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Cultura e scienza / Opinioni

La grande traversata verso la giustizia

© annie spratt, unsplash

Le comunità locali trasformative e i movimenti democratici popolari sono i soggetti indispensabili per rinnovare la politica, praticandola come relazione e non come potere. Sono gli attori del “grande cammino”, la traversata che porta al mutamento sociale e culturale della società. Le “idee eretiche” di Roberto Mancini

Tratto da Altreconomia 244 — Gennaio 2022

Il grande cammino. È la traversata del deserto tipico della società attuale, preda della logica distruttiva del potere e del capitale. Il mutamento più profondo resta quello spirituale e culturale. È spirituale in quanto orientato al senso vero della vita, che è la vita stessa purché sia accolta come comunione tra tutti i viventi. È culturale in quanto capace di rigenerare la cultura come sorgente della creatività umana, dunque della nonviolenza in tutti i campi. Al tempo stesso il mutamento che fa da motore della transizione è quello politico della democratizzazione. Perché i governi, le loro federazioni mondiali e continentali, i parlamenti e le istituzioni politiche locali sono organi di sintesi della tendenza di un’intera società. Non avremo né la svolta ecologica né un’economia giusta senza il mutamento spirituale e culturale e senza quello politico. Non possiamo coltivare il futuro limitandoci agli appelli, alle petizioni, ai flash mob, ai gesti simbolici.

Ma quali sono gli attori del grande cammino? In teoria tutti: singoli, associazioni, movimenti, reti, sindacati, partiti, parlamenti, governi, enti locali, comunità religiose, imprese. Ma i primi protagonisti sono le comunità locali trasformative e i movimenti democratici popolari. Si tratta di due tipi di soggetti che sono indispensabili per rinnovare la condizione dell’umanità e della natura perché sono i più adatti a praticare la politica come relazione e non come potere. Le comunità locali trasformative sorgono attorno a un progetto di democrazia ecologica integrale in un determinato territorio: una città, una provincia o una bioregione dove si integrano le caratteristiche dell’ambiente naturale e degli insediamenti umani. Ciò accade quando molti soggetti sociali di quel territorio, dalle associazioni all’istituzione amministrativa locale, si impegnano a realizzare il progetto mediante il metodo di una partecipazione forte di conoscenze avanzate ed eticamente orientata al bene comune.

Si attiva così una soggettività plurale, stabile e coesa, capace di contrastare la disgregazione nei luoghi e nel vissuto quotidiano delle persone, conferendo qualità democratica e progettuale alla loro convivenza. I movimenti democratici popolari, a loro volta, svolgono un’azione per certi versi analoga sul piano delle regioni, di una nazione o anche sul piano transnazionale. Nascono da un progetto di democratizzazione della politica e della società. Si caratterizzano per il fatto di assumere obiettivi, adottare un metodo d’azione e promuovere una tipologia di persone estranei alla logica del potere. Potenzialmente rappresentano la radicale ridefinizione del partito tradizionale, configurando piuttosto un soggetto che sa essere sia sociale e culturale che istituzionale. Affinché i movimenti popolari si sviluppino è necessario che siano ispirati da un pensiero ecologico integrale, democratico e anticapitalista, che siano realmente interpreti della vita dei popoli e della cultura del bene comune, che non siano puramente rivendicativi.

E naturalmente che non siano in alcun modo razzisti, sovranisti e neanche populisti o qualunquisti. In questo senso quello che ad esempio è stato il Movimento 5 stelle in Italia ha poco a che fare con un autentico movimento democratico popolare. Semmai Podemos in Spagna o Syriza in Grecia si sono avvicinati a tale profilo. Un piccolo esperimento di questo genere in Italia oggi è il movimento Dipende da Noi nelle Marche. Movimenti politici che siano veramente etico-trasformativi possono puntare a partecipare al circuito istituzionale imprimendo una svolta reale alla politica parassitaria vigente, a sua volta succube delle pretese del tecnocapitalismo. Certo, serviranno anche altri soggetti come le unioni continentali e un nuovo organismo per le Nazioni Unite. Ma intanto le nostre energie devono andare alla costruzione di comunità e movimenti trasformativi per dare impulso ovunque al grande cammino che potrà condurci non lontano dalla pace e dalla giustizia.

Roberto Mancini insegna Filosofia teoretica all’Università di Macerata; il suo libro più recente è “Gandhi. Al di là del principio di potere” (Feltrinelli, 2021)

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