Altre Economie
Il nuovo pane di Milano
La ricetta prevede grani antichi, farine “bio” e pasta madre. A scriverla, il Distretto di economia solidale rurale del Parco agricolo Sud —
Oggi si piantano le radici commestibili, come i ravanelli. Saranno pronti in estate.
Cassinetta di Lugagnano, provincia di Milano. Il Comune è noto per essere stato il primo ad approvare un Pgt a consumo zero di suolo. Meno di 2mila abitanti, fa parte del Parco del Ticino e confina con il Parco agricolo Sud della metropoli lombarda, che con 47mila ettari è il più grande d’Europa e resiste all’avanzata del cemento. La cascina dei Piatti è una cascina antica. Fa parte del nucleo storico del paese: la documentazione ne prova l’esistenza già nel 1500. “Il nome deriva dagli antichi proprietari, signori di Milano, amici dei Visconti” spiega Anna Baroni, che oggi conduce l’azienda agricola. “Forse, la cascina esiste dal 1400. Oggi la maggior parte degli edifici è del 1700. Dal 1800 la proprietà passa alla famiglia Negri, quella del terzo sindaco di Milano e senatore del Regno. All’epoca contava 100 ettari di coltivazioni: in parte nel Parco agricolo milanese, il resto nell’area che oggi è Parco del Ticino”.
La grande erudizione di Anna si accompagna al suo amore per la terra. Ha ereditato con le sorella quest’azienda dal padre. Il nonno era un affittuario (il fittavul), dai Negri. Nel 1965 la famiglia, con notevole sacrificio, compra la cascina. Oggi lei si occupa di 10 ettari, coltivati a cereali con rotazione di leguminose. La cascina è anche un agriturismo (www.agriturismoaia.it) con attività didattiche e culturali. Ha anche un orto in campo, “un orto sinergico, sperimentale -sorride Anna-. Il terreno va toccato il meno possibile, si studiano le consociazioni: piante che aiutano le altre piante”.
Oggi Anna pianta i ravanelli. La sua azienda è certificata bio dall’ottobre 2012: è una delle aziende convertite grazie anche al gran lavoro del Distretto di economia solidale rurale del Parco Sud (www.desrparcosudmilano.it, vedi Ae 148). Oltre al grano, produce anche mais vitreo per la polenta (e utilizzato anche per il “Pan de Mej”). Anche Ermanno Olmi è stato qui, durante la realizzazione del suo documentario in vista dell’Expo di Milano. Si dovrebbe intitolare “L’acqua e il pane di tutti i giorni”. Quando incontro Anna, con lei ci sono anche Luciana Maroni, del gruppo di acquisto solidale di Baggio (un quartiere di Milano), che fa parte del “comitato tecnico” del Desr, Maria Cristina Giudici, del Gas di Casalmaiocco (Lo) -che rappresenta anche i comitati contro la nuova tangenziale milanese, la Teem, che minaccia il Parco agricolo- e Valentina Gasparini, del Gas di Cornaredo. Raccontano di come, sin dal 2010, il Distretto ha iniziato a occuparsi della filiera del pane, il sogno di chiudere il cerchio dalla farina alla tavola unendo agricoltori, panificatori e consumatori.
