Crisi climatica / Approfondimento
Il “maladattamento” di Torino agli eventi estremi causati dai cambiamenti climatici
Una ricerca ha preso in esame i decessi nel capoluogo tra il 1982 e il 2018, mettendoli in relazione agli eventi climatici estremi. È aumentata nel tempo la vulnerabilità sia al caldo sia al freddo estremo. Particolarmente colpiti donne, anziani e persone sole. “Decisiva la programmazione delle politiche sanitarie e sociali”, osservano gli autori
La salute umana è influenzata dalle condizioni meteo e dal clima. Alcuni dei rischi derivano in particolare dalle variazioni delle temperature, sia calde sia fredde, che fanno della popolazione italiana una tra le più vulnerabili in Europa, come riporta l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Politiche di adattamento, come i sistemi di allerta per le giornate di caldo estremo, aumentano la consapevolezza dei cittadini e migliorano l’efficienza dei servizi sanitari ma non riescono a raggiungere allo stesso modo tutti, e in particolare chi è in condizione di maggiore fragilità.
È quanto emerge da un recente studio sulla città di Torino, pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Research, condotto da Marta Ellena, ricercatrice del Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC) e Giuseppe Costa, epidemiologo all’Unità di Epidemiologia Regionale del Piemonte, che hanno lavorato insieme all’Istituto di salute globale (ISGlobal) di Barcellona. I ricercatori hanno rilevato un aumento della mortalità legato al freddo e al caldo a Torino, che suggerisce come i cittadini si stiano adattando male (maladattamento, dall’inglese maladaptation) agli eventi estremi di temperatura causati dai cambiamenti climatici. Lo studio ha preso in esame una raccolta di dati che comprende 364.755 decessi avvenuti in 37 anni a Torino, dal primo gennaio 1982 al 31 dicembre 2018. L’obiettivo era indagare quali condizioni tra sesso, età, istruzione, stato civile e isolamento possono mettere più a rischio un singolo individuo, in situazioni di freddo e caldo estremo. I risultati mostrano che esistono differenze all’interno delle aree urbane, dovute alla distribuzione delle disuguaglianze sociali.
I ricercatori hanno suddiviso il periodo di osservazione in 13 sotto-periodi, per ognuno dei quali hanno calcolato la temperatura alla quale si verifica il numero minore di decessi. Successivamente, hanno calcolato quanto aumenta il rischio di mortalità rispetto a questa situazione ottimale, nei periodi di caldo e freddo estremo. L’analisi mostra che le donne sono i soggetti più a rischio e il caldo rappresenta di gran lunga la minaccia più grande. Se nel periodo 1982-2006, in situazioni di caldo estremo, per le donne il rischio aumentava del 68% rispetto a una situazione ottimale, nel periodo 1994-2018 è aumentato del 74%. Per il freddo invece si è passati da un aumento del rischio di mortalità del 19% a uno del 25%. Anche se con percentuali molto inferiori, il rischio è aumentato molto anche per gli uomini: dal 34% al 45% per il caldo, dall’11% al 23% per il freddo. Tra le persone più vulnerabili ci sono poi anche i più anziani (over 84).
Un dato che però potrebbe comunque essere legato al fatto che la maggior parte della popolazione sopra gli 85 anni è composta da donne, che in Italia hanno un’aspettativa di vita più lunga. “Le donne presentano una serie di fragilità che le rende più suscettibili agli effetti delle temperature, soprattutto in età avanzata, quando dal punto di vista clinico si sovrappongono più problemi di salute -commenta Giuseppe Costa-. Inoltre vanno prese in considerazione anche le condizioni di fragilità sociale cui possono trovarsi le donne anziane, spesso sole a causa della maggiore aspettativa di vita rispetto agli uomini”.
Meno lineare appare invece la correlazione tra livello di istruzione e mortalità da caldo e freddo. I risultati mostrano che i soggetti più istruiti hanno visto aumentare maggiormente il rischio legato al caldo in particolare (dal 40% al 59%), ma anche quello legato al freddo (dal 9% al 23%). Mentre per le persone con un grado di istruzione più basso è aumentata maggiormente la vulnerabilità al freddo. Inoltre, come già riscontrato in una precedente ricerca dagli stessi autori, anche gli individui che vivono in condizioni di isolamento, come ad esempio i vedovi o le persone non sposate, sono particolarmente vulnerabili alle temperature estreme.
“Il messaggio che deve essere colto da questa analisi è che alcuni degli effetti delle temperature sulla salute sono prevenibili -continua Costa-. Identificare le aree più a rischio all’interno delle città può servire a focalizzare gli interventi dove ce n’è più bisogno”. Per l’epidemiologo i rischi degli estremi di freddo e caldo sono stati piuttosto trascurati finora, concentrandosi solo in quei momenti di allarme che si verificano durante periodi particolarmente caldi di estate o particolarmente freddi d’inverno. “L’unico intervento sistematico realizzato in Italia è stato il sistema di allerta delle ondate di calore che effettivamente funziona dove viene utilizzato dal sistema sanitario per mettere in guardia i medici di famiglia da possibili rischi, e quindi produce una presa in carico dei pazienti più fragili. Ma passato l’effetto della grande e pericolosa ondata di calore del 2003 che ha attraversato l’Europa, ora in molte regioni questo stesso sistema viene gestito in modo piuttosto burocratico e gli stessi medici di famiglia pongono meno attenzione a riguardo”.
Per la gestione e la prevenzione dei rischi attuali e futuri legati al cambiamento climatico e per implementare risposte sanitarie efficaci, suggerisce lo studio su Torino, è necessario indagare il contesto a livello locale. Questo è il lavoro che sta portando avanti l’Unità di Epidemiologia Regionale del Piemonte di Costa: “Abbiamo sviluppato un modello di valutazione del rischio che permette di distinguere a livello micro geografico qual è la vulnerabilità al cambiamento climatico, e soprattutto alle ondate di calore, dei singoli isolati della città. Si tratta di uno strumento che consegneremo all’amministrazione comunale per integrarlo all’interno del piano di adattamento della città. Il prossimo passo è poi concentrare lo studio e l’analisi dei dati sulle zone ad alto rischio per identificare con più precisione le caratteristiche della popolazione e distinguere il ruolo che possono avere sulla vulnerabilità delle persone l’origine migratoria, la composizione delle famiglie, la ricchezza della rete familiare di sostegno, le caratteristiche delle abitazioni”.
La finalità è indirizzare gli interventi verso le priorità dei diversi gruppi di cittadini, siano priorità di tipo strutturale, come l’isolamento termico degli edifici o la piantumazione di aree verdi, o di tipo sociale legate al rafforzamento della consapevolezza dei cittadini tramite campagne di informazione. “Sarebbe il caso che il rischio legato alle temperature estreme venga seriamente considerato qualcosa con cui fare i conti e inserito come oggetto di programmazione delle politiche sanitarie e sociali”, conclude Costa.
© riproduzione riservata