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La Difesa non conosce austerità

Tra tagli annunciati ma non operati, la spesa militare italiana sfiorerà i 23,5 miliardi di euro nel 2015. In aumento, nonostante i tagli alla spesa sociale, rispetto al 2012. L’analisi dei conti e le proposte della campagna Sbilanciamoci -che il 27 novembre presenta il suo Rapporto 2015- e Rete disarmo

Nessun “grande taglio”, ma solo una leggera flessione. Che comunque mantiene il totale della spesa militare al di sopra di quanto stanziato nel 2012. E neppure i sacrifici prospettati anche dal Ministro Roberta Pinotti in recenti interviste: quello che esce dalla porta rientra dalla finestra. È quanto emerge dall’analisi dettagliata della Legge di Bilancio presentata dal governo di Matteo Renzi al Parlamento, ed in corso di discussione con la gemella Legge di Stabilità. Non è quindi vero che la Difesa abbia rinunciato a 1,5 miliardi di euro su un totale fondi di 19.
 
Per arrivare a queste conclusioni e a questi dati occorre andare oltre il semplice Bilancio proprio della Difesa, per come emerge dalla Tabella 11 della Legge, ampliando lo sguardo verso le spese militari complessive, anche per  continuità con quanto analizzato in passato. 
 
La debolezza economica del nostro Paese si riverbera infatti in una problematicità dei conti pubblici che ha costretto il governo Renzi a operare circa 1 miliardo di tagli sui Ministeri. Circa la metà del miliardo di tagli appena ricordato è attribuito proprio al Ministero della Difesa, decisione che ha subito causato le lamentele dei supporter militari di casa nostra. Eppure l’impatto finale di questo intervento, se si considerano tutti i numeri e non si cade nel “gioco delle tre carte” porta ad una flessione ben al di sotto dell’1% complessivo. Come si concilia questo dato con le allarmate (oltre che forzate e fuorvianti) prese di posizione cui stiamo assistendo in questi giorni?
 
Per capire la situazione occorre mettere in fila i numeri veri, quantomeno quelli che il Parlamento sta discutendo e che in linea teorica potrebbe ancora cambiare. La Legge di Stabilità è infatti un elenco di interventi e decisioni che fanno variare, con operazioni di somma o sottrazione, le spese sui vari capitoli del bilancio dello Stato a partire da quanto già finanziato e previsto dalla legislazione vigente. Nel lungo e complesso testo presentato per il 2015 alla Difesa sono dedicati vari interventi per lo più compresi negli articoli 21 e 31.
Si tratta di provvedimenti correttivi minori comportanti un risparmio complessivo di poche decine di milioni, con l’eliminazione molto “comunicativa” di piccoli sprechi ma una continua mancanza di coraggio rispetto all’eliminazione di uno dei privilegi e sprechi maggiori: il trattamento di “ausiliaria”. Solo per chi vi transiterà a partire dal 2015 ci sarà infatti un abbassamento dal 70% al 50% dell’indennità riconosciuta a chi comunque già percepisce una pensione. Con un risparmio quantificabile in meno di 10 milioni su un totale di oltre 440 milioni dedicato ad un istituto di natura in un certo senso previdenziale previsto solamente per il personale militare (di alto grado).
 
Più interessante invece il meccanismo che andrà a obbligare la Difesa a mettere a reddito, vendendo o affittando, i propri immobili per circa 220 milioni di euro: se il Dicastero di via XX Settembre non dovesse riuscire a far arrivare tale somma nelle casse del Ministero dell’Economia è infatti già previsto il blocco di una cifra corrispondente nel bilancio previsionale proprio. Un meccanismo di reale forzatura per la messa a reddito dell’immenso patrimonio a disposizione di questa amministrazione. La decurtazione più grossa, quella a cui si faceva riferimento in apertura, proviene invece dall’articolo 24 che prevede, in maniera secca, un taglio di 502 milioni che per il 99% va ad incidere sull’investimento, secondo i dettagli forniti dalla stessa Legge di Stabilità.
 
