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Diritti / Opinioni

La bolla “fuori dalla storia” dei mondiali di calcio in Qatar

Un evento con un altissimo costo ambientale e umano, che sarà un’occasione di sportwashing per il regime del piccolo emirato. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci

Tratto da Altreconomia 253 — Novembre 2022
Vista aerea durante i lavori di costruzione di uno degli stadi appositamente costruiti in Qatar per la coppa del mondo di calcio 2022 © Ben Koorengevel, unsplash

Nelle settimane scorse, a fronte della crisi energetica annunciata, qualcuno ha ipotizzato di chiedere al mondo del calcio -religione (non molto) civile del nostro Paese- di fare la sua parte, spostando al primo pomeriggio le partite calendarizzate in orario serale. Durante le partite in notturna gli stadi vengono illuminati a giorno, con un importante dispendio di energia. Uno spreco evitabile. La proposta non è stata accolta, con l’argomento che gli sprechi sono ben altri e che il risparmio energetico non si fa così. L’esito non stupisce, se si pensa a quel che accadrà dal 20 novembre al 18 dicembre 2022 con l’evento calcistico dell’anno: i campionati mondiali, per la prima volta previsti in inverno, a costo di provocare un terremoto nei calendari delle federazioni nazionali e nelle abitudini dei tifosi. 

Si è scelto l’inverno perché il Paese ospitante, il Qatar, è sotto innumerevoli punti di vista tra i meno adatti del Pianeta per il calcio, uno sport che tradizionalmente si gioca sull’erba, all’aperto e davanti a molte migliaia di spettatori. Che cosa abbia indotto a scegliere un Paese desertico, con temperature altissime, privo di qualsivoglia tradizione calcistica nonché di strutture adeguate, più che un mistero è un fatto che dimostra l’assoluta incapacità delle classi dirigenti globali di vivere il proprio tempo con un reale senso di responsabilità. Il costo ambientale del mondiale in Qatar è già oggi altissimo, se si pensa che ben sei degli otto stadi sono stati costruiti ad hoc e dopo la kermesse non serviranno a nessuno. La logica è ancora quella -arcaica ed ecologicamente criminale- delle cattedrali nel deserto, col cemento, l’asfalto e la plastica che distruggono tutto ciò che è vivo. 

Ma è il costo umano a impressionare di più. Il Qatar è retto da un regime monarchico assoluto (la dinastia al-Thani) nel quale le più elementari nozioni di diritto del lavoro (per non dire dei diritti politici) non hanno corso. Nei cantieri degli stadi e delle altre infrastrutture necessarie al campionato del mondo di calcio hanno lavorato due milioni di lavoratori stranieri, nelle condizioni più spaventose. Gli inviati del Guardian hanno visitato il lussuoso hotel destinato a ospitare i calciatori inglesi e hanno trovato “squallore” e “condizioni di lavoro prossime alla schiavitù”. 

Lo stesso quotidiano ha stimato (per difetto) in 6.500 le persone morte a causa del lavoro svolto in condizioni impossibili per il caldo insopportabile e lo sfruttamento estremo negli ultimi dieci anni, cioè dall’annuncio della scelta di disputare nell’emirato l’edizione 2022 del mondiale. 

I lavoratori stranieri di ogni età e occupazione deceduti in Qatar tra il 2010 e il 2019 sono stati 15.021. Per Amnesty International la maggior parte delle morti “rimane senza spiegazione”.

Il regime, che vive questo evento come una grande occasione di pubblicità globale e di sportwashing, ha in verità adeguato la propria legislazione, introducendo forme di tutela dei lavoratori assai pubblicizzate, ma osservatori indipendenti come Amnesty International e Human Rights Watch hanno affermato che le riforme sono rimaste sulla carta. E il Qatar è un Paese dove vige la regola medievale della kalafa, che permette ai datori di lavoro di sequestrare i documenti, cioè la libertà, dei propri dipendenti stranieri.

Non c’è nulla da salvare di questo mondiale, che resterà nella storia come un monumento all’inadeguatezza culturale, morale, politica delle classi dirigenti globali. Il tutto con il consenso passivo dei calciatori, certo non mitigato dalle fasce “One love” indossate al braccio dai capitani di alcune squadre nazionali, e sotto lo sguardo di milioni se non miliardi di telespettatori. Che per trenta giorni saranno risucchiati -come inebetiti- in una bolla fuori dalla storia.

Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”

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