Diritti / Attualità
La Croazia condannata per la morte di Madina, bambina afghana respinta al confine
La Corte europea dei diritti umani ha condannato le autorità croate per violazione del diritto alla vita, trattamento inumano e divieto di respingimento collettivo. Una sentenza che ribadisce come il “sistema croato”, finanziato dall’Unione europea per fermare le persone in transito lungo la rotta balcanica, calpesti i diritti
La Corte europea dei diritti dell’uomo il 18 novembre 2021 ha dichiarato colpevole la Croazia per la morte di una bambina afghana di sei anni investita da un treno. Con sua madre e i suoi sei fratelli Madina era arrivata sul territorio croato e aveva richiesto protezione ma la polizia di frontiera aveva ordinato al gruppo di tornare in Serbia attraverso i binari della ferrovia. La sentenza ha ricostruito le responsabilità delle autorità croate nella morte della bambina e dichiarato che l’indagine da parte delle autorità croate è stata “inefficace” perché non ha esaminato le discrepanze tra le versioni degli agenti coinvolti e non ha esaminato adeguatamente le prove. Ma la decisione della Corte va oltre. Analizzando anche il successivo trattamento dei famigliari di Madina viene ricostruita la sistematica violazioni dei diritti delle persone in transito da parte del governo di Zagabria. Respingimenti collettivi, trattamenti inumani e degradanti, limitazione nell’accesso al diritto d’asilo e all’assistenza legale. È questo il “sistema croato” finanziato dall’Unione europea con più di 130 milioni di euro dal 2014 a oggi per “gestire” il fenomeno migratorio.
L’indagine penale croata aveva concluso che il gruppo di persone tra cui c’era Madina, nella notte del 21 novembre 2017, non aveva attraversato il confine, né parlato con gli agenti di polizia croati e né richiesto asilo. Era stata accolta la versione ufficiale della polizia di frontiera secondo cui un gruppo di migranti, che stava utilizzando i binari per non perdere la direzione, era stato individuato a 300 metri dal confine croato-serbo con una telecamera termografica. Il successivo arrivo del treno aveva travolto la bambina che poco dopo era stata portata dalla famiglia agli agenti stessi che avevano richiesto soccorso. Nonostante la scomparsa delle prove video di quella sera e le incongruenze nei racconti delle persone coinvolte, gli uffici della Procura responsabili del caso hanno creduto agli agenti. Anche la Corte costituzionale croata non aveva rilevato nessuna carenza nelle indagini. È servito l’intervento della Cedu per ristabilire giustizia.
“La conclusione a cui arriva la Corte è che la Croazia ha espulso collettivamente la madre e i suoi sei figli dal territorio croato nel cuore della notte al di fuori di qualsiasi procedura legale e senza considerare la loro situazione individuale -ha spiegato Antonia Pindulić, legale del Centro studi per la pace di Zagabria che si è costituta parte civile nel caso in una conferenza stampa svoltasi di fronte alla sede del governo croato venerdì 19 novembre-. Inoltre, non è stata garantita nessuna indagine efficiente e imparziale”.
Il massimo organo della giustizia europea ha riconosciuto che le autorità croate sono responsabili di aver violato il divieto di trattamenti inumani e degradanti, il diritto alla libertà e l’assistenza legale nei confronti dei membri della famiglia Hussiny -formata da marito, due mogli e 14 figli- nella loro procedura di richiesta d’asilo. Circa quattro mesi dopo la morte di Madina, il 23 marzo 2018 la famiglia ha nuovamente fatto ingresso in Croazia. È stata rintracciata e trattenuta illegittimamente nel centro di Tovarnik fino al luglio 2018 quando, grazie a una lunga battaglia legale, i cittadini afghani sono stati trasferiti in un centro più aperto e successivamente fuggiti verso la Slovenia. Durante quel periodo di trattenimento la Corte ha riconosciuto che i fratelli e le sorelle di Madina sono stati vittima di trattamenti inumani. “Il centro assomigliava a una prigione: la presenza di agenti di polizia, le barriere nei corridoi e le sbarre alle finestre. – si legge nella sentenza- Il difensore civico croato aveva sottolineato come i bambini vivevano in una condizione particolarmente vulnerabile perché avevano assistito alla morte della sorella. Hanno trascorso quasi due mesi senza alcuna attività organizzata per passare il tempo percepita da loro come un ‘tempo senza fine’”.
La Corte mette in dubbio la “buona fede” delle autorità croate: “Si hanno seri dubbi sul fatto che abbiano valutato, visto il numero di bambini coinvolti, alternative meno coercitive rispetto alla detenzione. Anche perché hanno dichiarato che il trattenimento era necessario per l’identificazione della famiglia ma le procedure sono iniziate venti giorni dopo l’ingresso nel centro e solo grazie all’intervento della mediatrice”. La scarsa “diligenza” delle autorità amministrative ha portato così alla violazione anche del diritto alla libertà.
“Chiediamo al primo ministro Plenković di licenziare il ministro degli Interni Davor Božinović così come il Segretario di Stato Terezija Gras per la loro responsabilità politica. Entrambi hanno fatto pressioni contro i difensori dei diritti umani e ha bloccato le indagini internazionali indipendenti” ha spiegato Sara Kekuš del Centro studi per la pace di Zagabria. Božinović è nuovamente sotto accusa dopo l’inchiesta pubblicata il 6 ottobre 2021 da Lighthouse report che documenta 11 operazioni di respingimento violento avvenute tra il maggio e il settembre 2021 che hanno visto coinvolte 138 persone e 38 poliziotti croati. La sentenza della Corte dimostra che già nel novembre 2017 questa era la normalità.
Tutto questo riguarda da vicino anche l’Unione europea. Come abbiamo raccontato su Altreconomia a seguito dell’inchiesta sui respingimenti al confine croato, la presa di posizione della commissaria agli Affari interni Ylva Johansson era stata molto “timida”. Dichiarandosi “estremamente preoccupata” aveva dato seguito al silenzio delle autorità europee davanti alle continue violazioni dei diritti che subivano le persone in transito da parte della polizia croata. Da ultimo la sottoscrizione di un accordo che nasce già inefficiente tra il governo di Zagabria e la Commissione europea per l’implementazione di un meccanismo di monitoraggio dei diritti dei rifugiati e dei migranti al confine. Manca l’indipendenza da parte dei “controllori” -che fanno capo al ministero dell’Interno- ma soprattutto si prevede che le visite di monitoraggio al di fuori delle stazioni di polizia e ai valichi di frontiera ufficiali dovranno essere annunciate. Proprio in quei luoghi si realizza il 90% delle violazioni dei diritti umani. Luoghi d’Europa in cui è morta Madina.
© riproduzione riservata