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La sfida della Conferenza nazionale sulle droghe, 12 anni dopo proclami e tabù
Il 27 e 28 novembre a Genova si svolgerà la sesta “conferenza nazionale sulle dipendenze”. Un appuntamento atteso dal 2009. “Ci sono delle criticità ma è un’occasione di confronto importante. La politica ci ascolti” spiega Riccardo De Facci, presidente del Cnca
Il 27 e il 28 novembre 2021 si svolgerà a Genova la Conferenza nazionale sulle droghe. Un appuntamento aspettato a lungo dal sistema dei servizi che si occupano di tossicodipendenza: l’ultima si svolse a Trieste nel 2009. Dodici anni dopo, la ministra per le Politiche giovanili Fabiana Dadone ha riunito operatori e politici in una conferenza che ha definito come un “momento di riflessione indispensabile”. “Oltre le fragilità” sarà il titolo dell’appuntamento: “Perché le fragilità non sono solo umane ma del sistema sanitario, della normativa e talvolta anche delle prese di posizione”, ha sottolineato la ministra. Alla conferenza si arriva dopo un percorso preparatorio che dai primi di ottobre ha visto incontrarsi 122 esperti provenienti da enti istituzionali, da realtà del privato sociale, dalla società civile, dal mondo accademico e molto altro. I lavori si sono svolti su sette tavoli tecnici articolati su 45 sotto-temi.
Il 26 novembre, sempre a Genova, alcune organizzazioni anticiperanno l’incontro istituzionale con una “Fuori conferenza” per discutere dei temi che sono rimasti esclusi dal programma. Tra questi spicca il tema del referendum sulla cannabis. “Una scelta non condivisibile ma che comprendiamo nelle sue motivazioni: c’era e c’è il rischio che questa conferenza sia delegittimata da forze politiche e anche organizzazioni che si occupano del tema. Non vogliamo che succeda -spiega Riccardo De Facci, presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca) che riunisce circa 260 organizzazioni del Terzo settore operative in quasi tutte le Regioni d’Italia-. Al di là di alcune criticità è una grande occasione, da non perdere, per potersi finalmente confrontare su un tema di grande attualità che richiede interventi legislativi e nuove risposte da parte dei servizi”.
De Facci quali sono le sensazioni alla vigilia di un appuntamento che avete atteso a lungo?
RDF Direi controverse. Sicuramente senso di ringraziamento per la ministra che finalmente ha deciso di incontrarci ma al tempo stesso ci sentiamo orfani di politica e di ascolto da troppo tempo. La legge impone una cadenza triennale della conferenza per aiutare la politica a stare al passo con l’evoluzione del fenomeno: sono passati 12 anni dalla discussa conferenza di Trieste e ben 20 da quella più partecipata di Genova. Non ci saranno i 2mila operatori presenti in quell’occasione ma riteniamo che il percorso di preparazione costruito in questi mesi sia stata una buona via di mezzo: in presenza saremo pochi ma discuteremo dei documenti prodotti dai sette gruppi di lavoro e li inseriremo nella sintesi che invieremo al Parlamento. Oggi è difficile parlare di questi temi e questa è un’occasione importante per farlo.
In che senso è difficile?
RDF Quello delle droghe è un tema che qualcuno definisce come “eticamente divisivo”. Il rischio è che anche forze politiche della stessa corrente siano spaccate al loro interno. Anche tra i servizi stessi spesso ci sono visioni differenti. Aver avuto il coraggio in un governo come questo di costruire gruppi di lavoro trasversali con responsabili di tutte le reti e dei sistemi italiani che si occupano di questo tema ci sembra un impegno di cui dare merito.
Resta fuori dalla conferenza per motivi “politici” il tema del referendum sulla cannabis. Che cosa ne pensa?
RDF Abbiamo criticato questa scelta anche considerando che la ministra aveva appoggiato i temi della depenalizzazione ripresi dal referendum. Il motivo è che alcune forze politiche avrebbero tentato di annullare il senso della conferenza semplicemente perché poneva il tema della cannabis. C’era e c’è il tentativo di delegittimare un appuntamento che, al di là di tutto, ha portato a una riflessione in questi mesi che ha coinvolto centinaia di operatori.
Nella conferenza autoconvocata del 26 novembre affronteremo il tema del referendum, come anche quello della riduzione del danno. Non è una contro-conferenza ma un ponte di dialogo con quella istituzionale. Se di cannabis non si parlerà in questo appuntamento faremo di tutto perché avvenga presto in Parlamento.
In realtà in parte di cannabis si parlerà ma con riferimento all’uso terapeutico. È il contesto giusto?
