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Diritti / Approfondimento

“La residenza contesa”, storia del luogo attorno al quale si decidono le sorti delle persone

© Il Mulino

Il volume di Michele Colucci, Stefano Gallo ed Enrico Gargiulo mette al centro la questione della residenza anagrafica a partire dai flussi migratori interni e internazionali. Gli orizzonti che si delineano sono complessi e includono anche esclusione sociale e disuguaglianze nell’accesso ai diritti

È il 1972 quando nel libro “Il gaio futuro” lo scrittore Ennio Flaiano racconta le peripezie di un uomo che va all’anagrafe per correggere un suo documento su cui risulta un nome sbagliato. Resterà turbato e affascinato dall’anagrafe, un ambiente in cui le persone “sono preoccupate di essere ciò che sui registri non risultano”. Più di un secolo prima era Nikolaj Gogol in “Le anime morte” a ricostruire le trame “losche” di un faccendiere che acquistava i servi della gleba registrati nel censimento e poi deceduti ma formalmente ancora validi per provare la ricchezza di un proprietario.

Queste due storie vengono proposte come incipit della prefazione del volume “La residenza contesa” di Michele Colucci, Stefano Gallo e Enrico Gargiulo, pubblicato nel gennaio 2023 dalla società editrice Il Mulino, per dare una cornice storica alla ragione per cui gli autori hanno deciso di occuparsi di questo tema. “La residenza sembra qualcosa di ‘freddo’ e ordinario ma è un luogo attorno al quale si decidono le sorti delle persone. E questa ‘decisione’ ha a che fare con i rapporti di forza nella società: sono gli equilibri politici a determinare o meno l’accesso dei settori più fragili della popolazione -spiega Colucci, ricercatore del Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di studi sul Mediterraneo-. Un conflitto tra istituzioni e cittadini ma anche tra apparati dello Stato che si ripete fin dall’unità d’Italia”.

E proprio per approfondire questo conflitto e indagare al meglio la complessità del tema della residenza, i contributi raccolti all’interno del volume spaziano dalla geografia alla statistica, passando dalla sociologia alla storia. L’elemento storico è infatti fondamentale perché ripercorrendo l’evoluzione del funzionamento dell’anagrafe emerge come, in ogni periodo storico, questo sia stato un tassello fondamentale per ogni “forza di governo”. L’anagrafe in Italia viene pensata fin dall’inizio con una doppia valenza, da un lato registrare i movimenti delle persone, dall’altro attribuire uno status formale: chi è residente ha una posizione giuridica e diversa da chi non lo è. “Questa doppia funzione, una statistica e una più amministrativa da sempre crea tensioni molto forti -spiega Enrico Gargiulo, professore associato di Sociologia generale all’Università di Bologna e coautore del libro-. Fin dal 1861 i Comuni creano problemi perché si rifiutano di cancellare chi si è spostato dal territorio per non perdere popolosità: con le riforme sociali di inizio Novecento, la spesa sanitaria ‘ricadeva’ sul comune di residenza. Motivo per cui spesso gli enti locali si opponevano alla registrazione delle persone ‘indesiderate’”.

Tensioni che in parte vengono meno con l’avvento della dittatura fascista, che “risolve” il problema a monte. L’obiettivo è scongiurare il più possibile la migrazione interna che doveva essere il più possibile programmata dall’alto e controllata: lo spostamento era ben visto in occasione dei lavori di bonifica delle terre e per la costruzione delle città di fondazione. Non esistevano altri motivi accettati per potersi spostare. “La paura era che i movimenti autonomi, soprattutto dalla campagna alla città, potessero diventare un problema a livello politico: si voleva difendere la società rurale vista come ‘immobile’, ferma nel tempo e antidoto sicuro alla modernità”, spiega Colucci. Così una legge del 1939 stabiliva che per trasferirsi in una città con più di 25mila abitati era necessario esibire un contratto di lavoro per un impiego nel luogo di destinazione con moltissime persone che si spostano lo stesso e restano “invisibili”. Un fenomeno che continua anche con la fine del regime. “Nel 1960 ci sono almeno 300mila persone che vivono a Roma in città senza aver la residenza. In tutta Italia si generano proteste e, nonostante nel ’61 vengono abolite le leggi fasciste, gli enti locali continuano ad essere molto diffidenti verso chi chiede il cambio di residenza e il legame con il lavoro continua a esistere”.

