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Diritti / Opinioni

“La democrazia ha bisogno d’aria e di più umanità”

Il presidente Lula © Flicrk

Ripubblichiamo la prefazione che il neo-rieletto presidente del Brasile Lula scrisse per il nostro libro “Senza respiro”, un’inchiesta indipendente a cura di Vittorio Agnoletto sulla pandemia da Coronavirus, in Lombardia, Italia, Europa. Per ripensare un modello di sanità pubblica. Risale al settembre 2020 ed è ancora attualissima

Rimanere “senza respiro” non è più solo uno dei sintomi del virus che devasta il Pianeta, ma è diventato anche una metafora del nostro tempo. La ricerca di soluzioni è globale. Sono ottimista e credo che possiamo recuperare la capacità di respirare, in tutti i sensi, se agiremo in modo coordinato e cooperativo. Non ci mancano i mezzi. Ma certamente ci mancano la leadership e l’indirizzo politico che ha riscattato l’umanità da altre tragedie della storia.

Nulla sarà come prima. Così come non lo è stato dopo le grandi tormente del XX secolo, quali le due Guerre mondiali. Oggi come ieri, il cammino della “nuova normalità” è lastricato da centinaia di migliaia di morti che potevano essere evitate, da un aggravamento delle diseguaglianze sociali, dei fallimenti, della disoccupazione e dall’aumento della fame e della miseria.
Una catastrofe umanitaria come il Covid-19, in buona parte prevedibile, avrebbe dovuto attivare automaticamente meccanismi di coordinamento e cooperazione globali in difesa della vita di tutti i popoli, senza distinzione.
La solidarietà verso coloro che hanno perso i propri cari avrebbe dovuto materializzarsi in iniziative dirette e finanziarie, tradotte in un fondo per le famiglie più vulnerabili, sull’esempio di ciò che si è fatto e si fa con le istituzioni finanziarie nelle crisi del mercato. Non è quello che si è visto in questi otto mesi di pandemia.

Questo libro-ricerca del medico e compagno Vittorio Agnoletto ci aiuta a smascherare e a capire la realtà complessa e diversificata che ci sfida localmente e ci interpella globalmente. È un contributo importante per capire come hanno funzionato e funzionano nella pratica, non solo in Italia, ma in diversi Paesi, in presenza della pandemia, i sistemi sanitari pubblici, quasi tutti indeboliti da decenni di politiche neoliberiste.
È un incentivo per evitare il “si salvi chi può”, dedicandoci ad una riflessione sui modi di vivere, di produrre e ripartire nelle società post-pandemiche. Sottolineo questa buona opportunità e sono certo che anche Agnoletto, un “altromondista”, componente del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale, la scorge. Nella storia umana non c’è problema senza soluzione. Il tempo della risposta a volte tarda e ci fa spazientire. Ma arriva.

Molti di voi sanno che ho passato 580 giorni prigioniero, condannato senza alcuna prova, solo per impedire la mia candidatura alla Presidenza della Repubblica nelle elezioni brasiliane del 2018, quando i sondaggi di allora indicavano la mia vittoria.
Ogni giorno risulta più evidente l’impatto e le conseguenze di questa rottura democratica per l’insieme della società e il costo, per il popolo, di questa interdizione della normalità democratica prodotta dalle élites.
La garrota del lawfare che ha cercato di impedirci di respirare ha asfissiato anche il respiro della democrazia in Brasile, consentendo che lo Stato venisse invaso da interessi antisociali e antinazionali che – sostenuti da un governo che distrugge i diritti, le speranze, la libertà e l’Amazzonia – convergono nel funesto saldo che ha fatto del Brasile il secondo Paese con il maggior numero di vittime della pandemia.

