Economia / Opinioni
La natura della Fondazione Milano Cortina, il patrimonio negativo e lo statuto modificato
I vertici della Fondazione insistono sulla natura privata dell’ente, sostenuti dal Governo Meloni che è intervenuto per decreto. Un’interpretazione forzata, così come la scelta di proseguire l’attività anche a fronte di perdite che hanno azzerato il patrimonio, cambiando in corsa lo statuto a inizio 2023. Nell’ultimo bilancio il deficit cumulato ha superato quota 107 milioni di euro. L’analisi di Remo Valsecchi
La Fondazione Milano Cortina 2026 ha natura pubblica o privata? Non è sufficiente la definizione dell’articolo 2 della legge istitutiva per stabilirlo: “non avente scopo di lucro e operante in regime di diritto privato”.
Il non scopo di lucro può essere infatti una scelta nella natura privata ma è una regola nella natura pubblica. Il regime di diritto privato indica la normativa di riferimento da applicare alla gestione ma non indica la natura; tutte le società pubbliche operano in regime di diritto privato, applicando il Codice civile, integrato da norme speciali -la principale è il Testo unico sulle società a partecipazione pubblica-, per adattare il diritto pubblico alla funzione pubblica anche con limitazioni e obblighi diversi da quelli previsti dal Codice civile. Tradotto: le società pubbliche operano in regime di diritto privato ma mantengono la natura pubblica.
Con il decreto legge 76/2024 (“Disposizioni urgenti per la ricostruzione post-calamità, per interventi di protezione civile e per lo svolgimento di grandi eventi internazionali”) il Governo Meloni ha tentato di dare una risposta alla questione, non modificando il citato articolo 2 ma interpretandolo, con la specifica che le attività della Fondazione Milano Cortina 2026, solo per questa e senza alcuna altra modifica legislativa, non sono disciplinate da norme di diritto pubblico e che la Fondazione non riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico. La qualifica, però, è cosa ben diversa dalla natura.
Compete al governo interpretare le leggi con un decreto che, peraltro, non ha nemmeno le caratteristiche di necessità e di urgenza che ne consentano l’emanazione in casi straordinari? Dubito che possa essere considerato un caso straordinario quello di ostacolare o impedire l’azione della magistratura. In un sistema democratico che ha il suo fondamento nella separazione dei poteri, l’interpretazione delle leggi non può essere di chi le emana, deve essere di chi ne controlla l’applicazione, la magistratura o la Corte costituzionale. Non è una questione formale, i diritti costituzionali dei cittadini dipendono anche dalla certezza dei ruoli e delle competenze.
Torniamo al merito. Le fondazioni con ricavi superiori a 500mila euro finanziate da pubbliche amministrazioni e in cui i componenti dell’organo d’amministrazione o di indirizzo sono designati da pubbliche amministrazioni, rientrano negli obblighi per la trasparenza della Pubblica amministrazione, sono perciò organismi pubblici. Perché questo non vale per la sola Fondazione Milano Cortina 2026 (che ad esempio si rifiuta, opponendo il silenzio, ad adempiere a istanze di accesso civico generalizzato, ndr)?
Perché un’attività che non ha alcuna affinità con le logiche della fondazione non è esercitata con una società pubblica o, meglio, tramite un ente economico pubblico? Forse per sottrarsi agli obblighi e limitazioni che la legge impone e che impediscono quelle stranezze su cui la Procura di Milano sta indagando e che riguardano appalti e assunzioni per i quali sono previste procedure particolari quando l’ente è un organismo pubblico? Non è un’affermazione ma un plausibile dubbio. L’interpretazione definitiva spetta alla magistratura e alla Consulta.
La fondazione, è importantissimo ricordarlo, è un ente avente personalità giuridica che significa separazione del suo patrimonio da quello dei suoi amministratori e, tale condizione, è regolata dal Dpr 361/2000 che all’articolo 1 stabilisce che deve possedere un patrimonio adeguato alla realizzazione dello scopo, ossia un patrimonio minimo non definito. Nel caso delle fondazioni del Terzo settore è stabilito in 30mila euro. Se non è definito deve essere superiore a zero in quanto le attività superiori alle passività sono una garanzia per i terzi creditori.
Lo statuto della Fondazione Milano Cortina 2026 approvato con l’atto costitutivo il 9 dicembre 2019, infatti, proprio per recepire il principio dell’adeguatezza, all’articolo 4, vincola 50mila euro a garanzia dei terzi stabilendo che, quando diminuisce a un importo inferiore, il consiglio di amministrazione deve “senza indugio”, cioè immediatamente, deliberare quanto necessario per la integrazione sino al suo ripristino o, in caso contrario, deliberare la trasformazione, fusione o scioglimento. Cioè la cessazione di ogni attività.
Non resta che l’esame dei bilanci. Nel 2020 la Fondazione perde 6.264.081 euro ma non viene deliberato alcun provvedimento e, quindi, in base allo statuto vigente, la Fondazione sarebbe sciolta, ossia non esisterebbe più, eppure ha continuato la sua attività. Nel 2021 perde ulteriori 21.217.315 euro, nel 2022 altri 54.784.542 euro, il totale delle perdite ammonta 85.423.139, l’importo che, con l’aggiunta di altre 50mila euro, dovrebbe in teoria essere versato per ripristinare il patrimonio minimo previsto dallo statuto. Ma siamo già in forte ritardo rispetto al “senza indugio”.
Il 17 gennaio 2023, prima di ufficializzare con il bilancio la perdita del 2022, questa disposizione a garanzia della presenza del patrimonio minimo è stata eliminata con una modifica dello statuto. Questo non significa però che la legge sia cambiata: l’articolo 1 del Dpr 361/2000 che stabilisce l’obbligo dell’adeguatezza è infatti tuttora in vigore. Nel 2023, per non smentirsi, la perdita è stata di 33.725.504 euro e il totale del deficit patrimoniale cumulato costituzione è schizzato così a 107.800.743 euro.
Nei bilanci della Fondazione, dal 2020, i ricavi sono stati 26.452.491 euro per contratti di sponsorizzazioni di cui 23.031.301 versati ad altri comitati olimpici a titolo di royalties e che, normalmente, non prevedono la contropartita di costi specifici, e capitalizzazioni, ossia costi sostenuti nel periodo sino al bilancio 2023 che manifesteranno la loro utilità successivamente, per un importo di 14.526.843 euro, un totale di ricavi al netto delle royalties di 27.816.244 euro.
I costi, al netto sempre delle royalties, sono pari però a 140.516.022 euro. La differenza di 112.699.778 euro è indubbiamente giustificata, nel senso di documentata, ma secondo i principi contabili sembrerebbe non motivata.
La Fondazione non riveste la qualifica di organismo di diritto pubblico, come interpreta il governo, ma il conferimento per la sua costituzione è pubblico, le nomine sono pubbliche. I cittadini hanno tutto il diritto di conoscere le ragioni di spese per 112,7 milioni che, dai bilanci, non si può capire.
Che cosa succederà? Un’ipotesi si potrebbe fare ma è meglio lasciare la soluzione a chi ne ha la competenza: la magistratura.
Remo Valsecchi, già commercialista
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