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Ambiente

In vent’anni l’Amazzonia rischia di sparire – Ae 14

Numero 14, febbraio 2001“Il Congresso Brasiliano sta votando un progetto che ridurrà la foresta Amazzonica del 50%. Non possiamo lasciare che ciò accada”. Ecco il testo allarmato che, negli scorsi mesi, è arrivato via e-mail anche in Italia. Ma che…

Tratto da Altreconomia 14 — Gennaio 2001

Numero 14, febbraio 2001

“I
l Congresso Brasiliano sta votando un progetto che ridurrà la foresta Amazzonica del 50%. Non possiamo lasciare che ciò accada”.
Ecco il testo allarmato che, negli scorsi mesi, è arrivato via e-mail anche in Italia. Ma che cosa sta davvero accadendo in Amazzonia? Lo abbiamo chiesto al nostro corrispondente dal Brasile, Paulo Lima.

SAN PAOLO – Il 2001 è cominciato con molte preoccupazioni sul futuro dell’Amazzonia brasiliana. Dall’arrivo dei conquistadores portoghesi, nel 1500, fino al termine degli anni ‘70,  era stato distrutto solo il 4% di tutta l’Amazzonia brasiliana. Oggi, l’area deforestata è salita al 14%, ovvero 550 mila chilometri quadrati, l’equivalente di un Paese come la Francia.
Secondo le previsioni degli esperti, la foresta rischia di perdere ancora 270 mila chilometri quadrati nei prossimi vent’anni. È quanto emerge da un rapporto realizzato dall’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia (Ipam), una delle principali organizzazioni non governative della regione. Il risultato dello studio è uscito sulla rivista inglese “Nature” nel gennaio scorso, con il titolo “‘Avanti Brasile’, i costi ambientali in Amazzonia”.
Si tratta dei dati sull’impatto ecologico del piano di sviluppo del presidente Fernando Henrique Cardoso. Lanciato all’inizio del suo primo governo (1994-'98) e messo in opera dal gennaio del 2000, l’“Avanti Brasile” prevede stanziamenti di circa 45 milioni di dollari per la costruzione e ricostruzione di più di 8 mila chilometri di strade in Amazzonia. Oltre a ciò, entro il 2007 dovrebbero funzionare più di una decina di porti e quattro aeroporti nuovi, due gasdotti, tre centrali termoelettriche, le idrovie dell’Araguaia-Tocantis (2.250 Km) e del Madeira (1.056 Km), oltre a migliaia di chilometri di linee di trasmissione d'energia.
Le preoccupanti previsioni dei tecnici dell’Ipam partono da una semplice considerazione: basta tenere presente la deforestazione verificatasi nei dintorni delle strade realizzate negli anni ‘70 e ‘80 e utilizzare questo parametro per prevedere ciò che dovrebbe succedere attorno alle nuove. L’Ipam ha concluso ancora che due terzi dell’area totale deforestata si trovano vicino alle strade. Il problema è che Brasilia non ha mai fatto questi conti.
Prospettive ancora più catastrofiche arrivano dall’Istituto nazionale di ricerca dell’Amazzonia, con sede a Manaus. Secondo un recente studio, se non verrà fatto nulla per bloccare la distruzione, entro vent’anni rimarrà soltanto il 28% di foresta vergine.
Il ministro dell’Ambiente, José Sarney Filho, non considera una minaccia l’infrastruttura che verrà realizzata in Amazzonia nei prossimi anni e ritiene possibile conciliare il progresso con la conservazione dell’ambiente. “Il governo sta molto attento alla questione ambientale”, ha detto in un’intervista a “Veja”, il maggior settimanale brasiliano.
Secondo il Wwf, lo sfruttamento economico delle specie vegetali selvatiche vale 500 miliardi di dollari.
Dal Brasile, lo Stato in cui si trova la maggior parte della foresta amazzonica (3,3 milioni di chilometri quadrati dei complessivi 5,5 milioni), arriva l'8% del legname estratto nel mondo, quasi tutto illegalmente.
Ma cosa c’è dietro questo piano faraonico di Cardoso?
Nient’altro che l’idea di facilitare il trasporto della crescente produzione di soia delle savane, il cerrado (ad Ovest del Paese). E non solo. Per il giornalista ambientale Marco Antonio Gonçalves, l’avanzata della monocultura della soia verso l’Amazzonia spiega il recente tentativo di alcuni parlamentari di cambiare la Legge Forestale.
In vigore dal 1965, la legge definisce le condizioni in cui le foreste devono essere mantenute, fissando delle percentuali minime di protezione per le foreste vergini localizzate all’interno delle proprietà rurali. Per l’Amazzonia, in origine, il codice forestale stabiliva che il 50% delle proprietà rurali dovesse essere preservato dal cosiddetto taglio raso (cioè la deforestazione per attività agricola o allevamento di bestiame) ed essere sfruttato solo in maniera sostenibile.
Nel ‘96, il presidente Cardoso cambia parte del provvedimento con un disegno di legge provvisorio. Da quel momento in poi le percentuali delle aree di foreste da conservare in una proprietà rurale passano dal 50% all’80%. “La decisione del governo era una risposta alle varie critiche sorte, dentro e fuori il Paese, riguardo ai dati dell’anno precedente. Nel ‘95, ci fu infatti un grande aumento del tasso di deforestazione in Amazzonia”, afferma il giornalista che fa parte dell’Istituto socio-ambientale (Isa), una delle più combattenti Ong ambientaliste brasiliane.
La decisione del presidente, evidentemente, non piace ai grandi proprietari terrieri. I mesi successivi sono segnati da un forte dibattito provocato soprattuto dalle organizzazioni dei latifondisti e dai parlamentari alleati, che vogliono una riforma profonda della Legge Forestale, in modo da accantonare il disegno di legge presidenziale. In quest'occasione, però, entra in scena il Consiglio nazionale dell’ambiente (Conama), formato da rappresentanti del governo, della società organizzativa e dei settori economici.
Nell’aprile del ’99, il Conama promuove dei negoziati con i proprietari terrieri sull’aggiornamento della Legge Forestale. La condizione è che si mantenga all’80% il tasso di protezione delle cosiddette riserve legali.
Ma la Confederazione nazionale dell’agricoltura non è d'accordo. Anzi, cerca (con successo) di ottenere il massimo appoggio dei parlamentari. L’idea è quella di presentare al Parlamento una proposta di legge a beneficio della Confederazione e del tutto contraria alla proposta del Conama. Nel maggio dell’anno scorso si forma una commissione speciale per discutere la questione.
Ecco due delle principali rivendicazioni, presentate poi dal relatore Moacir Micheletto (deputato federale e produttore rurale dello Stato del Paraná): riduzione delle riserve legali dall’80% fino al 25% in ogni proprietà e ammissione dell’uso generalizzato di specie esotiche, come l’eucaliptus, per il recupero delle aree di foresta devastate illegalmente.
“Se approvato -valuta Gonçalves- il testo dei proprietari terrieri sarebbe stato il più grande passo indietro della legislazione brasiliana. Avrebbe autorizzato un elevato aumento della deforestazione nelle proprietà rurali e avrebbe concesso una sorta di amnistia per i crimini ambientali commessi dai proprietari nel passato”.
Ma i latifondisti e i loro alleati hanno una brutta sorpresa.  Contro la proposta di Micheletto arrivano proteste dai brasiliani e da tutto il mondo. Circa 20 mila messaggi elettronici vengono inviati a parlamentari, ministri e al presidente Cardoso. Le manifestazioni on line e sulle piazze fanno tornare indietro la lobby dei proprietari terrieri. Alla fine, i leader dei partiti firmano un accordo, chiedendo al governo di varare una nuova Legge Forestale in base alle esigenze del Conama.
Ma il giornalista ambientale avverte: “Stiamo attenti ai passi dei proprietari, la loro influenza sul governo federale è rimasta intatta. Sappiamo che stanno lavorando dietro le quinte per sollevare ancora una volta la polemica”.

