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Economia / Opinioni

In Italia un condono, prima o poi, lava sempre i reati fiscali. Ma ci conviene?

A fine marzo il Governo Meloni ha approvato una nuova sanatoria penale nell’ambito di un decreto legge finalizzato invece a sostenere le famiglie per l’acquisto di energia e gas. In un Paese con 100 miliardi di euro di evasione fiscale non è un messaggio confortante, osserva Mario Turla

© Engin Akyurt - Unsplash

Il 30 marzo 2023 il consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge 34 dal titolo “Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali”. Un provvedimento atteso per la proroga degli aiuti alle famiglie sul caro prezzi del gas e dell’energia. Ma a sorpresa è stata inserita una sezione dedicata agli “adempimenti fiscali” di ben sette articoli.

Tra questi anche l’articolo 23, definito da più parti un “condono penale”, proprio perché l’evasione fiscale sopra una certa soglia diventa un reato. Vediamo di quale fattispecie di reati stiamo parlando. Primo: omesso versamento delle ritenute alla fonte per importi superiori a 150.000 euro, che prevede la reclusione da sei mesi a due anni. Secondo: mancato versamento dell’Iva, entro il termine per l’acconto del periodo d’imposta successivo, per un importo superiore a 250.000 euro, (reclusione da sei mesi a due anni). Terzo: indebita compensazione di crediti per un importo maggiore a 50.000 euro (da un anno e sei mesi a sei anni).

Per godere di questo beneficio del condono occorre versare il dovuto senza alcuna maggiorazione né sanzione. E, sorpresa nella sorpresa, si può aderire a questo provvedimento anche se si è stati condannati in primo grado, pagando il dovuto, anche in venti comode rate. Il tutto sperando che non accada come in passato, dove si aderiva al condono, si rateizzava e poi si pagavano le prime rate e nulla più. Con il risultato che il sistema si dimenticava delle successive e la situazione si chiudeva lì.

Vediamo il perché il governo sente il bisogno di licenziare un decreto del genere. L’esecutivo guidato da Giorgia Meloni dice di volere un rapporto con il fisco più collaborativo, facendo così riemergere il concetto di evasione di necessità. Pertanto si introduce una non punibilità penale. Proprio quando l’Agenzia delle entrate dichiara un recupero dall’evasione fiscale di 20 miliardi di euro (cifra massima mai ottenuta), senza affatto ricorrere a misure straordinarie come i condoni.

Al contrario si approva invece un nuovo condono, mandando l’ennesimo messaggio che per pagare le tasse c’è sempre tempo, tanto prima o poi arriva un condono per le proprie esigenze. Ma esistono dei casi in cui un condono fiscale è lecito anche sotto il profilo penale? Ritengo in alcuni casi di sì. Ma quando si è in presenza di una forte discontinuità, come l’introduzione di una riforma fiscale altamente innovativa rispetto alla precedente tale da creare un salto di paradigma. In questo caso ritengo che un condono sia necessario per sistemare il pregresso e proseguire con il nuovo sistema. Ma solo se si imposta il nuovo su un fisco con tassi di evasione bassi e con un messaggio molto chiaro, che chi non aderisce al condono e venisse scoperto allora pagherebbe senza sconto. Una specie di ultimo appello.

Ma in questo caso non è così, viene introdotto senza una strategia apparente, e si scopre come una sorpresa, infilato in un decreto urgente per tutto un altro argomento. Che messaggio si sta dando al cittadino quando si afferma -come ha fatto la presidente del Consiglio Meloni al Vinitaly- che “per combattere l’evasione fiscale l’approccio migliore è abbassare le tasse, semplificare la burocrazie e creare un rapporto migliore tra stato e cittadino”.

Quanto detto potrebbe anche essere condiviso ma ci vuole un percorso lungo e partecipato. Che comprende una serie di fasi che non possono essere saltate. La prima è la consapevolezza che non si può più continuare ad avere un’evasione così alta (100 miliardi di euro). Una volta che c’è la consapevolezza, si passa alla tracciatura di tutte le transazioni e fatture in modo da renderle digitali e quindi controllabili. In parallelo si riscrivono le regole coinvolgendo tutte le parti sociali ma con un principio di trasparenza e semplicità. Il fisco deve essere chiaro e semplice in modo che il cittadino sappia se si è nel giusto o nell’errore, e non debba pagare consulenti e commercialisti per capire che cosa dover fare. Come ultima fase c’è poi l’attuazione, un tempo limitato di collaudo del nuovo sistema, in cui si ha una tolleranza nelle sanzioni ma un’evidenza del controllo. Soltanto a questo punto si può introdurre un condono per chiudere la fase precedente. Ma come abbiamo detto deve essere percepito come l’ultima possibilità. Fatto questo, avendo un fisco semplice chiaro e soprattutto tracciato, si attuano i controlli e si tira la rete, e chi sbaglia avrà la consapevolezza che ci sono i controlli e dovrà contribuire al dovuto.

Questo purtroppo non sta avvenendo, anche se qualche passo avanti (come la tracciabilità) è stato fatto ma dai governi precedenti e non si sta dando affatto la sensazione di un percorso verso una riduzione dell’evasione. Quanto semmai il tipico messaggio nostrano del “non preoccuparti, tanto un condono prima o poi arriva sempre”.

Mario Turla, laureato in Scienze dell’informazione e master in economia, è esperto di normativa antiriciclaggio e consulente per banche e pubbliche amministrazioni nell’applicazione della 231/2007. Ha collaborato -tra l’altro- alla definizione degli indicatori di anomalia antiriciclaggio nella Pubblica Amministrazione. Ha progettato soluzioni informatiche per individuare le transazioni sospette in ambito bancario ed è il fondatore di Txt risk solutions, start-up innovativa di gestione del rischio con AI. Insieme a David Gentili e Ilaria Ramoni ha scritto per Altreconomia “Il giro dei soldi. Storie di riciclaggio. Da Milano al Delaware: dove finiscono i capitali sporchi di evasori e criminali”

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