RDF Abbiamo contestato da subito l’inserimento del tema in questa conferenza perché è inadeguato. È una sostanza usata in maniera farmacologica sulla base di dati scientifici e non può essere trattata come sostanza ma come farmaco. Spostiamo in maniera chiara, decisa, la discussione riguardante la canapa terapeutica nell’ambito della sanità.
Uno dei principali punti su cui pretenderete un cambiamento è l’intervento legislativo sul Testo unico sugli stupefacenti del 1990. Perché?
RDF Perché cambiare legge è necessario. L’approccio legato al “ti punisco per guarirti” è superato e si riferisce a un fenomeno in cui c’erano quasi 1.300-1.400 morti per overdose all’anno. Adesso sono poco più di 300. Per quanto tanti, la sproporzione è enorme. Inoltre il mondo della tossicodipendenza vedeva circa il 60 per cento delle persone in carico con problematiche legate all’Hiv e all’Aids. Il fenomeno è cambiato sia per le sostanze circolanti sia per le domande che stanno arrivando ai servizi. Serve una ripresa seria, non ideologica, di un confronto su una legge che è folle.
E che ha riempito le carceri di tutta Italia…
RDF È una legge che è assolutamente inutile nei suoi approcci punitivi. Mischia l’utilizzo di sostanze molto diverse tra loro. Una cosa è provare ad aiutare persone che hanno problemi di dipendenza grave da eroina e altre sostanze che comportano conseguenze importanti anche dal punto di vista sanitario. Altro è parlare di una sostanza come la cannabis che pur con i suoi rischi, soprattutto per giovani consumatori che incontrano una sostanza alterante, resta una sostanza che interroga più il mondo educativo e pedagogico. Una persona che consuma non deve incontrare il carcere, un prefetto ma educatori e psicologi.
Quale sfida affrontano oggi i servizi che si occupano di dipendenza?
RDF Bisogna chiedersi come si può essere più efficaci rispetto alle domande che arrivano ai servizi. Abbiamo ancora otto-dieci anni di latenza da quando una persona comincia ad avere problemi con le sostanze e arriva a chiedere un sostegno. Dobbiamo ridurre questo tempo per aiutare le persone, confrontarsi con loro, sostenerle per quello che è possibile e nello stato in cui sono.
Come l’assenza della politica ha inciso su questa difficoltà dei servizi nello stare al passo con il fenomeno?
RDF Moltissimo. Faccio un esempio molto concreto sul tema dei servizi di prossimità nati con l’obiettivo di ridurre i rischi di un possibile consumo nel mondo giovanile e in quello ella tossicodipendenza. Modalità di consumo e problematiche diverse ma che riteniamo debbano trovare il supporto di operatori. Nel 2017 questi servizi sono diventati Livelli essenziali di assistenza (Lea): un impegno del ministero della Salute e, in seconda battuta, delle Regioni perché diventassero servizi stabili sul territorio. In quattro anni questo non si è realizzato in nessuna Regione e non è garantito in tutti i territori. Questo ci dice come la buona volontà interna ad alcune forze politiche può portare a un primo prodotto ma un sistema politico, sia a livello nazionale sia regionale, che non è attento a questi temi rischia di promettere tanto ma poi di lasciare completamente soli gli operatori dei servizi.
E quindi?
RDF Occorre costruire un vero sistema omogeneo in Italia. Il sistema sulle dipendenze ha tante realtà differenti quante sono le Regioni: diversi modelli di comunità, di intervento, di investimento sulla prevenzione e questa diversificazione non dà alle persone lo stesso diritto di cura. È gravissimo e pretendiamo un cambiamento. Soprattutto in questo momento.
C’è un’urgenza legata al problema delle dipendenze oggi?
RDF Sì, speriamo che la politica sappia ascoltare chi lavora sui bisogni. Il post Covid-19 ci consegna un mondo che possiamo dire che ha voglia di sperimentare e divertirsi: i giovani, chiusi in casa per mesi, hanno bisogno di adulti competenti che li accompagnino nelle scelte. La conferenza serve anche a questo: anche se non sarà aperta a tutto il sistema, i documenti prodotti dovranno essere il punto di partenza di una discussione. Anche perché l’Europa ci segnala quasi 1.000 nuove sostanze soprattutto chimiche che arrivano sul mercato. Soprattutto prodotte in laboratorio e che per certi aspetti mutuano le vecchie sostanze più “naturali”: quindi abbiamo “simil oppioidi” con quasi 50mila morti di overdose negli Stati Uniti per una sostanza che crea una dipendenza mostruosa.
Nuove sostanze, un fenomeno di consumo in aumento, circa 10mila persone in carcere dichiarate tossicodipendenti e un terzo delle persone incarcerate per reati spesso lievi legati al mercato delle sostanze. Questi sono i temi che porteremo a Genova e i motivi per cui la conferenza arriva, seppur in ritardo, nel momento giusto.
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