La foresta insostituibile
Tagliata dalla linea dell’equatore, l’Amazzonia corrisponde a circa il 30% del Sud America. Abbraccia parte del territorio brasiliano, Guyana Francese, Suriname, Guyana, Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia. La foresta amazzonica è la più grande foresta tropicale pluviale del pianeta e la più ricca di biodiversità. In un’area di 2 chilometri quadrati di foresta vergine si trovano fino a 300 specie vegetali diverse.
La maggior parte della foresta amazzonica è in Brasile e copre il 74% della cosiddetta Amazzonia Legale, creata dal governo nel 1966 e che comprende gli Stati del Maranhão, Pará, Tocantins, Amapá, Amazonas, Acre, Roraima, Rondoônia e Mato Grosso per un totale di 4,9 milioni di chilometri quadrati (il 60% del territorio nazionale).

Deforestazione/1: ogni anno persi 9 milioni
Ogni anno scompaiono 9 milioni di ettari di foresta. Le zone più colpite sono nel Sud del mondo. In Africa nel periodo 1990-2000 le foreste sono diminuite dello 0,8% annuo, pari a oltre 5 milioni di ettari, in America Latina dello 0,4% per 3,6 milioni di ettari. Meno drammatica la situazione asiatica: 363 milioni di ettari equivalenti allo 0,1%, grazie alle riapiantumazioni che sono riuscite a rallentare l'emorragia da disboscamento.
Tra i Paesi più colpiti in termini assoluti c’è il Brasile con un calo di oltre 2 milioni di ettari. E poi l'Indonesia che sta a meno 1,3 milioni di ettari, il Sudan a meno 959 mila, lo Zambia a meno 851 mila, il Messico a meno 631 mila.
Il calo delle foreste -legato soprattutto al disboscamento a fini commerciali- è inferiore del 20% rispetto a quanto previsto nel 1995, dice la Fao. Ma equivale comunque alla scomparsa del 2% di boschi e foreste ogni anno, pari a 12 metri quadrati pro capite.

Deforestazione/2: anche la Russia a rischio
Non è solo l’Amazzonia ad essere minacciata dal disboscamento. Ecco le aree in pericolo.
Africa. Il bacino del Congo è la seconda maggiore area di foreste tropicali al mondo. La minaccia: il disboscamento industriale. Protagoniste grandi multinazionali estere ed europee in particolare. Si tratta di gruppi francesi, tedeschi, olandesi. Negli ultimi anni si sono fatte avanti anche aziende asiatiche e malesi in particolare.
Russia. Il disboscamento è tra i primi cinque settori industriali e attira aziende da Giappone e Stati Uniti. Ma il 20% del taglio degli alberi vìola la legge.
Canada. Qui cresce una delle ultime foreste pluviali temperate del pianeta. In totale le pluviali boreali coprono lo 0,2% della superficie terrestre. Anche qui le foreste rischiano si scomparire per il disboscamento industriale.
Pacifico. In quest'area si trova l'ultima foresta tropicale della regione. Anche qui non mancano gli estrattori di legname: sono compagnie malesi e coreane.

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