L’effetto combinato di tutte queste decisioni si abbatte sul budget previsionale per la Difesa del 2015, che viene esposto nella Tabella 11 della Legge di Bilancio. Cosa ne esce? Una somma totale che scende sotto i 20 miliardi attestandosi a 19.776,8 milioni complessivi ed una flessione di 535,5 mln (-2,64%). Un bilancio totale che in relazione al PIL corrisponde ad una quota pari all’1,20% mentre assomma al 3,3% delle spese complessive dello Stato italiano. Come sempre, nella più recente classificazione in vigore da qualche anno, è la Missione “difesa e sicurezza del territorio” a prendersi la fetta maggiore con 19,2 miliardi di euro a disposizione, lasciando le briciole a ricerca e innovazione e ai servizi istituzionali e generali. La suddivisione interna prevede 5,6 miliardi per i Carabinieri, 4,6 miliardi per le forze terrestri, poco meno di 2 miliardi per le forze navali, circa 2,4 miliardi per le forze aeree ed inoltre 4 miliardi per la pianificazione generale delle Forze Armate. Se ci si fermasse a questi numeri forse alcune delle lamentele del mondo militare, e di tutte le aree connesse sia politiche che industriali, sarebbero giustificabili. Ma non ci si può limitare a considerare la spesa militare italiana (come fanno in molti, forse per abbassare il rapporto sul PIL a meno dell’1%?) composta dalla sola “Funzione Difesa” che esclude i fondi per i Carabinieri e che per il 2015 si prende la maggioranza della decurtazione.
 
La ripartizione più interessante è invece ancora quella basata, a partire dai fondi realmente operativi, sulle destinazioni funzionali. Si vede così che al personale viene dedicato un iperbolico crescente 76,5% delle risorse proprie del Ministero (circa 72% se ci fermiamo alla sola “Funzione Difesa”), contro un mero 7% per l’esercizio (cioè l’addestramento e l’operatività) e circa il 13,5% per l’investimento (cioè l’acquisizione di materiali e sistemi d’arma). La percentuale restante è ascritta al già citato trattamento di ausiliaria.
Si desume quindi che il problema ormai endemico, e forse inarrestabile, dello squilibrio verso gli stipendi non si inizia nemmeno a risolvere nonostante le decisioni recenti di ristrutturazione dello Strumento militare. E i motivi di questa paralisi, che non tocca niente delle vere problematiche anche di natura operativa-militare, hanno forse un’origine precisa: dalle tabelle si desume infatti come il costo per gli ufficiali sia praticamente uguale a quello della truppa (e quello per il livello dei marescialli quattro volte superiore ai sergenti!).
 
