Diritti / Opinioni
La corruzione è ancora lo strumento più usato dalle mafie
Tra il 2017 e il 2021 sono più di 27mila i dipendenti pubblici che hanno “venduto” la loro funzione a politici e imprenditori disonesti. La rubrica a cura di Pierpaolo Romani
Non a tutti mancano i soldi in questo drammatico momento storico. A fronte di milioni di cittadini onesti messi in difficoltà (o ridotti in povertà) dalla pandemia e dalla guerra ve ne sono alcune migliaia che, al contrario, hanno visto aumentare sensibilmente le loro entrate. Non parliamo delle imprese che hanno registrato extra-profitti esorbitanti nel campo energetico e sanitario. Ma dei sistemi mafiosi e corrotti che, nell’assordante silenzio generale della politica e di troppi media, continuano a fare affari preferendo la corruzione all’esercizio della violenza, trasformano i diritti in privilegi, alterano il principio di libera concorrenza in diversi settori economici, restringono gli spazi di libertà, intaccano la credibilità della politica e delle istituzioni.
Mentre si sta discutendo su come impiegare al meglio e non sprecare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e si dibatte se creare o meno altro debito pubblico, vale la pena ricordare quanto hanno evidenziato la Guardia di finanza e la Direzione investigativa antimafia (Dia). I baschi verdi, in un rapporto di cui ha riferito Il Sole 24 Ore lo scorso 10 ottobre, hanno denunciato come dal 2017 al 2021 le frodi ai danni del bilancio dello Stato siano quantificabili in 34 miliardi di euro. La maggior parte delle risorse sottratte ai cittadini onesti è avvenuta nel settore degli appalti e della sanità. Lo strumento più utilizzato è stato quello della corruzione, che ha visto coinvolti più di 27mila dipendenti pubblici che hanno “venduto” la loro funzione a imprenditori e politici disonesti a caccia di autorizzazioni, concessioni e favori. Truffe e frodi ai danni dell’erario si sono registrate anche negli aiuti concessi alle imprese durante il periodo più acuto della pandemia, nei fondi strutturali dedicati in particolar modo all’agricoltura e alla pesca, nonché tra i percettori del reddito di cittadinanza.
Sono 34 i miliardi di euro sottratti allo Stato tramite frodi, dal 2017 al 2021, secondo quando accertato dalla Guardia di finanza
La Direzione investigativa antimafia, nella sua ultima relazione semestrale, ha ribadito nuovamente come le mafie siano e agiscano sempre di più con un’ottica imprenditoriale, mirando a inserirsi in tutti i settori economico-produttivi. Lo attestano, tra i vari dati citati, le 828 interdittive emesse a carico di imprese (più 11% rispetto al 2020) e le 108.554 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette (il 33,5% sul totale) attribuite alla criminalità organizzata per il 2021. I soldi si fanno con la droga e mettendo in atto truffe e frodi. Il bottino criminale così accumulato si ricicla in buona parte nell’economia legale -soprattutto nel Centro-Nord Italia e in nazioni estere, con un occhio particolare ai paradisi fiscali- grazie alla complicità di liberi professionisti, operatori finanziari, imprenditori, politici, addetti ai controlli. A testimonianza di come una parte della società preferisca convivere piuttosto che denunciare e ribellarsi ai mafiosi.
Un particolare significativo merita di essere portato all’attenzione. Gli investigatori della Dia attestano come le mafie anche al tempo del Covid-19 e della guerra hanno saputo adattarsi alle dinamiche del contesto storico e hanno continuato ad adottare un approccio silente. Da ultimo (forti della possibilità di realizzare affari approfittando di tanto denaro in circolazione e della difficoltà a mettere in atto un’azione di controllo estesa da parte delle istituzioni) hanno rafforzato la loro capacità di “fare sistema”, costruendo legami di reciproca convenienza a scapito, lo ribadiamo nuovamente, dei cittadini onesti. Scrive la Dia che le province con più presenza mafiosa negli ultimi cinquant’anni hanno registrato tassi di crescita significativamente più bassi delle altre e, un ipotetico azzeramento delle mafie in questi territori, comporterebbe un tasso di crescita annuo stimato in cinque decimi percentuali.
Pierpaolo Romani è coordinatore nazionale di “Avviso Pubblico, enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie”
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