Così come continua a incidere con forza la componente di “indirizzo politico” sul decidere chi può e chi non può essere registrato. Nel volume si sottolinea la tendenza degli ultimi anni a escludere sempre di più i gruppi più fragili della popolazione. “Se si immagina un grande cerchio che include le persone e i diritti, negli ultimi trent’anni questo cerchio si è sempre più ristretto facendo finta che non esistano soggetti, o gruppi di persone, che sono ritenuti inefficaci per il benessere pubblico e la società”, sottolinea il ricercatore. E in questo quadro l’anagrafe diventa più uno “strumento di sicurezza urbana” che di “monitoraggio degli spostamenti”. Ci sono interventi normativi recenti che sono esemplari sotto questo punto di vista. Il primo è il Piano casa del 2014 emanato dal Governo Renzi. “Tutti coloro che non vivevano in situazioni conformi ad alcuni standard, soprattutto chi occupava immobili senza regolare contratto, ma non solo, si ritrovano a non poter registrare la loro residenza. Con effetti pesantissimi: dall’allaccio delle utenze, alla possibilità di avere un medico di base, all’iscrizione dei figli nelle scuole del comprensorio”. A Roma migliaia di persone vengono costrette a vivere in condizione di invisibilità, un numero altissimo che porta diverse realtà locali a protestare contro questo provvedimento (l’abbiamo raccontato su Altreconomia 256). Tra le “categorie” colpite ci sono anche i richiedenti asilo. “In quel periodo occupavano degli edifici su stessa indicazione delle istituzioni, che poi improvvisamente decidono di non garantire più la possibilità di essere registrati come residenti. A Torino, lo abbiamo visto con l’ex MOI, prima villaggio olimpico delle Olimpiadi 2006 e poi luogo in cui migliaia di persone hanno vissuto fino allo sgombero concluso nel luglio 2019 -osserva Gargiulo-. L’ossessione per escludere i richiedenti asilo dai registri si consolida poi con il ‘decreto Salvini’ del 2018 che nega loro la possibilità di essere iscritti all’anagrafe, una discriminazione poi ‘bloccata’ dalla Corte costituzionale”.

L’esempio dei richiedenti asilo racconta di come la residenza è diventata sempre di più uno strumento che non viene più utilizzato con un obiettivo di controllo anagrafico. “Si costruisce sul tema della sicurezza urbana un profilo di intervento politico e questo strumento viene utilizzato come metodo di controllo e selezione, non più come monitoraggio dell’evoluzione della presenza del numero di persone su un territorio”, osserva Colucci. Ma questo genera un conflitto: non solo tra chi resta senza residenza e lo Stato, ma anche tra gli stessi apparati delle istituzioni centrali. “In parte ritorna quanto dicevamo prima: i Comuni spesso si oppongono alle direttive del governo centrale -riprende Gargiulo-. A volte si creano conflitti addirittura tra il Ministero e l’apparato ‘tecnico’ che nelle circolari contraddice quanto è stato deciso a livello politico perché gli interessi non sempre sono convergenti”. A pagare il prezzo più alto di queste tensioni sono soprattutto determinate fasce di popolazione: il libro ricostruisce come siano gli stranieri, i “poveri”, le persone con precedenti penali, gli “indecorosi” a pagare il prezzo più alto. “Anche chi è troppo mobile e non ha una dimora fissa. Se tu vivi in strada per ‘scelta’ lo Stato non lo accetta e la residenza diventa uno strumento di disciplinamento delle condotte: o vai dai servizi sociali, oppure resti senza diritti. Un ‘ricatto’ che ritorna anche con riferimento a chi ‘occupa’ immobili”, conclude il professore.

Un tema che non riguarda però solamente gli stranieri. L’impossibilità di voto per gli studenti fuori sede, per esempio; la possibilità di accedere al reddito di cittadinanza o l’agevolazione per chi è residente nel pagamento di un canone minore per luce e gas. Il tema della residenza tocca da vicino tutti quanti. “C’è un groviglio di meccanismi e norme per cui, a cascata, l’assenza di residenza si riflette su tantissime cose -conclude Gargiulo-. Se non sei registrato, sei invisibile: non basta provare dal punto di vista materiale, ad esempio con scontrini, abbonamenti a palestre o altro la tua presenza continuativa su quel territorio. Serve il foglio dell’anagrafe: sembra scontato ma questo aspetto ha conseguenze molto concrete sulle nostre vite”. Un tema, quello della residenza, che oggi vive un paradosso che è al centro della scelta di pubblicare “La residenza contesa”. “È diventato un requisito sempre più importante per accedere ai diritti fondamentali e al tempo stesso negli ultimi anni sempre più discrezionale e spesso negato -conclude Colucci-. Fare il ‘punto’ è fondamentale per capire cosa è successo e verso quale orizzonte ci muoviamo”.

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