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Economia / Opinioni

Sanità e spesa sociale ridotte a pezzettini da delega fiscale e autonomia differenziata

Negli anni si sono affidate le sorti di Regioni e Comuni ai trasferimenti dello Stato e ai fondi perequativi, sul cui destino non si trova traccia né nella delega fiscale né nel testo sull’autonomia. Al di là della propaganda, dunque, non c’è copertura finanziaria per le nuove funzioni che le Regioni intendono assumere. L’analisi di Alessandro Volpi

© Hans-Peter Gauster - Unsplash

È davvero singolare che il disegno di legge delega sulla riforma del fisco e quello per l’autonomia differenziata siano stati sottoposti alla firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo stesso giorno. La singolarità deriva dal fatto che i due testi, di fatto, si ignorano reciprocamente. Non compaiono infatti riferimenti alla riforma fiscale nel testo sull’autonomia differenziata e tantomeno figurano riferimenti all’autonomia in quello fiscale. Sembrano due universi del tutto separati.

Per essere pignoli un richiamo nella delega fiscale alle imposte locali è presente nel lungo e confuso articolo 5, dove si fa riferimento alla sostituzione delle addizionali con non meglio specificate “sovraimposte”, e all’articolo 8, in cui si fa balenare il superamento dell’Irap. Ma tutto finisce lì e la questione appare decisamente grave perché senza una chiara esplicitazione di come si intendano finanziare le attività assunte dalle Regioni il pericolo evidente è quello di un deciso peggioramento, per non dire di un vero e proprio smantellamento, dei servizi pubblici in molte di queste. Per comprendere un simile pericolo bisogna aver presenti tre aspetti. 

Il primo è costituito dalla struttura del gettito tributario del nostro Paese. Le entrate tributarie sono state in Italia pari a poco più di 588 miliardi di euro nel 2022. Di queste entrate, circa 526 miliardi provengono da quelle di natura erariale, composte in larga parte dall’Irpef, che da sola vale 200 dei 283 miliardi delle imposte dirette, e dall’Iva, che vale 161 dei 242 miliardi delle imposte indirette. Le entrate tributarie di natura territoriale, invece, sono state pari a 62 miliardi. Dunque, abbiamo un sistema dove il prelievo fiscale centrale è largamente predominante e si regge sui trasferimenti dal centro a Regioni e Comuni. Questa dipendenza, peraltro, si è accentuata nel tempo; le risorse proprie delle Regioni sono state affidate ormai da tempo all’Irap e all’addizionale Irpef che, soprattutto nel primo caso, hanno subito una sensibile riduzione sia in termini di aliquote sia per la contrazione della base imponibile. Anche le entrate dei Comuni, a cominciare dall’Imu, si sono assottigliate per l’assunzione di una larga porzione del gettito da parte dello Stato.

In altre parole, negli ultimi anni si è cancellata ogni traccia di federalismo fiscale e si sono affidate le sorti di Regioni e Comuni ai trasferimenti dello Stato e ai fondi perequativi sul cui destino, come accennato in apertura, non si trova traccia né nella delega fiscale né nel disegno sull’autonomia. Non è quindi in alcun modo comprensibile allo stato attuale come avverrebbe la copertura finanziaria delle nuove funzioni che le Regioni chiederanno di assumere, né tantomeno come si finanzierà il mantenimento dei cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni”.  

C’è poi un secondo aspetto che si lega a una simile indeterminatezza. Non specificare la natura delle entrate fiscali che stanno alla base della sostenibilità dell’autonomia differenziata consente di perpetuare una narrazione sbagliata, costituita dalla tesi dei “residui fiscali”, secondo cui alcune Regioni versano allo Stato più di quanto ricevano. Si tratta appunto di una narrazione dato l’attuale sistema fiscale italiano. È evidente infatti che l’Irpef pagata in Lombardia non è relativa soltanto ad attività che si svolgono in quella Regione ma risulta interamente “lombarda” soltanto perché l’imposta è pagata dove società che operano anche in altre zone del Paese hanno scelto di porre la loro sede fiscale. In altre parole, la geografia fiscale non coincide con la reale geografia economica del Paese e ha poco senso, alla luce di ciò, immaginare residui fiscali assai difficili da calcolare. 

Infine esiste un terzo aspetto più generale. La delega fiscale, pur accennando alla necessità di operare a saldo zero, determinerà una sensibile riduzione del gettito sia attraverso l’Irpef, in particolare di quella versata dagli autonomi, già ora quasi inesistente, sia mediante l’abbattimento della pressione sui redditi da capitale, sui rendimenti finanziari e sulle rendite immobiliari, mettendo tutto in un unico calderone con aliquote fortemente ridotte, volte a fare concorrenza all’evasione piuttosto che combatterla. In tali condizioni, il finanziamento degli indispensabili trasferimenti dal “centro” alle Regioni e agli enti locali si contrarranno inevitabilmente, con buona pace della sanità e della spesa sociale. 

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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