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Il paradosso delle batterie. Come evitare che l’auto elettrica crei nuove ingiustizie

Per il centro di ricerca indipendente sulle multinazionali SOMO, la transizione oltre i combustibili fossili non è rinviabile. La filiera delle batterie per i veicoli elettrici, però, è tutt’altro che equa e sostenibile, come dimostrano gli impatti dell’estrazione dei minerali. Le proposte per cambiare direzione

© Ralph Hutter - Unsplash

Tra il 2010 e il 2019, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia, i veicoli elettrici sono passati da 17mila a oltre sette milioni. Si stima che le vendite globali di auto elettriche arriveranno a 26 milioni nel 2030 e 54 milioni nel 2040. Un boom spinto dal sostegno di governi e iniziative internazionali, di fronte alla necessità di tagliare le emissioni inquinanti dei trasporti per contrastare la crisi climatica. Il modello con cui si sta attuando la transizione oltre i combustibili fossili rischia di creare però nuove ingiustizie. Il nodo cruciale sono le batterie per i veicoli elettrici: per produrle servono minerali -litio, cobalto, manganese, nichel, grafite- la cui estrazione in rapidissimo aumento già oggi porta con sé gravi conseguenze. “L’aumento senza precedenti della domanda di queste e altre materie prime pone gravi rischi connessi ai diritti umani e all’ambiente e solleva la questione di quanto sia realmente sostenibile ed equa una transizione basata sulla diffusione di massa dei veicoli elettrici”, si legge del rapporto di dicembre 2020 intitolato “The Battery Paradox”, curato dal centro di ricerca indipendente sulle multinazionali SOMO.

Le percentuali della tabella sono relative alla produzione dei minerali chiave per le batterie per le auto elettriche. Le “risorse” fanno riferimento alla quantità del minerale presente nel Paese rispetto alla presenza totale sulla crosta terrestre. Le “riserve” fanno riferimento alla quantità di minerale estraibile nel Paese in un momento determinato. Fonte: elaborazione a cura di SOMO dei dati di “USG Minerals Commodities Summaries”, 2020 © SOMO

La Cina è il Paese che meglio riassume le contraddizioni dello scenario attuale. Conta la più grande flotta di auto elettriche con oltre tre milioni di veicoli e gran parte delle aziende produttrici di batterie, mentre altre società cinesi estraggono minerali, non senza criticità, in altri Paesi del mondo. Non solo: la Cina sperimenta anche sulla propria pelle gli impatti negativi dell’estrazione di grafite naturale. Da qui nel 2018 è arrivato il 62% della produzione mondiale, lasciando sul territorio inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei raccolti delle comunità locali. “A causa dell’aria inquinata i lavoratori e il resto delle comunità sono colpiti in maniera crescente da problemi respiratori e la loro acqua non è più potabile. L’esposizione alla polvere di grafite può causare gravi malattie come la fibrosi dei polmoni, pneumoconiosi occupazionale e arresto cardiaco”, scrivono gli autori del report Alejandro González ed Esther de Haan.

L’emblema delle contraddizioni oggi in atto è il nichel: alla sua lavorazione sono infatti associate elevate emissioni di gas serra e grandi quantità di rifiuti tossici. La fusione del nichel in Indonesia, leader nella sua estrazione seguita da Filippine e Russia, è alimentata da centrali a carbone, portando con sé inquinamento atmosferico e malattie respiratorie. Altri impatti delle miniere a cielo aperto di nichel riguardano inquinamento idrico, deforestazione, dissesto idrogeologico e perdita di biodiversità, ma anche conflitti sociali.

Le aziende che intendono investire nella produzione di batterie al litio. Fonte: Somo © SOMO

Il litio, presente in tutti i tipi di batterie per veicoli elettrici, viene estratto principalmente nelle cave australiane (62% della produzione mondiale nel 2018), Cina e nel cosiddetto “Triangolo del Litio” in Sud America. In Cile e Argentina si concentra oltre il 60% delle riserve del minerale, ma da questi Paesi arrivano anche le maggiori preoccupazioni. L’estrazione qui avviene partendo da acqua salina pompata dal sottosuolo e fatta evaporare, con gravi impatti sull’equilibrio idrico e la disponibilità di acqua potabile, a rischio di salinizzazione. A farne le spese, in molti casi, sono le comunità indigene, lasciate sole dai governi, senza informazioni se non quelle tranquillizzanti fornite dalle società minerarie. Oggi, spiega ad Altreconomia il direttore della Ong Source international Flaviano Bianchini, “nel Triangolo oltre il 65% dell’acqua totale è utilizzata per l’estrazione del litio e molti contadini hanno già dovuto abbandonare le loro terre. Con la domanda in crescita esponenziale le popolazioni locali sono sempre più a rischio e la zona rischia di trasformarsi in un enorme deserto inabitato”.

L’estrazione di cobalto nella Repubblica Democratica del Congo in Africa © Amnesty International

La mancanza di informazioni e l’assenza di confronto con le popolazioni locali sono lamentate anche dalla comunità dei Maremane in Sudafrica, Paese dove si concentra un terzo della produzione mondiale di manganese. All’attività mineraria si associano inquinamento, scarsità di acqua potabile ed effetti sulla salute. Le principali malattie professionali dei lavoratori delle miniere coinvolgono il sistema nervoso ma studi effettuati sui bambini hanno evidenziato anche conseguenze negative per lo sviluppo cerebrale e deficit cognitivi.

Porta con sé profondi impatti anche l’estrazione di cobalto, proveniente per il 70% dalla Repubblica Democratica del Congo, uno dei Paesi con il più basso reddito pro capite, nonostante l’abbondanza di risorse naturali. “Per capire velocemente il paradosso delle batterie è sufficiente guardare un’immagine satellitare della città di Lubumbashi, capitale del distretto di Katanga. La parte nord-est della città è completamente ricoperta da una coltre rossiccia. Polveri sottili ricche di metalli pesanti ricoprono l’intera area e la popolazione locale, che vive in misere baracche, si ammala e muore per malattie legate all’accumulo di tali sostanze. Tutto questo è dovuto alle operazioni di una miniera a cielo aperto di cobalto”, spiega Bianchini. Accanto agli impatti ambientali ci sono quelli sociali, a partire dalla scarsa sicurezza sul lavoro. Amnesty International e Afrewatch hanno documentato la diffusione del lavoro minorile con bambini di sette anni costretti a lavorare duramente 12 ore senza alcuna protezione.

Le strategie per ridurre le emissioni di gas serra. Fonte: “Resource Efficiency and Climate Change
Material Efficiency Strategies for a Low-Carbon Future”, International Resource Planet, 2020 © SOMO

Il quadro tracciato dal report di SOMO mostra chiaramente la necessità di cambiare direzione. Non si tratta certo di rimanere ancorati ai mezzi diesel e benzina ma di ampliare la prospettiva, considerando gli impatti di tutta la filiera e non solo del suo prodotto finale. Prima di tutto, i due autori dello studio chiedono trasparenza e una valutazione dei reali costi ambientali e sociali delle batterie, anche perché in ballo ci sono ingenti risorse pubbliche (sotto forma di denaro dal bilancio europeo, aiuti di Stato e mutui della Banca europea degli investimenti al comparto delle batterie). I ricercatori suggeriscono anche di tagliare la domanda di energia e di minerali riducendo le auto in circolazione e puntando su ride sharing, car sharing e veicoli più piccoli. Dall’altro lato, invitano a investire in efficienza dei materiali: usarne di meno, progettare le batterie per essere facilmente disassemblate, facilitando il riciclo delle componenti.

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