Diritti / Approfondimento
La digitalizzazione della pubblica amministrazione esclude i cittadini stranieri
Rispetto agli italiani hanno più difficoltà a ottenere lo Spid, unico strumento con cui accedere ai portali della PA e ai servizi di welfare. La digitalizzazione rischia di marginalizzare ulteriormente le fasce di popolazione più fragili, avverte l’Hermes center, organizzazione impegnata nella tutela dei diritti digitali
Da più di dieci anni in Italia la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione viene promossa dalla politica come un processo fondamentale per incrementare l’efficienza di sistemi e procedure, basato sull’idea che l’interazione tra i cittadini e gli organi dello Stato debba avvenire quanto più possibile attraverso l’uso di strumenti digitali (dai siti internet alle app, dallo Spid alla carta d’identità elettronica). In questo scenario, le tecnologie diventano dunque la premessa per l’accesso al welfare. Un processo di transizione cui non mancano aspetti critici e “in cui esistono inclusi ed esclusi. I primi sono i cittadini italiani, i secondi sono le persone straniere che sono venute nel nostro Paese per ragioni di tipo economico, sociale o politico. Una dicotomia che nasce dalla falsa possibilità di accedere a portali e siti web, sia per richiedere prestazioni sociali sia per ottenere informazioni su questi ultimi. Una situazione paradossale perché probabilmente sono proprio le persone straniere, che non hanno un contatto con il tessuto sociale italiano, ad aver bisogno di accedere in modo sostanziale ai servizi di welfare”, scrive Hermes center, organizzazione non profit impegnata nella tutela dei diritti digitali, nel report “Digitalizzazione escludente. Le barriere digitali per le persone straniere nell’accesso al welfare” pubblicato a fine gennaio.
Punto di partenza dell’analisi è il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022, promosso dall’Agenzia Italia digitale nel 2020, che sta mettendo in atto il processo di digitalizzazione dei servizi pubblici nel nostro Paese. A fronte di questa evoluzione, Hermes center pone uno sguardo critico evidenziando che più l’uso di internet e di tecnologie digitali diventa fondamentale nella vita quotidiana, più potrebbero aumentare le problematiche per coloro che non hanno accesso agli strumenti per accedervi o non hanno le abilità per usarli in modo appropriato.
“Anche se presentato come tale, questo processo non è puramente tecnico -si legge nel report-. La digitalizzazione presenta tante opportunità sociali quanti rischi e non opera mai nel vuoto: si va infatti a inserire in sistemi amministrativi già esistenti, ereditandone le caratteristiche”. In altre parole: se le tecnologie digitali diventano la premessa per l’accesso alla vita pubblica e ai servizi di welfare, le fasce di popolazione già svantaggiate che, ad esempio, hanno minori possibilità di possedere device adeguati o hanno una minore alfabetizzazione digitale, rischiano di subire una marginalizzazione ulteriore.
A questo si aggiunge il fatto che (come previsto dal decreto legge 76/2020) l’accesso ai servizi della Pa deve avvenire esclusivamente attraverso il Sistema pubblico di identità digitale (Spid), la carta d’identità elettronica (Cie) o la Tessera sanitaria-carta nazionale dei servizi. Per attivare lo Spid servono il documento di riconoscimento italiano, il codice fiscale, un indirizzo email e un cellulare a uso personale. Per una persona straniera ottenere questi documenti può essere molto più complesso (e spesso richiede la presentazione di documentazione aggiuntiva) rispetto a un cittadino italiano: secondo i dati forniti dal report dell’Hermes center, quasi due persone straniere su tre non hanno la tessera sanitaria e più di mezzo milione di cittadini extracomunitari non possiedono una carta d’identità elettronica.
