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Il senso di Intesa Sanpaolo per il business delle armi

© leon-mcbride - Unsplash

Dal 2016 ad oggi l’istituto ha destinato al settore degli armamenti 2,135 miliardi di dollari (tra finanziamenti e investimenti). Un giro d’affari in crescita, come evidenzia un’analisi di ReCommon pubblicata in concomitanza con l’Aerospace & Defense Meeting in corso a Torino. Il legame speciale con Leonardo

Intesa Sanpaolo, la banca fossile numero uno in Italia, dal 2016 a oggi ha destinato al settore degli armamenti 2,135 miliardi di dollari, suddivisi in 1,75 miliardi di finanziamenti e 385 milioni di investimenti. Un business in crescita, tanto che nel 2022, in concomitanza con l’inizio della guerra russa all’Ucraina, l’istituto di credito ha registrato un incremento del 52% negli investimenti rispetto all’anno precedente.

Sono i dati che emergono dal briefing di ReCommon intitolato “Soldi a grappolo” e pubblicato in concomitanza con l’Aerospace & defense meeting, il summit dell’industria delle armi in programma dal 28 al 30 novembre proprio a Torino, ormai diventata vetrina per il mercato dell’industria bellica italiana. “Abbiamo già avuto modo di evidenziare l’esposizione storica di Intesa Sanpaolo all’industria dei combustibili fossili, con 49 miliardi di dollari dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi a oggi, trainata negli ultimi anni soprattutto dagli investimenti -spiegano gli autori nell’approfondimento-. Lo stesso andamento emerge nel settore aerospaziale e della difesa. Nel 2022, tra importi e rinnovi di finanziamenti e garanzie come intermediario, la prima banca italiana ha gestito circa due miliardi di dollari nel settore import ed export di armi”. 

La guerra in Ucraina e la recente escalation in Medio Oriente hanno favorito l’industria delle armi. Il Guardian ha mostrato come grandi attori finanziari del calibro di Morgan Stanley o Td bank abbiano registrato un incremento del 7% del valore per il settore bellico e aerospaziale nel periodo appena successivo all’attacco di Hamas contro Israele.

Non solo. Il 2022 ha segnato il record per la spesa militare italiana che si è attestata intorno a 26 miliardi di euro, un aumento di 1,35 miliardi rispetto all’anno precedente. Un giro d’affari che è passato soprattutto dalle banche private. Secondo l’annuale Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali d’armamento, infatti, nel 2022 gli istituti bancari hanno realizzato importanti affari con il settore della difesa: 9,5 miliardi di euro tra finanziamenti e garanzie, il 26,6% in più rispetto al 2021. 

Non poteva mancare la prima banca italiana e il suo principale cliente, Leonardo Spa, società leader del settore militare e dell’aerospazio, controllata dal ministero dell’Economia. Dal 2016 a oggi circa il 63% dei finanziamenti di Intesa al settore aerospaziale e della difesa sono andati proprio a beneficio di Leonardo. L’azienda, guidata oggi dall’ex ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, ha chiuso il 2022 con un utile netto di 932 milioni di euro e si è confermata come leader europeo per la vendita di armi e la dodicesima a livello mondiale. Questi risultati non sarebbero stati possibili senza il supporto delle istituzioni europee, secondo la Rete europea contro il commercio di armi (Enaat): Leonardo è infatti la prima beneficiaria dei fondi di ricerca e di sviluppo militare messi a disposizione dall’Unione.

Circa il 63% dei finanziamenti totali di Intesa Sanpaolo al settore aerospazio e difesa dal 2016 a oggi sono a beneficio di Leonardo, in cui la banca ha investito 30 milioni di dollari nel solo 2022

Tra gli altri i beneficiari degli investimenti della banca guidata da Carlo Messina ci sono alcune delle principali aziende dell’industria bellica a livello mondiale come la francese Thales, la statunitense Raytheon e la tedesca Rheinmetall, tutte in prima linea nella fornitura di armi per il conflitto in Yemen, un Paese tra i più poveri del Medio Oriente, dilaniato dal 2014 dalla guerra civile e la conseguente crisi umanitaria. “Sul banco degli imputati anche Rwm Italia, filiale italiana di Rheinmetall con sede in Sardegna a Domusnovas, che ha realizzato ordigni utilizzati dalla coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita per bombardare lo Yemen -si legge nel report-. I parenti delle vittime di un attacco mortale hanno presentato nel luglio 2023 denuncia contro l’Italia alla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu)”. 

Sulla carta Intesa Sanpaolo dovrebbe applicare una policy che le impedisce di finanziare la produzione di armamenti considerati controversi o banditi da trattati internazionali, come le armi nucleari chimiche e biologiche, le bombe a grappolo, le munizioni a uranio impoverito o le mine terrestri antipersona. Tuttavia, un’attenta analisi rivela la presenza di scappatoie che permettono a Intesa Sanpaolo di continuare a foraggiare l’industria bellica. “Come nel caso di quella su ambiente e clima, la policy interna sulle armi di Intesa Sanpaolo è molto lacunosa -ha spiegato Daniela Finamore di ReCommon, autrice del briefing-. La policy riguarda infatti le singole operazioni e non vieta i finanziamenti e gli investimenti nelle società coinvolte nel settore degli armamenti. Questi buchi permettono a Intesa di continuare a foraggiare le casse di Leonardo e di altri colossi dell’industria bellica. Sforzi che vanno nella direzione opposta rispetto ad altre istituzioni finanziarie, che hanno deciso di prendere degli impegni ambiziosi per limitare il loro coinvolgimento nel settore degli armamenti”. Secondo il database Financial exclusions tracker, 40 operatori finanziari hanno escluso Leonardo dal loro portafoglio di investimenti a causa proprio del suo coinvolgimento nel commercio di armi controverse. 

Leonardo è coinvolta anche nella fornitura di armamenti e tecnologie all’esercito israeliano. Il 30 ottobre 2023, infatti, l’esercito degli Stati Uniti ha assegnato a Leonardo e alla Elbit System, azienda israeliana nel settore della difesa, lo sviluppo di un nuovo sistema laser in grado di esplorare le posizioni nemiche e coordinare gli attacchi. Cooperazione che ha raggiunto il suo picco nel giugno dello scorso anno, quando Leonardo ha annunciato di aver firmato un accordo di fusione con Rada electronic industries, azienda israeliana leader nello sviluppo di Iron Dome, lo scudo antimissilistico del Paese. Un accordo che giunge pochi mesi dopo la sigla di un altro contratto per la vendita di elicotteri da parte di Leonardo alle forze armate israeliane. 

L’interesse della banca torinese per Leonardo rischia così di trasformare Torino in una “città delle armi”. La città non solo ospita la sede centrale di Intesa Sanpaolo e uno dei tre centri piemontesi di Leonardo ma è anche l’unico sito in Europa per l’assemblaggio e il collaudo dei caccia F-35. Per di più l’azienda diretta da Cingolani ha intenzione di costruire a Torino la “Città dell’aerospazio”, un mega polo per il settore previsto su un’area pari a un chilometro quadrato. L’opera, che verrà costruita ampliando gli spazi preesistenti di Leonardo, potrà contare su un budget di 1,15 miliardi di euro di cui il 49% sarà coperto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Affare fatto.

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