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Diritti / Attualità

Il lato (ancora) oscuro del cioccolato e l’alternativa del commercio equo

© Beatrice De Blasi

L’industria del cacao genera oltre 100 miliardi di dollari all’anno ma è incapace di eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile dalle proprie filiere di approvvigionamento. In particolare in Africa. Rispettare diritti umani e ambiente si può. L’appello della Fondazione Altromercato, anche in vista della Pasqua

La felicità non si può comprare, il cioccolato sì. Quando ne mangiamo velocemente un quadratino, il nostro cervello ce ne richiede ancora perché mangiare cioccolato fa aumentare i livelli di alcuni neurotrasmettitori che inducono le sensazioni di piacere e di benessere. Si attivano la serotonina -il cosiddetto “ormone della felicità”, l’endorfina, efficace nell’inibizione del dolore, la feniletilamina (la stessa sostanza chimica che il cervello produce quando ci innamoriamo) e si attivano anche la difenildantonina, una sostanza antidepressiva e l’anandamide, una sostanza paragonabile al tetraidrocannabinolo, uno dei principi attivi della marijuana. Dosi infinitesimali ma sufficienti a migliorare il nostro umore.

Tuttavia, c’è un segreto oscuro e amaro nascosto dietro alle tante prelibatezze a base di cacao, incluse le adorate uova di Pasqua. I dati forniti da organizzazioni internazionali come l’Ong Slave Free Chocolate, parlano in modo chiaro di un fenomeno molto preoccupante.

Sono ben 152 milioni i minori, spesso vittime di tratta, costretti a lavorare contro la loro volontà, a cui è impedito frequentare la scuola o di ritornare nei propri villaggi o paesi di origine. Il fenomeno colpisce soprattutto il continente africano, in cui si concentra la metà dei bambini.

Molti di loro sono costretti a svolgere lavori faticosi eccessivi per i loro corpi non ancora sviluppati. Sono costretti a lavorare in miniere, in aree rurali alla raccolta di acqua o legname, oppure coinvolti in lavori domestici. Quest’ultimo caso riguarda soprattutto le bambine e spesso al carico di lavoro eccessivo si aggiunge il rischio di essere vittime di abusi di ogni tipo, inclusi quelli sessuali. Dietro tutto ciò, c’è un sistema economico mondiale che imposta il suo sviluppo sullo sfruttamento dei lavoratori nei luoghi dove ci sono le materie prime. Un esempio per tutti è proprio la filiera del cacao.

Un’indagine svolta in Costa d’Avorio e Ghana dal Centro nazionale di ricerca Norc dell’Università di Chicago ha svelato che il lavoro minorile nella catena di produzione del cacao è aumentato negli ultimi dieci anni, con un incremento inquietante del 14%, passando dal 31 al 45% tra il 2008 e il 2019. In totale, circa 1,56 milioni di bambini lavorano nella produzione di cacao solo in queste due nazioni dell’Africa occidentale.

Dal film “The dark Side of Chocolate” – © foto di U. Roberto Romano

Questo problema potrebbe essere ulteriormente aggravato dalla pandemia Covid-19 e dal suo impatto economico associato perché quando i redditi familiari o le opportunità di guadagno degli adulti diminuiscono, il lavoro minorile tende ad aumentare. In Costa d’Avorio il calo del 10% del reddito, dovuto al calo del prezzo del cacao, ha portato a un aumento del lavoro minorile di oltre il 5%. In Africa occidentale viene prodotto circa il 70% del cacao mondiale. L’indagine svolta dall’Università di Chicago è una testimonianza del fatto che le multinazionali facendo leva sullo strumento della compressione del prezzo di acquisto del cacao, di fatto non rispettano gli accordi internazionali in materia di contrasto allo sfruttamento del lavoro.

Come mai un’industria che genera ben 100 miliardi di dollari all’anno, non è in grado di eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile dalle proprie filiere di approvvigionamento di una materia prima strategica come il cacao? Mentre la maggior parte dei coltivatori di cacao in Africa vive con meno di un dollaro al giorno, ad oggi, non vi è alcun impegno tra governi e multinazionali del settore per garantire ai coltivatori di cacao un reddito dignitoso. Il Washington Post, quando l’indagine è stata pubblicata negli Stati Uniti nel dicembre 2020, ha parlato di “un fallimento delle multinazionali del cioccolato incapaci di mantenere la promessa di sradicare il lavoro minorile nella loro catena di produzione”.

Il 2021 è stato proclamato Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile con una risoluzione adottata all’unanimità dall’Assemblea Generale dell’Onu nel 2019. Alla luce dei dati citati sulla filiera del cacao, oggi più che mai Fondazione Altromercato e le migliaia di volontari delle 105 cooperative e associazioni del movimento italiano del commercio equo e solidale socie di Altromercato, uniscono la propria voce a quella delle organizzazioni di diritti umani, dell’Ilo e dell’Unicef nel sollecitare i governi a mettere in atto tutte le misure necessarie al fine di raggiungere l’Obiettivo 8.7 degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite che chiede agli Stati membri di adottare misure immediate ed efficaci per sradicare il lavoro forzato, porre fine alla moderna schiavitù e alla tratta di esseri umani, garantire la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile (compreso il reclutamento e l’uso di bambini-soldato) e di porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025.

Il commercio equo e solidale è la prova concreta che si può stare perfettamente sul mercato redistribuendo equamente i profitti dal campo fino al nostro piatto, rispettando ambiente e diritti umani. Sono questi gli ingredienti fondamentali che vorremmo leggere in tutte le etichette della cioccolata, ingredienti che generano benessere per chi la produce e per chi la consuma.

Beatrice De Blasi, Fondazione Altromercato. 
Miki Mistrati, regista e giornalista pluripremiato per le sue indagini di giornalismo investigativo di denuncia sullo sfruttamento del lavoro minorile nelle filiere del cacao e del caffè in Africa e America Latina.

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