Diritti / Attualità
Dove finiscono le risorse anti-Covid-19 delle istituzioni finanziarie internazionali
Tra il 2020 e il 2022 Banca Mondiale e affini hanno stanziato 167 miliardi di dollari per rispondere all’emergenza sociale ed economica scatenata dalla pandemia. Ma queste risorse rischiano di alimentare l’indebitamento di Paesi già fragili e promuovere nuova austerità. Il report della Coalition for human rights in development
Per far fronte alla grave emergenza economica causata dalla pandemia da Covid-19 in India, l’Asian development bank e l’Asian infrastructure investment bank hanno finanziato un programma per il trasferimento diretto denaro alle persone che avevano perso il lavoro e i mezzi di sostentamento. Tuttavia, solo chi aveva un conto corrente ha potuto ricevere questi aiuti. A essere penalizzate da questo intervento sono state le fasce di popolazione più deboli, in particolare le donne: nel Paese asiatico, infatti, meno del 50% delle donne che vivono sotto la soglia di povertà ha un conto corrente intestato a proprio nome. Ma non si tratta dell’unico caso in cui gli aiuti e i programmi di emergenza messi in atto dalle istituzioni finanziarie internazionali e dalle banche internazionali di sviluppo hanno mancato i propri obiettivi.
I governi di Mozambico e Uganda, ad esempio, hanno dovuto promettere ulteriori tagli alla spesa sociale per poter ricevere prestiti dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. “La Banca mondiale ha utilizzato la pandemia da Covid-19 per promuovere la sua agenda, sostituendo l’idea di diritti universali con sovvenzioni mirate e a breve termine che non affrontano le cause profonde della povertà”, denuncia Zo Randriamaro di WoMin-African women activist.
Secondo le stime della Coalition for human rights in development tra gennaio 2020 e febbraio 2022 le 15 principali banche di sviluppo (dalla Banca Mondiale al Fondo monetario internazionale, fino alle banche di sviluppo operative in Asia, Europa e America Latina) hanno stanziato più di 167 miliardi di dollari per aiutare i governi a far fronte alle conseguenze della crisi sanitaria ed economica scatenate dalla pandemia da Covid-19, finanziando più di 1.500 progetti a livello globale. “Fin dall’inizio diverse realtà della società civile avevano messo in guardia rispetto ai possibili rischi di corruzione, aumento delle diseguaglianze e crescita dell’indebitamento. Oggi abbiamo prove sempre più lampanti che molti di quei rischi si sono materializzati”, denuncia il report “Missing receipts” pubblicato dalla Coalizione. Gli autori della ricerca hanno analizzato in profondità i progetti finanziati al contrasto della pandemia.
Uno dei nodi critici evidenziati riguarda la mancanza di trasparenza da parte delle istituzioni finanziarie globali: le associazioni locali e della società civile, infatti, sono state tenute all’oscuro rispetto a quanto denaro i governi hanno preso in prestito, a quali condizioni, in che modo sono state usate le risorse e quali erano gli obiettivi previsti. “Le istituzioni finanziarie internazionali -sottolinea il comunicato diffuso dalla Coalizione- hanno fallito nell’assicurare un livello minimo di trasparenza, partecipazione e responsabilità”. Una condizione che ha favorito il diffondersi di episodi di corruzione, utilizzo errato delle risorse e mancata valutazione delle conseguenze a lungo termine degli interventi finanziati.
In molti casi, a restare senza aiuto nei mesi più difficili della pandemia sono stati proprio i gruppi più marginali e vulnerabili. “Molti progetti sono stati messi a punto senza sufficiente attenzione a garantire l’universalità e l’accessibilità degli interventi”, si legge nel report. È successo in Perù, dove gli uomini e le donne impiegati nel settore informale (il 75% della forza lavoro nel Paese) sono stati esclusi dagli aiuti; mentre in Bolivia a essere escluse dai programmi di trasferimento di denaro sono state le popolazioni indigene.
Un’ulteriore criticità evidenziata nel report riguarda il mancato controllo sull’impatto dei progetti finanziati sui diritti umani e sull’ambiente. “Se da un lato la riduzione dei tempi per lo stanziamento dei fondi può essere giustificato in una fase di emergenza, il monitoraggio sul rispetto dei diritti umani resta fondamentale”, si legge. Sui 123 progetti analizzati in Brasile, ad esempio, in meno della metà erano presenti valutazioni legate ai rischi socio-ambientali. In Argentina, l’iter di valutazione di un progetto del valore di 490 milioni di dollari finanziato dalla Banca mondiale per lo sviluppo ha richiesto meno di due mesi “sollevando seri interrogativi sul fatto che la due diligence richiesta fosse stata fatta o meno”.
Quando è esplosa la pandemia molti Paesi in via di sviluppo e a medio reddito si trovavano già in uno stato di vulnerabilità causato da politiche neoliberali che avevano depauperato il settore pubblico, privatizzato i servizi di base ed eliminato i programmi di protezione sociale. Una “ricetta” promossa dalle Istituzioni finanziarie internazionali, che continuano a insistere su un paradigma che mette al centro il settore privato: “La Banca Mondiale e altre istituzioni finanziarie hanno utilizzato la pandemia e la loro enorme influenza sulle nazioni a corto di denaro per assicurarsi l’adozione di riforme politiche e misure di austerità che in realtà danneggiano le donne, i poveri e altri gruppi emarginati”, denuncia il report.
I nuovi prestiti elargiti per affrontare le emergenze scatenate dal Covid-19 -si legge nel rapporto- rischiano quindi di aumentare la crisi del debito in Paesi già fragili e minano la possibilità di una ripresa sostenibile. Citando uno studio di Oxfam, il report riferisce che l’85% degli accordi sottoscritti da 85 Paesi a medio-basso reddito prevedono già i piani per mettere in atto misure di austerità una volta che la pandemia sarà conclusa.
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