Le difficoltà a ottenere questi documenti sono diverse. “In primo luogo, bisogna sottolineare che è presente una forte arbitrarietà nelle prassi amministrative, con un’applicazione restrittiva e ostativa delle normative da parte degli uffici della pubblica amministrazione”, si legge nel report. In altre parole: talvolta gli uffici pubblici non danno risposta alle richieste dei cittadini stranieri, anche in violazione della normativa vigente, su cui non sono aggiornati. Una situazione che si verifica specialmente quando questi si recano in autonomia, senza accompagnamento legale da parte di associazioni, negli uffici comunali, anagrafici e amministrativi. Prassi e comportamenti che l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ha denunciato spesso. Gli esempi non mancano: basti pensare alle molte difficoltà che incontrano i cittadini stranieri nell’ottenere la residenza, senza la quale non è possibile presentare la richiesta per ottenere la carta d’identità digitale. “È spesso necessario un accompagnamento o supporto legale perché le iscrizioni anagrafiche vengano effettuate, perché il permesso di soggiorno in via di rinnovo venga riconosciuto e perché documenti come la tessera sanitaria vengano rilasciati”, prosegue l’analisi. Senza un’identità digitale non è possibile accedere, ad esempio, al sito dell’Inps per richiedere il Bonus asilo nido, l’assegno di invalidità civile, l’indennità di accompagnamento o il reddito di cittadinanza, escludendo così intere fasce di popolazione dall’accesso ai servizi di welfare.
Ottenere una Cie o lo Spid non è però sufficiente. “Per richiedere e utilizzare forma di identità digitale e per accedere alle procedure digitali di richiesta delle prestazioni sociali sono necessari sia un livello avanzato di alfabetizzazione digitale e una connessione internet stabile”, si legge nel report dell’Hermes center. Non esistono ricerche specifiche sulla popolazione straniera, ma secondo l’Ocse solo il 37% della popolazione italiana di età compresa tra i 15 e i 65 anni è in grado di utilizzare internet in maniera “diversificata e complessa”. Per migliorare questa situazione, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha destinato 250 milioni di euro a iniziative di formazione digitale con l’obiettivo di raggiungere un tasso di alfabetizzazione digitale del 70% entro il 2026.
“Mentre l’uso dello smartphone è diffuso nella popolazione migrante, gli utilizzi sono principalmente orientati alla comunicazione e alla socialità: le associazioni intervistate riportano come le persone migranti siano in grado di utilizzare app come WhatsApp e piattaforma sociali come Facebook e Instagram. Le capacità di utilizzo della posta elettronica sembrano essere inferiori, tanto che le app di messaggistica sembrano essere il mezzo preferito anche per inoltrare documenti ufficiali -si legge nel report-. Le competenze legate all’uso dello smartphone non assicurano una corrispettiva capacità nell’uso dei personal computer, nella navigazione dei siti e nell’utilizzo stesso della tastiera”. Secondo l’esperienza delle associazioni intervistate su questi temi dai ricercatori dell’Hermes center (tra cui ActionAid, A buon diritto e fio.Pds) sono pochi gli stranieri in grado di utilizzare autonomamente app e portali delle pubbliche amministrazioni per effettuare procedure online e richiedere appuntamenti.
All’interno di questo scenario, la popolazione straniera presenta probabilmente una situazione di ulteriore svantaggio, anche per quanto riguarda l’accesso ai device: durante la Didattica a distanza nel corso dell’anno scolastico 2020/2021 tre studenti stranieri su tre non hanno potuto usare un pc, mentre tra gli italiani il dato è inferiore a due ogni dieci. Infine, una minore padronanza della lingua italiana (in particolare per quanto riguarda quella scritta, resa ancora più complessa dal fatto di doversi approcciare a enti che spesso fanno ricorso a termini burocratici) rappresenta un ulteriore ostacolo nell’accesso ai portali istituzionali da parte dei cittadini stranieri.
“Invece di creare un sistema in cui il soggetto è autonomo e indipendente -conclude il report- si crea il paradosso di un sistema a doppia velocità in cui la fascia di popolazione non digitalizzata viene lasciata indietro. Stando alle attuali modalità di implementazione, la digitalizzazione si profila come un’opportunità non solo iniqua per la popolazione straniera, ma che rischia di acuire le disuguaglianze già esistenti”.
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