forze convenzionali in Europa e smilitarizzare il Continente attraverso ispezioni, impegnandosi anche ad evitare attacchi cibernetici, specialmente contro infrastrutture critiche che colpiscono la vita dei civili. Inoltre tutte le parti interessate devono intraprendere azioni urgenti per prevenire la guerra nucleare: sulla scia del crollo del trattato sulle forze nucleari a medio raggio INF devono essere elaborate nuove regole per non schierare tali missili in Europa o nella Russia occidentale.
Gli Stati Uniti e la Russia hanno anche bisogno di concludere nuovi accordi che raggiungano ulteriori tagli verificabili nelle armi nucleari strategiche e non strategiche e sulle limitazioni delle difese missilistiche a lungo raggio, prima che il nuovo trattato di riduzione delle armi strategiche (New START) scada all’inizio del 2026. Inoltre gli Stati Uniti dovrebbero ritirare le loro armi nucleari di stanza nei Paesi membri della NATO e la Russia dovrebbe ritirare le sue armi nucleari tattiche dalle basi vicino al suo confine occidentale.
Tante richieste concrete ma difficilmente realizzabili se il clima diventa quello di un confronto “ideologico” e con mire di potere (interno ed esterno).
RA Sì ed è per questo che al di là del contesto immediato è necessario agire per prevenire futuri conflitti armati e minacce di guerra nucleare. Invece di mantenere alleanze militari contrapposte tutte le parti dovrebbero impegnarsi nella costruzione di una strategia di sicurezza comune e demilitarizzata che ponga la cooperazione e la soddisfazione collettiva dei bisogni delle persone e del pianeta in primo piano in tutte le politiche e azioni. La NATO, per esempio, dovrebbe essere sciolta e si dovrebbero invece costruire alleanze non militarizzate e non divisive per la pace e la cooperazione, con la solidarietà internazionale come principio guida. Tutti i Paesi dovrebbero ridurre le loro spese militari immediatamente, e concordare riduzioni graduali attraverso l’attuazione dell’articolo 26 della Carta delle Nazioni Unite, il cui mandato dovrebbe essere sottratto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Tutti i Paesi dovrebbero aderire al trattato sulla proibizione delle armi nucleari TPNW e lavorare urgentemente per l’eliminazione di tutte le armi nucleari. Attraverso le disposizioni del trattato l’eliminazione delle armi nucleari potrebbe essere perseguita attraverso un processo verificabile e raggiunta entro un decennio. L’eliminazione delle armi nucleari aiuterebbe a stabilire un nuovo paradigma cooperativo nelle relazioni internazionali e a liberare risorse per affrontare la crisi climatica. Al centro dei nostri sforzi, dobbiamo mettere la vita dei civili e la cura del pianeta al di sopra degli interessi militari, politici ed economici percepiti. A tal fine, un processo di pace incentrato sulle persone è imperativo.
Nel contesto ucraino, facciamo eco all’appello del Movimento pacificista di quel Paese per “negoziati aperti, inclusivi e completi sulla pace e il disarmo nel formato di un dialogo pubblico tra tutte le parti statali e non statali del conflitto con la partecipazione di attori della società civile favorevoli alla pace”. E questo tipo di processo inclusivo, un processo che non è guidato o dominato da coloro che hanno creato la crisi in primo luogo, deve essere applicato ad altri contesti. I vecchi modi di fare hanno dimostrato più e più volte che non funzionano. Abbiamo bisogno di una nuova visione della pace globale, fondata sulle esperienze intersezionali delle persone e sui bisogni dell’intero pianeta. Creare e raggiungere questa visione richiede di cambiare chi è invitato al tavolo delle decisioni: via le élite al potere, che sono legate a interessi e guadagni personali, e dentro tutti quelli che hanno da perdere dal conflitto.
Crede che sia possibile in un contesto che vede le soluzioni violente e di conflitto dominare nel racconto dei media e con la società civile molto stanca dopo due anni di pandemia?
RA Disimparare la necessità della violenza è essenziale per esplorare ciò che potrebbe essere costruito al suo posto. Questo significa capovolgere gran parte di ciò che ci viene insegnato su ciò che è necessario per la sicurezza nel nostro mondo: significa imparare a rifiutare la violenza come soluzione a tutti i problemi, interrogando e sfidando i sistemi di potere che affermano di esistere per proteggere mentre invece perseguitano e opprimono.
Comprendere e rispondere al “quadro generale” non significa che ognuno di noi, come individuo, debba risolverne ogni pezzo. Ma significa che dobbiamo riconoscere e sostenere gli sforzi degli altri e riflettere nel nostro lavoro l’analisi e l’organizzazione dei vari movimenti e progetti per la pace. La somma del nostro insieme è più grande delle nostre parti: eliminare i sistemi strutturali di violenza può sembrare impossibile ed uno sforzo immenso, a meno che non decidiamo di frantumare questo sistema e ricostruire qualcos’altro, insieme.
Francesco Vignarca è il coordinatore delle campagne della Rete italiana pace e disarmo
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