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Crisi climatica / Attualità

Il mese chiave per la messa al bando di pubblicità e sponsorizzazioni fossili nell’Ue

Greenpeace Italia protesta al concerto del Primo Maggio a Roma per denunciare il greenwashing di Eni, uno dei principali sponsor dell'evento - © Greenpeace / Francesco Alesi

Mancano poche settimane al termine della raccolta di un milione di firme a sostegno dell’Iniziativa dei cittadini europei promossa da Greenpeace e altre 40 organizzazioni. Obiettivo: vietare spot e sponsor di gas, petrolio e carbone e contrastare il greenwashing delle multinazionali. Il punto con Federico Spadini di Greenpeace

Si apre un mese decisivo per l’Iniziativa dei cittadini europei (Ice) che punta a vietare nell’Unione la pubblicità e le sponsorizzazioni dei combustibili fossili e a contrastare così la propaganda e il greenwashing delle multinazionali del settore. Proprio come fatto con il tabacco vent’anni fa.
Il tema fa fatica a imporsi nel dibattito pubblico, specie in Italia, anche considerando il legame tra una parte del mondo dell’informazione e le inserzioni di aziende legate a gas, petrolio o carbone.

L’Ice è uno strumento formale previsto dall’ordinamento dell’Unione europea che è finalizzato ad attivare un processo legislativo intorno a una proposta di direttiva. Quella in discussione è stata lanciata da Greenpeace e da altre 40 organizzazioni europee in prima linea contro la crisi climatica il 4 ottobre 2021 con l’obiettivo di raccogliere almeno un milione di firme autenticate entro un anno, centrando una soglia minima in sette Paesi dell’Ue, e obbligando così la Commissione a discuterne.

Dal lancio nell’ottobre 2021 –cui dedicammo la copertina della rivista– al 19 agosto 2022 le firme raccolte nei Paesi dell’Ue sono quasi 280mila. Belgio, Finlandia, Francia, Olanda e Svezia hanno già raggiunto la soglia minima. L’Italia, con poco meno di 40mila firme, è al 75%.
Con Federico Spadini, membro di Greenpeace e coordinatore della campagna per il nostro Paese, facciamo il punto dell’iniziativa, travolta, come tutto il resto, dalla guerra in Ucraina. “Quello che ci aspetta sarà il mese chiave per lo sprint finale. Abbiamo in programma iniziative forti”.

Spadini come procede la campagna?
FS Bene e ha già raggiunto risultati importanti. In questi mesi abbiamo messo in campo azioni diverse per denunciare il greenwashing delle aziende fossili e il loro tentativo di ripulirsi l’immagine grazie alle pubblicità e alle sponsorizzazioni di eventi. Abbiamo pubblicato report di ricerca che dimostravano numeri alla mano quanto quegli spot fossero ingannevoli e quanto falso fosse il loro presentarsi come una soluzione all’emergenza climatica, degli alleati nella transizione. E abbiamo confrontato i messaggi “green” con i bilanci delle società interessate, ancora tutti orientati alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi.

Qualche caso emblematico di azienda toccata dalle vostre mobilitazioni?
FS Sicuramente TotalEnergies in Francia, che è il principale sponsor del Louvre di Parigi. I nostri attivisti hanno protestato al museo nei mesi scorsi. E in Italia cito il caso di Eni, con il nostro intervento di protesta al festival di Sanremo o al concerto del Primo maggio, manifestazioni di cui Eni è partner bene in vista.

Attivisti di Greenpeace Francia si mobilitano davanti al Louvre per denunciare la complicità del museo con la major petrolifera TotalEnergies – © Joseph Melin / Greenpeace

Mancano oltre 700mila firme all’obiettivo. Come leggere questo dato?
FS Diciamo subito che la campagna è complessa e partiva in numerosi Paesi, Italia inclusa, da una consapevolezza molto ridotta. C’è ancora tanto lavoro da fare per raggiungere l’obiettivo ma per noi i risultati ottenuti sono di valore. Abbiamo fatto parlare del greenwashing e del ruolo della pubblicità. E sulla scia della campagna sono state assunte a livello locale decisioni interessanti. Singole città in Europa hanno messo fuori legge certe pubblicità, come dimostra il caso di Amsterdam, che ha vietato inserzioni di combustibili fossili e di compagnie aeree. Anche la Francia a livello nazionale si è mossa.

Come? E vi convince l’iniziativa francese?
FS Come Greenpeace abbiamo bollato come insufficiente il bando alle pubblicità fossili entrato in vigore di recente. Non riguarda il gas fossile e non tocca sponsorizzazioni di eventi o comunicazione istituzionale. Ma resta un segnale positivo che qualcosa si sta muovendo. Le persone si stanno accorgendo che c’è un tema di “legittimazione sociale” delle aziende che inquinano e devastano il Pianeta.

E in Italia?
FS In Italia sono pochissime le testate che hanno deciso di non prendere finanziamenti da imprese fossili. Siamo indietro come dibattito pubblico rispetto ad altri Paesi europei, specie del Nord, ma la conoscenza del tema del greenwashing è sempre più in crescita. Già questo è un bel risultato.

Il principale ostacolo?
FS Credo che la resistenza dei media, ampiamente finanziati da quelle stesse aziende che sono l’obiettivo della nostra campagna, abbia fatto la differenza. Ed è una circostanza dimostrata anche dai report che abbiamo pubblicato in estate sui cosiddetti “intrappolati”. Con l’Osservatorio di Pavia abbiamo esaminato oltre 500 articoli pubblicati dal primo gennaio al 30 aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa). Risultato: la crisi climatica trova poco spazio a differenza di quanto avviene per le pubblicità delle aziende inquinanti. Ecco perché nelle prossime settimane metteremo in campo iniziative per “liberare” il mondo dell’informazione dalla presenza ingombrante delle imprese fossili. Campagna elettorale permettendo.

Se guardiamo alle firme raccolte nei vari Paesi europei notiamo differenze sensibili. Come mai?
FS Come si diceva prima, Belgio, Finlandia, Francia, Olanda e Svezia hanno già raggiunto la soglia minima. Mancano due Paesi per raggiungere i sette necessari, oltre naturalmente al milione di firme complessive. Chi ha fatto bene dimostra che dove c’è dibattito (e manifestazioni, report, presenza sulla strada), dai Consigli comunali al Parlamento, la campagna funziona.

E chi ha fatto male?
FS Ci sono variabili diverse. La consapevolezza pubblica e anche l’attività dei promotori. Prendiamo il caso del Portogallo, che con appena 1.200 firme è fermo all’8,4% della soglia minima. Lì Greenpeace non ha un ufficio e il peso dell’Ice si è scaricato su una sola associazione che ha aderito. Ma anche la Germania ha ottenuto un risultato scarso: 21mila firme, circa il 31% della soglia. Lì gli uffici dell’organizzazione non hanno dato priorità alla campagna. Non dimentichiamo come è cambiato il quadro dal 24 febbraio 2022.

Manca un mese, che cosa dobbiamo aspettarci?
FS Non posso anticipare nulla, mi limito a dirvi che a settembre faremo qualcosa di molto interessante, anche in Italia, per lanciare lo “sprint”. Mettendo al centro della nostra azione il mondo petrolifero, l’informazione e la scuola. Possiamo farcela.

A questo link è possibile leggere e firmare la Ice promossa da Greenpeace e altre Ong

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