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Economia / Attualità

Non è un Piano a cambiare le sorti delle aree interne

Una vista di Emarèse in Bassa Valle D’Aosta © Luca Martinelli

Il dibattito sull’uso di un termine inadeguato (“irreversibile”) nel Piano strategico nazionale delle aree interne ha il pregio di riportare l’attenzione sui territori marginalizzati ma lo sposta sul vocabolario e invisibilizza dati significativi, come l’aumento dei Comuni più lontani dai centri. Una problematica che è riconoscibile dal 2022, quando il fallimento della politica di ripopolamento dei paesi è diventato evidente. Il nodo resta quello dei servizi, sempre più lontani dai cittadini

Il dibattito che si è aperto intorno al tema dello svuotamento delle aree interne è senz’altro inquinato dall’attenzione all’uso del termine “irreversibile” in relazione allo spopolamento di un gruppo di Comuni marginalizzati, in particolare nel Mezzogiorno.

Il riferimento è a un documento del maggio 2025, il Piano strategico nazionale delle aree interne (Psnai) 2021-2027. Il 3 luglio, addirittura, un giovane deputato di Forza Italia ha voluto pubblicare una nota in cui ha sottolineato che “l’espressione ‘spopolamento irreversibile’ non compare in alcun modo nel Psnai 2021-2027″.

Purtroppo si sbaglia, perché esso torna più volte, ad esempio a pagina 44 (“nessun Comune ha di fronte un destino ineluttabile in relazione alle coordinate geografiche in cui si trova, ma sono molti i Comuni che rischiano un percorso di marginalizzazione irreversibile per le dinamiche demografiche che li caratterizzano”) o a pagina 45, laddove si cita il documento che in questi ultimi giorni ha acceso la fiamma della protesta, ovvero l’allegato al Piano elaborato dal demografo dell’Università Cattolica Alessandro Rosina, che per alcuni territori definisce una possibile strategia di “Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile“, descrivendo “un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita”. Aggiunge Rosina che “ogni Comune deve poter valutare in quale di queste quattro tipologie si colloca”.

Nel contesto del Piano si parla poi di due tipologie di aree interne nei quali lo spopolamento è “più veloce dell’adattamento infrastrutturale” (pagina 17) e nei quali la “povertà è dietro l’angolo” (pagina 42). Tra i primi, si trovano quasi tutti i Comuni delle aree interne del Centro Italia, quelli del “cratere” dei terremoti del 2009 e del 2016 e 2017, nel Maceratese, nel Piceno, nel Reatino, nel Teramano: è un’evidenza interessante, perché dà conto di come dopo l’emergenza i ritardi nella ricostruzione o la distorsione nell’uso delle risorse (vedi il documentario “Ultima neve”) siano stati un volano dello svuotamento. L’assenza di politica e di politiche, cioè, innesca e amplifica il problema.

Questi elementi portano a includere due riflessioni sul sostanziale fallimento delle politiche per le aree interne. Da un punto di vista culturale, dopo la Strategia nazionale per le aree interne (Snai), che era fondata sull’idea di cooperazione tra le piccole amministrazioni coinvolte in aree omogenee, c’è stata la pandemia da Covid-19 e dopo l’emergenza è arrivato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che ad esempio ha regalato ai paesi italiani definiti “borghi” il ritorno alla logica del bando, mettendo a disposizione del “Bando borghi” un miliardo di euro.  

Da un punto di vista strategico (e statistico), invece, tutti gli elementi per sollevare un polverone intorno alla situazione delle aree interne del Paese c’era già, dal febbraio del 2022, quando durante una riunione del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess) è stata presentata la Mappa aree interne 2020, cioè l’aggiornamento della classificazione degli enti locali che prefigura “un aumento complessivo dei Comuni periferici e ultra-periferici (+7,9%), che in valore assoluto passano da 1.767 a 1.906”.

Significa, in pratica, che nel periodo in cui si realizzava la fase sperimentale della Snai (di cui scriviamo nel libro “L’Italia è bella dentro”), intanto l’evoluzione delle politiche ordinarie comportava un ulteriore accentramento dei servizi essenziali. Se uno volesse leggere con sguardo romantico il dato assoluto, vedrebbe che nelle aree interne periferiche e ultraperiferiche, quelle cioè più distanti dai centri (rispettivamente oltre 40 e oltre 75 minuti), vivono oltre 1,1 milioni di abitanti in più rispetto alla precedente mappatura all’avvio della Snai, ma non c’è nessun ritorno in massa nei borghi, non è la rivoluzione dello smart working, è il segno che vivere nelle aree interne è sempre più complesso.

Ed è questo che dovremmo avere chiaro, perché la questione non riguarda solo i 1.904 Comuni delle 124 aree di progetto, in cui vivono 4.570.731 abitanti, ma l’Italia intera. 

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