“Abbiamo cominciato con la cascina Forestina e un panificatore di Corsico. All’epoca si trattava di 80, 100 pagnotte a settimana. La sperimentazione è proseguita per tutto il 2011, fino a quando si sono formate delle ‘reti’ di Gas attorno a ciascun panificatore. Oggi abbiamo dati certi: 5 panificatori, ognuno per circa 100 pagnotte la settimana (da 500 o 750 grammi), 7 agricoltori coinvolti, 2 cooperative sociali, una piccola artigiana, 37 gruppi di acquisto, 8 tonnellate di farina comprate in un anno, 800 famiglie coinvolte”. Il Desr ha lavorato -come al solito- garantendo la copertura preventiva degli acquisti. E la cosa ha funzionato. Il prezzo è trasparente e definito collegialmente: un chilo di pane costa poco più di 4 euro, di cui la farina vale tra 1,20 e 1,60 euro, compreso il mulino; il resto va al panificatore. “Nel maggio 2012 abbiamo deciso di fare un salto di qualità, cercando tipologie di grano non commerciali. Volevamo staccarci dalle multinazionali, che controllano il mercato delle sementi, anche quelle bio, e trovare un tipo di grano adatto a chi presenta sensibilità al glutine. Per questo ci siamo rivolti a Daniela Ponzini, agronoma di Aiab Lombardia”. Daniela individua una miscela di 11 grani antichi, affascinanti sin dai nomi (dal Senatore Cappelli al Frassineto, dal Gamba di Ferro al Gentil Rosso). Lo fa rivolgendosi all’Università di Bologna che, con un progetto triennale finanziato dalla Regione Emilia-Romagna chiamato “BioPane”, si poneva come obiettivo lo sviluppo di un programma sperimentale che favorisse la cerealicoltura biologica e biodinamica, tramite il recupero e la valorizzazione di accessioni di frumento tenero di antica costituzione. “Abbiamo ottenuto un po’ di farina dalla cooperativa ‘La Collina’ di Reggio Emilia, che ha partecipato a ‘BioPane’, provato a fare il pane e la pasta madre. Funzionava benissimo”. Sono 11 varietà di frumento risalenti agli inizi del ‘900, quando la selezione veniva fatta senza irraggiamento delle sementi.
A ottobre 2012, nella cascina Piatti, viene seminato mezzo ettaro con gli 11 grani. Il comitato tecnico coinvolge anche la facoltà di Agraria dell’Università di Milano.
A vederlo oggi, il campo sembra una semplice distesa di erba alta. Ma fra non molto arriveranno le spighe. “Se tutto va bene contiamo di raccogliere tra i 13 e i 14 quintali di granella -spiega Luciana-. Quattro quintali serviranno per la semina successiva, anche perché uno degli obiettivi -politici- del progetto è quello di staccarci dalle aziende sementiere e di poter autoprodurre la semente”. Gli altri agricoltori della filiera del pane hanno già dato la loro disponibilità.
I semi sono stati piantati tutti insieme, senza distinzione tra varietà. La coltivazione in “miscuglio” permetterà di avere “un grano adatto alla località, alla terra, al clima”. Tutto il processo di sperimentazione è stato finanziato dai gruppi di acquisto, che hanno siglato un “patto” per rendere “economicamente sostenibile questo cammino, attraverso la condivisione partecipata”. Il Desr propone a chi aderisce di fornire una sorta di “garanzia fiduciaria” affinché “le semine e il frutto del lavoro degli agricoltori trovino una risposta sulla tavola imbandita di chi partecipa al progetto”.
“I Gas hanno finanziato l’iniziativa, garantendo i 1.200 euro di preventivo per la sperimentazione, e si sono impegnati ad acquistare il prodotto finale. Non solo: l’anno prossimo tutti gli attori della filiera del grano daranno l’1% delle risorse per costituire un fondo di solidarietà per il progetto”. Anna mostra il libro coi documenti dell’Arcivescovado mentre versa una tisana di elicriso -dalle proprietà balsamiche- accompagnata da frammenti di anice stellato. “Mio nonno Innocente ricevette nel 1926 l’‘istromento di consegna’, che si rifaceva all’originale del 1905. Quattrocento pagine scritte a mano con precisione millimetrica, in cui minuziosamente si descriveva il fondo agricolo, la servitù, tutte le caratteristiche dei campi, ciascuno dei quali aveva un nome. Si indicava il tipo di coltivazione, tutte le clausole da rispettare, erano previste delle penalità per chi, ad esempio, ‘rompeva’ i prati stabili o le marcite. La fertilità era mantenuta dal letame delle vacche da latte, il cui numero minimo era stabilito. Tutto era registrato, pianta per pianta. Perché poteva cambiare il proprietario, ma non la cura della terra”. Anche questa è economia delle relazioni. —