Le farse giuridiche montate contro il Partito dei Lavoratori-PT, contro la allora presidente Dilma Rousseff e contro la mia persona hanno dei conti da regolare con la storia in questa dimensione tragica della vita brasiliana, che riguarda non solo la mia storia, il mio onore, ma si collega alla traiettoria delle lotte politiche degli ultimi decenni e alle grandi scelte strategiche che il paese dovrà fare in questo incrocio dello sviluppo e della democrazia nel post-pandemia.
A causa del Covid-19 sono uscito da una “prigione” per entrare in un’altra. Non mi è neppure possibile vedere da vicino e abbracciare la mia nipotina appena nata.

Da marzo, quando sono rientrato da una breve visita in Europa, Italia inclusa, sono isolato in casa, conversando solo virtualmente con famigliari e amici, partecipando a dirette online e riunioni politiche via internet.
Percepisco, tuttavia, che energie importanti si stanno accumulando in questo momento.
In una di queste riunioni virtuali, ho conversato a lungo sulla situazione della pandemia con i compagni e le compagne del Gruppo di Puebla con il presidente dell’Argentina Alberto Fernández, la ex presidente Dilma, vittima del golpe del 2016 in Brasile, con gli ex presidenti Pepe Mujica dell’Uruguay e Evo Morales della Bolivia, anch’egli deposto da un colpo di Stato a novembre 2019. Le domande che ci siamo posti tracciano una agenda che a breve apparterrà al mondo attraverso l’azione.
Esse contraddicono, con consapevolezza e pertinenza sempre maggiori, le politiche locali e la governance globale incapaci di offrire risposte alla disperata incertezza che impedisce all’umanità di respirare e progredire.
Perché l’ONU-Organizzazione delle Nazioni Unite non ha convocato un’Assemblea Generale Straordinaria, sebbene virtuale, per coordinare gli sforzi mondiali per fare fronte alla pandemia?
Perché il Fondo Monetario Internazionale non ha cominciato a fare prestiti agevolati ai Paesi che ne hanno maggiore necessità?
Perché gli Stati Uniti, il Paese più ricco del mondo, è diventato il campione mondiale di morti per il Covid-19? Perché il Brasile ha già superato le 100.000 morti, con il rischio di raddoppiare questo numero entro la fine dell’anno, senza che il governo brasiliano provi alcuna commozione per questo?
Manca umanità in un mondo retto dai mercati finanziari e dagli algoritmi.
La sovrapposizione di crisi che si alimentano a vicenda – del capitalismo neoliberista, dello squilibrio ambientale e del mancato controllo sanitario – annuncia l’esaurimento di un’epoca. Il futuro post pandemia non è garantito per nessuno. È oggetto di conflitto.
Coloro che si affrettano ad annunciare il ritorno alla “vecchia normalità” si riferiscono con tale espressione alla piena restaurazione delle iniquità di un passato e di un presente caduco, che la pandemia ha squadernato e ingigantito.

Non ci sono precedenti di un ritorno alla “normalità” dopo una rottura dell’intensità e dell’ampiezza di una pandemia o di una guerra.
Coloro che, come noi, cercano da tempo di costruire un mondo di opportunità uguali per tutti, in cui la vita, i diritti umani e l’ambiente siano valori reali e impossibili da spezzare, hanno di fronte una grande missione.
In ogni angolo del mondo, nonostante l’isolamento, vi è un grido che, credo, sarà sempre più impossibile tacitare, una risposta della società alle suppliche soffocate come quelle di George Floyd, vittima della violenza poliziesca negli Stati Uniti: “Vogliamo respirare, vogliamo respirare, vogliamo respirare…”.

Torneremo a farlo pienamente se sapremo aprire i nostri cuori, le nostre menti e le nostre orecchie, se sapremo riempire i polmoni di solidarietà e aprire la democrazia a nuove forme di partecipazione e azione politica che il secolo XXI esige da noi e rende possibile.

San Paolo (Brasile), settembre 2020
Luiz Inácio Lula da Silva
(Allora ex) Presidente della República Federativa do Brasil

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