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Ambiente / Attualità

“Lotto ogni giorno per difendere la foresta amazzonica”

© Carlos Dias

L’attivista indigeno Adriano Karipuna si batte da anni contro fazendeiros, minatori e taglialegna che predano illegalmente le terre indigene. “Con Bolsonaro la loro presenza è aumentata e spesso sono armati: lo Stato non ci protegge”. E per le prossime elezioni spera in una vittoria di Lula

“Il cocar, il nostro copricapo tradizionale, è un simbolo di lotta e di resistenza: io mi considero un guerriero e quando lo indosso mi sento ancora più forte e determinato”. Adriano Karipuna, 36 anni, è uno dei leader dei Karipuna, un popolo indigeno che vive nello Stato di Rondonia, nel Sud-Ovest del Brasile, e che “lotta ogni giorno per difendere la propria terra, la foresta e gli animali che la abitano. Tutto si conquista attraverso la lotta e l’impegno”, come racconta ad Altreconomia.

I Karipuna hanno alle spalle una lunga storia di sofferenza e resistenza. Erano circa 10mila ai primi del Novecento, quando ebbe inizio lo sfruttamento degli alberi di caucciù nella foresta amazzonica e vennero decimati dalle violenze dei colonizzatori e dalle malattie. Nel 1978, quando il Servizio di protezione indigena (che successivamente ha preso il nome di Fundação Nacional do Índio, nota con l’acronimo Funai) prese contatto con i Karipuna questi si erano ridotti ad appena mille persone: “Mia madre, che è una dei pochissimi sopravvissuti, mi ha raccontato di come la tubercolosi e altre infezioni abbiano devastato il nostro popolo: al punto che negli anni Novanta erano rimasti solo in cinque -ricorda Adriano-. Nello stesso periodo c’è stato il riconoscimento ufficiale da parte del governo delle nostre terre: purtroppo abbiamo dovuto rinunciare a una grossa parte e ora è di soli 153mila ettari”.

La lotta per la sopravvivenza dei Karipuna continua ancora oggi. Al pari di molti altri popoli indigeni brasiliani sono costretti a confrontarsi con diverse minacce: piccoli e grandi fazendeiros che distruggono la foresta per fare spazio alle monocolture, garimpeiros (i piccoli cercatori d’oro illegali) e taglialegna non autorizzati che si appropriano dei terreni all’interno delle aree indigene protette. “Per prima cosa vengono abbattuti gli alberi pregiati per vendere il legname, poi viene tagliato tutto il resto per fare spazio agli allevamenti o ai campi: tutto succede molto velocemente, basta un mese per trasformare una foresta piena di vita in un pascolo -racconta Adriano-. Io sono venuto qui in Italia per chiedere aiuto, perché il governo non ha interesse a proteggere né l’Amazzonia, né i popoli che la abitano. E con il Jair Bolsonaro la situazione è drammaticamente peggiorata”.

Le parole di Adriano trovano conferma nei dati ufficiali dell’Agenzia nazionale brasiliana per la ricerca spaziale (Inpe): solo nel mese di agosto sono stati distrutti 1.661 chilometri quadrati di foresta brasiliana, portando così a 7.135 chilometri quadrati il disboscamento della foresta pluviale rilevato nell’Amazzonia tra gennaio e agosto 2022. Gli ultimi quattro anni -che coincidono con quelli trascorsi dall’elezione di Bolsonaro- sono stati quelli in cui il disboscamento ha raggiunto i livelli più elevati dal 2008 a oggi. In questo scenario drammatico, il Brasile si avvicina alle elezioni presidenziali (in programma il 2 ottobre 2022): “Il popolo brasiliano non è mai stato così diviso -riflette Adriano Karipuna-. Quello che è certo è che gli indigeni voteranno per Lula: se vincerà le cose potranno cambiare”.

Al pari delle altre terre indigene riconosciute dallo Stato, la terra dei Karipuna è protetta sulla carta. Ma la realtà è drammaticamente diversa. “Nel 2007 sono stati finanziati due studi d’impatto ambientale per la costruzione di due impianti idroelettrici nel nostro territorio -racconta Adriano-. Nonostante la nostra lotta e la mobilitazione, assieme ad altri popoli indigeni della regione, sono stati costruiti. Questo non solo ha provocato degli allagamenti che nel 2014 hanno costretto molte persone a restare isolate per mesi, ma soprattutto ha aperto la strada ai fazendeiros e ad altri che hanno avviato le loro attività economiche, che hanno avuto un impatto ancora più devastante sulla foresta”. Adriano Karipuna sottolinea come l’arrivo al potere di Bolsonaro abbia fatto aumentare la presenza di queste attività nella foresta in maniera esponenziale: “Ha reso molto più facile per i fazendeiros ottenere finanziamenti e soprattutto ha deregolamentato il commercio delle armi -racconta Adriano Karipuna-. Il risultato è che adesso chi arriva nei nostri territori reclamando un pezzo di terra lo fa sempre più spesso imbracciando le armi. Ogni giorno siamo sotto attacco, subiamo minacce, rischiamo la nostra vita. Noi continuiamo a lottare ma lo Stato non ci protegge”.

Secondo le stime di Greenpeace Brasile lo Stato di Rondonia, dove come detto vive il popolo Karipuna, è tra quelli che hanno registrato i più elevati livelli di disboscamento. A fronte di questa situazione, a maggio 2021, i Karipuna hanno deciso quindi di intentare una causa contro il governo federale del Brasile e quello locale per aver permesso la registrazione illegale di appezzamenti di terreno privati all’interno delle aree indigene protette. Un’analisi condotta nel 2021 dall’organizzazione ambientalista ha infatti mostrato la presenza di ben 31 concessioni (le cui dimensioni variano da uno a 200 ettari) che si sovrappongono in parte o completamente alle terre del popolo Karipuna.

La lotta non si esaurisce nelle azioni legali. Dal 21 settembre un gruppo di rappresentanti del popolo Karipuna ha organizzato una serie di incontri con le ambasciate di diversi Paesi europei a Brasilia (tra cui Francia, Spagna, Germania e Svizzera) e con i rappresentanti dell’Unione europea per denunciare il mancato rispetto dei diritti dei popoli indigeni e per chiedere all’Europa di non acquistare quei beni (a partire dalla carne) prodotti dalla deforestazione dell’Amazzonia. Mentre Adriano ha trascorso le ultime settimane viaggiando in diverse città italiane nell’ambito della campagna “AMAzzonia” promossa dall’organizzazione di cooperazione internazionale Cospe per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica. Inoltre, in occasione del festival della Biodiversità di Milano (conclusosi domenica 25 settembre, ndr), è stato presentato il manifesto “Io mangio il giusto” dedicato all’impatto della nostra alimentazione sull’ambiente e, in particolare, sulla deforestazione in Amazzonia: un decalogo di azioni concrete da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni, che vuole essere un modo per sostenere in maniera consapevole e concreta la resistenza dei popoli custodi della foresta amazzonica. “Il 90% delle terre deforestate nelle aree tropicali diventano pascoli e piantagioni di soia, per garantire carne ai consumatori cinesi, europei e nord-americani oltre a super-profitti a tutti gli attori di questa economia predatoria”, commenta Eleonora Migno, vicepresidente del Cospe.

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