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Diritti / Intervista

La povertà alimentare è più complessa di come l’ha messa il ministro Lollobrigida

© Ursula Gamez - Unsplash

Di fronte alle parole del ministro dell’Agricoltura al Meeting di Rimini sulla dieta degli indigenti (i “poveri”, per lui), abbiamo chiesto a Roberto Sensi -responsabile del programma povertà alimentare di ActionAid- di aiutarci a comprendere il problema della povertà alimentare nel nostro Paese. Superando retorica e semplificazioni

Tre milioni di persone in Italia hanno avuto accesso ai “pacchi alimentari” nel 2022. Erano due milioni nel 2019. Di fronte alle parole del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida sulla dieta degli indigenti (i “poveri”, per lui), abbiamo chiesto a Roberto Sensi -responsabile del programma povertà alimentare di ActionAid– di aiutarci a comprendere il problema della povertà alimentare nel nostro Paese. “Eurostat -spiega Sensi- misura la deprivazione alimentare definendola come una condizione per la quale a causa delle difficoltà di reddito non è possibile fare un pasto completo con pollo, carne, pesce o equivalente vegetariano almeno una volta ogni due giorni. Nel 2021 le persone che nel nostro Paese si trovavano in tale condizione erano il 7,9% del totale, vale a dire circa 4,6 milioni. In Italia non si muore di fame ma mangiare bene costa e questo al netto delle differenze territoriali, delle caratteristiche socio-demografiche delle famiglie e delle opportunità di accedere a prodotti di qualità a filiera corta.

Che cosa caratterizza il problema della povertà alimentare in Italia? Davvero si può risolvere con la “spesa dal contadino”?
RS C’è una premessa da fare: la povertà alimentare è un fenomeno multidimensionale, vale a dire che insieme agli aspetti materiali, che si riferiscono alla qualità e alla quantità del cibo consumato, sono altrettanto importanti quelli che potremmo chiamare “immateriali”, ma che hanno conseguenze importanti e concrete sul benessere psicofisico delle persone. Questi riguardano il cibo nella sua dimensione sociale e psicologica. Per fare un esempio: il valore nutrizionale di una tazzina di caffè è irrilevante, ma quanto è importante per le nostre relazioni? Uscire a mangiare o fare un aperitivo con parenti e amici è altrettanto importante che mangiare a sufficienza e in modo sano. Non si tratta di “lussi” a cui rinunciare quando si è in difficoltà ma di opportunità che, inoltre, svolgono un ruolo importante nel mitigare l’esclusione sociale associata alla condizione di povertà. Questa premessa serve a spiegare che il problema dell’accesso economico ad un cibo adeguato è, seppur importante, una delle dimensioni di un fenomeno più complesso e articolato. Inoltre non dobbiamo dimenticare che il cibo, in tutte le sue dimensioni, è una delle spese più flessibili e “sacrificabili” del budget famigliare: a differenza dell’affitto o delle bollette, ad esempio, il cibo posso ridurlo in quantità e qualità oppure sostituirlo ricorrendo  a forme di aiuto esterno. Ad oggi questa complessità non viene catturata nelle statistiche, che di conseguenza sottostimano la diffusione e l’intensità del fenomeno ma, in ogni caso, ci dicono una cosa interessante sul nesso tra reddito e accesso ad un cibo adeguato.

Com’è cambiata l’incidenza dopo il Covid-19?
RS A livello nazionale gli impatti della pandemia sulla grave deprivazione alimentare -la chiamiamo così perché non abbiamo oggi stime sul fenomeno considerato in tutte le sue dimensioni- non sembrano essere stati così significativi e questo è probabilmente dovuto alle misure di sostegno al reddito adottate a partire dal 2019 che hanno fortemente mitigato gli effetti della crisi sulla popolazione. Interessante, e preoccupante allo stesso tempo, sarà valutare in futuro l’impatto dell’eliminazione del Reddito di cittadinanza sulla grave deprivazione alimentare degli individui. È invece aumentato, e in modo significativo, il numero di coloro che hanno fatto ricorso a forme di aiuto alimentare. Ad esempio, il numero di beneficiari degli aiuti alimentari provenienti dal Fondo europeo di aiuti agli indigenti (Fead) è passato da due milioni del 2019 ai tre milioni del 2022. Questi dati ci potrebbero dire che, più che in termini di diffusione, l’impatto della pandemia sulla povertà alimentare è stato quello di intensificare la gravità del fenomeno, “costringendo” molte persone a ricorrere a una forma di aiuto che potremmo definire di ultima istanza come quella di rivolgersi a un ente di solidarietà.

Quali elementi dovrebbe considerare la politica se intende affrontare seriamente il tema?
RS La povertà alimentare non la puoi misurare solo in termini di mancanza di reddito. A parità di risorse, infatti, altri fattori come quelli culturali, legati, ad esempio, al livello di istruzione, giocano un ruolo fondamentale nel mitigarne l’impatto. Le misure di contrasto alle cause profonde della povertà alimentare sono le stesse  necessarie a combattere la povertà nel suo complesso. La differenza si gioca invece sul fronte delle conseguenze di questo fenomeno, dove ad oggi gli interventi di risposta appaiono insufficienti e inadeguati. Il modello di aiuto alimentare è figlio di un approccio di filiera e non di sistema. Il Fead, e prima il Pead (Programma per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti, istituito nel 1987 è attivo fino al 2013), così come il sistema di redistribuzione delle eccedenze alimentari incentivato in ultimo dalla “Legge Gadda”, si basano sull’idea di alimentare le filiere di aiuto attraverso i surplus creati dai sistemi agroalimentari industriali. Ma è evidente che non si può rispondere a un fenomeno così complesso come la povertà alimentare limitandosi a redistribuire l’eccedenza affinché non diventi scarto. A conferma di ciò c’è il fatto che le risorse Fead per il ciclo finanziario 2014-2020 sono state destinate quasi totalmente all’acquisto di derrate alimentari quando l’aiuto alimentare potrebbe assumere forme e approcci diversi, ad esempio, ricorrendo ai voucher (ammessi nel nuovo regolamento Fead/Fes Plus) o affiancando all’aiuto alimentare altri interventi che si indirizzino alle dimensioni immateriali. L’aiuto alimentare in tutte le sue forme ha un carattere fortemente stigmatizzante. L’impatto psicologico della povertà alimentare è fondamentale. Lo stress, l’ansia e lo stigma che caratterizzano la condizione di povertà alimentare è una condizione diffusa soprattutto tra i giovani e le donne, incidendo in modo significativo sulla qualità della vita.

È davvero solo una questione di qualità del cibo, come ha lasciato intendere nei giorni scorsi il ministro dell’Agricoltura al Meeting di Rimini?
RS No, come abbiamo già accennato il nesso tra reddito e adeguatezza del cibo è complesso e non riguarda esclusivamente i livelli di risorse, ma chiama in causa altre dimensioni territoriali e individuali. Per accedere a un cibo di qualità, oltre a un reddito adeguato, serve che questo cibo sia disponibile vicino a dove vivi. E questo spesso non accade, soprattutto per chi abita nelle periferie delle grandi città. Se il cibo di qualità è così importante, perché non investire nella diversificazione delle filiere di aiuto alimentare, ad esempio permettendo l’acquisto di quei prodotti di qualità presenti sui mercati locali di cui il ministro, giustamente, tesse le lodi? La domanda è certamente retorica e dimostra come oggi serva cambiare le lenti attraverso le quali guardiamo a questo fenomeno, superando le semplificazioni e la retorica annessa, altrimenti continueremo a mancare l’obiettivo sprecando risorse importanti.

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