Detto questo, fermandosi a questi fondi sembrerebbe davvero che il Governo Renzi sia andato ad operare un taglio consistente sulla Difesa? Ma come potrebbero operare le nostre Forze Armate se i soldi dedicati alle attività ed agli investimenti fossero davvero così scarsi? Il punto è che la realtà è ben diversa. Quello che la Legge di Stabilità toglie da una parte, infatti, può regalare dall’altra. Come dice la stessa relazione introduttiva al Bilancio della Difesa “negli ultimi anni l’output operativo è stato garantito (…) grazie all’afflusso dei finanziamenti aggiuntivi pervenuti dai decreti di proroga delle missioni internazionali”, sottolineando parimenti una problematicità derivante dall’incertezza di tali fondi e dallo sfasamento temporale nel loro arrivo. Ed è forse per questo motivo che arriva in soccorso il comma 12 dell’articolo 17 in Stabilità, che incrementa il “Fondo per le missioni internazionali di pace” di 850 milioni (su 2015 e 2016) in aggiunta ai 49,9 milioni di cui il capitolo risulta già dotato. E stavolta, diversamente dallo scorso anno, i soldi arrivano subito e senza bisogno di un ulteriore passaggio e voto in Parlamento. Operatività assicurata. Mentre invece il meccanismo che attutisce il sensibile taglio sull’investimento passa invece, ancora una volta, dal Ministero per lo Sviluppo Economico: da anni e per effetto di varie leggi (di norma proprio quelle di Stabilità) un numero crescente di fondi è iscritto nel bilancio di quel dicastero ma a vantaggio di scelte (industriali e di acquisizione) favorevoli alla Difesa. Anche per il 2015 nel macro-gruppo di fondi “Partecipazione al Patto Atlantico e ai programmi europei aeronautici, navali, aerospaziali e di elettronica professionale” inserito nella Missione “Competitività e sviluppo delle imprese” trovano spazio 2.819 milioni di euro, con un incremento di oltre 200 milioni rispetto allo scorso anno. In questo grosso capitolo troviamo come al solito finanziamenti per Eurofighter e investimenti aeronautici (1,4 miliardi), per le fregate FREMM (778 milioni più 60 per spese di mutui!), per il programma di blindati VBM e da quest’anno l’irrobustimento (140 milioni) del programma pluriennale per le nuove navi della Marina da oltre 6 miliardi complessivi attualmente in corso di approvazione nelle Camere. 
Il totale di fondi dedicati all’investimento (cioè nella pratica a nuovi sistemi d’arma) è quindi di 5.528,2 milioni, in calo di 335 milioni rispetto al 2014. Purtroppo diversamente dai fondi MISE appena citate (che derivano da precise leggi di finanziamento pluriennale) non si hanno ancora, ed è grave, tutti i dettagli rispetto alle spese per i singoli programmi d’armamento. Per alcuni vengono forniti gli stati di avanzamento a fine 2013 (ma come possono i Parlamentari decidere su queste basi?) mentre per altri anche tale dato inadeguato è mancante: addirittura per il programma F-35 mancano del tutte le tabelle! Di questa grava mancanza di trasparenza, soprattutto se consideriamo che i Parlamentari devono votare e decidere in base ai documenti presentati, abbiamo chiesto direttamente conto a varie strutture del Ministero della Difesa. Non ricevendo al momento alcuna risposta.
 
Tutto sommato e previa conferma parlamentare la spesa militare italiana ammonterà nel 2015 a 23.496 milioni di euro, con riduzione lieve di 131 milioni (o lo 0,6%, se preferite) rispetto allo scorso anno. Il decremento rispetto al 2013 è del 2,65%. Ma tra il 2012 e il 2015 il segno è positivo per il 2,34%. Stiamo parlando dunque di una spesa militare che equivale all’1,42% del PIL e al 3,9% della spesa finale dello Stato.
Non si preoccupino perciò tutti coloro che vogliono sempre più soldi per eserciti ed armi: anche perché oltre ai fondi di partenza alla fine qualcosa in più si trova sempre. Nelle previsioni assestate per il 2014 sono stati infatti ben 600 i milioni ulteriori rispetto alla bozza andata al voto parlamentare: ciò significa che nel 2014 si è in concreto sfondato il muro dei 24 miliardi per la spesa militare. C’è sempre la “speranza” (sicurezza?) che ciò avvenga anche per il 2015, annullando del tutto i tagli tanto sbandierati in questi giorni.
 

 
 
RIDUZIONE DELLA SPESA MILITARE (voci di risparmio)
 
Ancora una volta l’obiettivo intermedio complessivo, che si potrebbe realizzare fin da subito, della Campagna Sbilanciamoci è quello attestare la spesa militare totale a circa 20 miliardi (-3,6 miliardi rispetto al livello registrato nel 2014 e -3,5 rispetto alle previsioni attuali sul 2015). Il tutto con interventi immediatamente realizzabili, anche se richiamiamo di nuovo la necessità ormai ineludibile di procedere anche ad una revisione completa della spesa per la Difesa impostando un Modello che privilegi sempre meno la natura militare della stessa.
 
Personale
a) portare entro il 2017 (e non il 2026) il livello degli effettivi delle Forze armate a 150.000 (e riconvertendo tale forza lavoro su altri ambiti deboli come la gestione del territorio) significherebbe avere già a fine 2014 un risparmio a regime di oltre 1,5 miliardi (effetto sull’anno in corso di circa 400 milioni)
b) eliminare l’istituto dell’ausiliaria (revisione legge promozionale Angelini) per sradicare un vero e proprio privilegio ormai  incompatibile con la normativa vigente in tema di previdenza. Rammentiamo che ad usufruire dell’ausiliaria sono in larga misura le gerarchie maggiori e che una cancellazione della stessa non andrebbe ad incidere su pensioni relative ai servizi svolti prima del periodo di ausiliaria; risparmio di 440 milioni già sul 2014
c) riteniamo importante riproporre fin da subito un’interazione europea delle Forze Armate, che non sia solamente a scorporo degli eserciti nazionali ed in ottica che ne imposti immediatamente il modello su quello di forze di interposizione e peacekeeping, con primo piano alla prevenzione e gestione contenitiva dei conflitti
 
Programmi d’armamento
a) cancellare la parte di fondi iscritti al bilancio del ministero per lo Sviluppo Economico attualmente a disposizione del Ministero della Difesa, che ha inopinata facoltà di indirizzarli (peraltro con oneri finanziari a carico dello Stato) verso industrie a produzione militare per specifici programmi d’armamento. Tale fondo è in forma variabile per singolo anno, e per il 2013 si potrebbe praticamente ridurre drasticamente portando ad un risparmio immediato di circa 2,2 miliardi di euro.
b) cancellazione della partecipazione italiana al programma del cacciabombardiere F-35 Joint Strike Fighter sia per quanto riguarda gli oneri diretti di acquisto, sia per quanto riguarda i lavori di sistemazione/gestione delle infrastrutture militari che li dovrebbero ospitare. Risparmio ipotizzato (non avendo dati di dettaglio su tale programma) di circa 500 milioni
c) cancellazione dell’acquisto della seconda serie di sommergibili U-212 di produzione tedesca e del programma di sistema missilistico superficie-aria terrestre e navale FSAF. Risparmio previsto di circa 210 milioni
 
Missioni militari all’estero
a) ritiro da tutte quelle missioni a chiara valenza aggressiva e di guerra e che non si iscrivono in una condizione – coordinata dalla comunità internazionale e dall’ONU – di reale appoggio "di polizia" a situazioni in via di soluzione politica. In tale senso va realmente concretizzato il ritiro dal teatro dell’Afghanistan; risparmio previsto 600 milioni.
 
 
ATTIVITÀ DI PACE (voci di spesa)
 
Corpi civili di pace
Incremento ad almeno 20 milioni di euro (quindi +17 milioni in Stabilità) dei fondi a disposizione della sperimentazione di un primo contingente di corpi civili di pace, già previsto dall’Emendamento Marcon alla Legge di Stabilità 2014. Questi Contingenti dovranno essere impegnati in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto. Si tratta di dare forza a forme di interposizione e di peacekeeping civile che abbiano una cornice e un riconoscimento istituzionale.
 
Riconversione dell’industria a produzione militare
Chiediamo una legge nazionale per la riconversione dell’industria militare e la costituzione di un fondo annuale di 200 milioni di euro per sostenere le imprese impegnate nella riconversione da produzioni di armamenti a produzioni civili. Il fondo dovrebbe intervenire principalmente in quelle realtà produttive che non possono realizzare un fatturato "civile" con il solo cambio della domanda indotta da spesa pubblica.
 
Valorizzazione territoriale liberata da servitù militare
Selezione di 10 servitù militari da riconvertire per progetti di sviluppo locale in territori in cui la crisi ha dispiegato i suoi effetti in maniera profonda e che non siano più strategici per la difesa del Paese. Il tutto in collaborazione fra Governo centrale e le comunità locali secondo un metodo partecipativo e il finanziamento di tali progetti con 25 milioni di euro in totale. L’obiettivo dei progetti consiste nel creare reddito, occupazione e sviluppo in settori strategici. 
 
Istituto per la pace ed il disarmo
Al pari di altri paesi (come Svezia e Norvegia) che dispongono di prestigiosi istituti di ricerca sui temi della pace e del controllo delle dinamiche di produzione/commercio di armamenti, si propone il finanziamento con 5 milioni di euro di un istituto indipendente di studi e di formazione che possa realizzare ricerche e programmi utili a concretizzare politiche a sostegno della pace e del disarmo.

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